Scusate se piango o scusate se non sono adulto?

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Romantico?
Io sono essenzialmente un selvaggio. (Un selvarego, come si dice dalle mie parti).
Beh..una cosa non esclude l'altra, credo..no?

Pensa che con G. ci stiamo discutendo un sacco di questa cosa del romanticismo.
Che lui dice che non sono per niente una romantica.

E io invece sostengo che lo sono, a modo mio però.
E lui la chiama tenerezza.

E anche lui dice che sono una selvaggia (una selvadega, come si dice da me).

E io sostengo che il mio è un romanticismo selvadego!!

A me sembri un romantico :eek:
Dalle prime volte che ti ho letto. A modo tuo...il romanticismo della nebbia mentre si gira in posti solitari...

io credo sia una forma del romanticismo...non pensi?
 

spleen

utente ?
Beh..una cosa non esclude l'altra, credo..no?

Pensa che con G. ci stiamo discutendo un sacco di questa cosa del romanticismo.
Che lui dice che non sono per niente una romantica.

E io invece sostengo che lo sono, a modo mio però.
E lui la chiama tenerezza.

E anche lui dice che sono una selvaggia (una selvadega, come si dice da me).

E io sostengo che il mio è un romanticismo selvadego!!

A me sembri un romantico :eek:
Dalle prime volte che ti ho letto. A modo tuo...il romanticismo della nebbia mentre si gira in posti solitari...

io credo sia una forma del romanticismo...non pensi?
Io amo molto il mio essere animale, la mia "soma" e nel contempo spendo la mia vita alla ricerca dello spirito universale.
Sono in fondo al cuore un "uomo rosso", un selvaggio senza il mito del buon selvaggio, una parentesi contemplativa della realtà che non riesco mai ad afferrare con pienezza.
Questo sono (credo) e ti dico che in verità non potrei essere altro.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Io amo molto il mio essere animale, la mia "soma" e nel contempo spendo la mia vita alla ricerca dello spirito universale.
Sono in fondo al cuore un "uomo rosso", un selvaggio senza il mito del buon selvaggio, una parentesi contemplativa della realtà che non riesco mai ad afferrare con pienezza.
Questo sono (credo) e ti dico che in verità non potrei essere altro.
Ma sapete che non mi è chiaro cosa significa?
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Io amo molto il mio essere animale, la mia "soma" e nel contempo spendo la mia vita alla ricerca dello spirito universale.
Sono in fondo al cuore un "uomo rosso", un selvaggio senza il mito del buon selvaggio, una parentesi contemplativa della realtà che non riesco mai ad afferrare con pienezza.
Questo sono (credo) e ti dico che in verità non potrei essere altro.
Ecco!

Questo per me è romantico :)

E' un archetipo quello a cui fai riferimento...del raccordo fra l'uomo (inteso sia maschio sia femmina nelle specificità del genere) e la Natura...

E, per quanto mi riguarda, è l'essenza del romanticismo...
E della tenerezza dell'incontro con il Sè e con l'altro...

Il mito del buon selvaggio è successivo...

Nell'archetipo a cui fai riferimento non c'è domesticazione....è la Natura che risuona nella Natura profonda degli individui...e parla dell'abbandono all'Essenza profonda...quella indagata anche dalla psicanalisi...dove risiedono pulsioni primarie e tensioni ancestrali

La Pinkola con R. Bly ne hanno scritto, ci sono testi interessanti a riguardo. :)

Altra declinazione interessantissima è il daimon citato da Hillman...che trova radici profonde fin dall'antichità...
 

spleen

utente ?
Ecco!

Questo per me è romantico :)

E' un archetipo quello a cui fai riferimento...del raccordo fra l'uomo (inteso sia maschio sia femmina nelle specificità del genere) e la Natura...

E, per quanto mi riguarda, è l'essenza del romanticismo...
E della tenerezza dell'incontro con il Sè e con l'altro...

Il mito del buon selvaggio è successivo...

Nell'archetipo a cui fai riferimento non c'è domesticazione....è la Natura che risuona nella Natura profonda degli individui...e parla dell'abbandono all'Essenza profonda...quella indagata anche dalla psicanalisi...dove risiedono pulsioni primarie e tensioni ancestrali

La Pinkola con R. Bly ne hanno scritto, ci sono testi interessanti a riguardo. :)

Altra declinazione interessantissima è il daimon citato da Hillman...che trova radici profonde fin dall'antichità...
Purtroppo non ho letto gli autori che hai citato, ma ho letto una volta questa cosa di Hesse, su "interpretare se stessi". Che non è assolutamente perfetta, forse è un tantino retorica ma molto utile per chiedersi se la nostra autoreferenzialità sia la giusta via per capire.


“Gli alberi sono sempre stati per me i più persuasivi predicatori. Io li adoro quando stanno in popolazioni e famiglie, nei boschi e nei boschetti. E ancora di più li adoro quando stanno isolati. Sono come uomini solitari. Non come eremiti che se la sono svignata per qualche debolezza, ma come grandi uomini soli, come Beethoven e Nietzsche. Tra le loro fronde stormisce il vento, le loro radici riposano nell'infinito; ma essi non vi si smarriscono, bensì mirano, con tutte le loro forze vitali, a un'unica cosa: realizzare la legge che in loro stessi è insita, costruire la propria forma, rappresentare se stessi. Nulla è più sacro, nulla è più esemplare di un albero bello e robusto. […]
Chi ha imparato ad ascoltare gli alberi non brama più di essere un albero. Brama di essere quello che è.

 
Ultima modifica:

brenin

Utente
Staff Forum
Già, sono d'accordo...

Ma una cosa su cui ho spesso ragionato e su cui mi sono spesso confrontata ultimamente è che per spogliarsi del proprio Sè, serve averlo.

Voglio dire, se il proprio Sè è parcellizzato anche l'identità e il processo di formazione di una identità di cui spogliarsi (e qui entrano in gioco un sacco di questioni che riguardano lo scambio di tempi interni/esterni, spazi interni/esterni, storie, vissuti, etc etc) sono frammentati...non penso ci si possa spogliare di qualcosa che non si possiede per intero.

il rischio, mai assente, è l'autoinganno.

Avere a che fare con la composizione del Sè, che si sta riconoscendo anche grazie agli ultimi studi delle neuroscienze come Sè multiplo, integrarlo, accettarlo, riconoscerlo, possederlo e dominarlo per potersene spogliare io credo sia un processo lungo una Vita...o forse sono solo molto lenta io nel farlo...Che anche soltanto convocare le parti del mio Sè al mio tavolo e in pace è un lavoro lunghissimo, affascinante e doloroso insieme...

E tutto questo avviene in costante interscambio con il prisma, che come te anche io considero costantemente mutevole...io sto imparando a metter in conto il mio autoinganno...cercando di non farmi immobilizzare ma portandomelo appresso...come una parte importante della mia valigia di viaggio...

che forse è un po' includere la mia cromaticità dichiarandola mano a mano nella lettura del prisma...

che mi sono resa conto che per quanto tenti di non influenzare con la mia cromaticità, influenzo, quindi sto pensando che tanto vale conoscerla bene e tener presente che quando mi proietto fuori nelle espressioni di me è la cromaticità che io conosco di me che emano, salvo trovarmi di fronte sguardi molto molto sensibili, e sono rarissimi..

se conosco la mia cromaticità mi sembra di riconoscerla anche in quella del prisma e allora posso operare un processo di identificazione/differenziazione che mi sembra mi dia uno sguardo sufficientemente pulito...o perlomeno sporcato da colori che so da dove vengono...e allora posso decidere che farne, a seconda delle situazioni e della funzionalità...

non so se è chiaro....è work in progress tutta questa roba...e sono una lumachina :)
Sul primo grassetto.... vedo la cosa forse da un'altra angolazione e cerco di spiegarmi....
Dal mio punto di vista ognuno ha il proprio Sè ( od Io ), dal quale volente o nolente non ci si può facilmente separare,proprio per i motivi che hai indicato. La nostra identità,quello che siamo e come siamo,le nostre idee,concetti,tutto quello che riguarda il nostro giudizio penso concorra a formare la nostra identità. Detto questo,tornando al prisma ( allo specifico caso, e non certo in via continuativa perchè sarebbe un'impresa titanica che richiederebbe davvero un'intera vita, il nostro "abbandonare" l'Io per quegli attimi che servono a decifrare le molteplici sfaccettature,toni e sfunature delle stesse,penso si possa fare se da parte nostra c'è la ferma volontà di porci neutrali,di essere spettatori e non attori, di "affrontare" questa nuova sfida ( essenzialmente con noi stessi ) senza farci condizionare proprio dal nostro istinto/identità ( che comunque - per i primi tempi - farà di tutto per farsi "sentire" ... e se dovesse prevalere sarebbe davvero autoinganno ).
Sul secondo grassetto.... in questo caso tu sei il prisma per la persona che ti osserva, e solo da come lo fa potrai capire se ha "assorbito" qualcosa o poco o niente del tutto; paradossalmente quest'ultimo processo, nel quale diventi prisma, è - a mio avviso - meno laborioso rispetto al precedente... ed in più, in base a chi guarda e dal grado di osservazione che ha ( e che tu non puoi non percepire ), ti da la possibilità di "giocare" con le sfumature,i giochi d'ombra, ed un'infinita scala di colori...
Ultimo grassetto... penso che il processo principale sia proprio la percezione della differenziazione tra i nostri colori e quelli del prisma, coglierne gli aspetti più lievi, "arricchire" la nostra scala cromatica che sarà sempre, e comunque, suscettibile di continui "aggiornamenti" se si avrà la fortuna di fruire di questa rara opportunità e la capacità di mantenerci "aperti" ad ulteriori,auspicabili implementazioni.
Sulla lumachina.... nella sua lentezza non c'è pigrizia, c'è attenzione e presenza, c'è il gusto di assaporare la vita, di accorgersi dei dettagli, di vivere nel presente passo dopo passo. Nella sua lentezza non c'è paura, c'è fiducia, assennatezza, e c'è attenzione, il principale veicolo catalizzatore di energia di cui possiamo disporre.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Purtroppo non ho letto gli autori che hai citato, ma ho letto una volta questa cosa di Hesse, su "interpretare se stessi". Che non è assolutamente perfetta, forse è un tantino retorica ma molto utile per chiedersi se la nostra autoreferenzialità sia la giusta via per capire.


“Gli alberi sono sempre stati per me i più persuasivi predicatori. Io li adoro quando stanno in popolazioni e famiglie, nei boschi e nei boschetti. E ancora di più li adoro quando stanno isolati. Sono come uomini solitari. Non come eremiti che se la sono svignata per qualche debolezza, ma come grandi uomini soli, come Beethoven e Nietzsche. Tra le loro fronde stormisce il vento, le loro radici riposano nell'infinito; ma essi non vi si smarriscono, bensì mirano, con tutte le loro forze vitali, a un'unica cosa: realizzare la legge che in loro stessi è insita, costruire la propria forma, rappresentare se stessi. Nulla è più sacro, nulla è più esemplare di un albero bello e robusto. […]
Chi ha imparato ad ascoltare gli alberi non brama più di essere un albero. Brama di essere quello che è.

Hillman mi piace tanto. Sto leggendo il "codice dell'anima" ed è veramente molto bello e ricco.

Lui è uno junghiano per formazione, ma ha un'impronta filosofica che lo distacca dalla psicanalisi pura, e lo rende interessante per la capacità che ha di creare immagini.

E la cosa che me lo rende simpatico è che quando iniziò a rendere pubbliche le sue riflessioni destò scandalo, specialmente nella comunità di analisti europei, perchè metteva in discussione tutta una serie di "miti" della psicanalisi. :D

Bellissima la citazione di Hesse, grazie :)

Per quanto mi riguarda non credo che sia la autoreferenzialità una via, anzi...mi affascina molto il Sentirmi parte, insignificante, rispetto alle dimensioni in cui sono inserita, di un Tutto di cui non vedo nè lontanamente la forma e men che meno la sostanza...

Ma penso la si possa percepire..la solitudine, non l'isolamento, e il radicamento, credo siano canali attraverso cui percepire la grandezza naturale a cui io penso siamo tutti sottoposti....quella, per intenderci, di quando arrivi a 3000mt e ti ritrovi nelle roccaforti di pietra sentendo chiaramente che rispetto a tutto quello che ti circonda sei solo una piccola parte...tendenzialmente insignificante rispetto alla magnificenza...

...so' romantica (selvatica)! :p:)
 

spleen

utente ?
Hillman mi piace tanto. Sto leggendo il "codice dell'anima" ed è veramente molto bello e ricco.

Lui è uno junghiano per formazione, ma ha un'impronta filosofica che lo distacca dalla psicanalisi pura, e lo rende interessante per la capacità che ha di creare immagini.

E la cosa che me lo rende simpatico è che quando iniziò a rendere pubbliche le sue riflessioni destò scandalo, specialmente nella comunità di analisti europei, perchè metteva in discussione tutta una serie di "miti" della psicanalisi. :D

Bellissima la citazione di Hesse, grazie :)

Per quanto mi riguarda non credo che sia la autoreferenzialità una via, anzi...mi affascina molto il Sentirmi parte, insignificante, rispetto alle dimensioni in cui sono inserita, di un Tutto di cui non vedo nè lontanamente la forma e men che meno la sostanza...

Ma penso la si possa percepire..la solitudine, non l'isolamento, e il radicamento, credo siano canali attraverso cui percepire la grandezza naturale a cui io penso siamo tutti sottoposti....quella, per intenderci, di quando arrivi a 3000mt e ti ritrovi nelle roccaforti di pietra sentendo chiaramente che rispetto a tutto quello che ti circonda sei solo una piccola parte...tendenzialmente insignificante rispetto alla magnificenza...

...so' romantica (selvatica)! :p:)
Se per romantico intendi il fatto di "vivere" interiormente la propria anima quello che ci circonda e subendone il fascino, collocare senza essere indifferenti il proprio io dentro la natura e l 'universo misterioso, ebbene si, siamo romantici.:)

(E anche un po' selvatici :p).
 
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