E' interessante come il linguaggio, e i significati siano importanti
Unito a questo è altrettanto importante l'elaborazione del vissuto.
Vedi, tu comprendi (nel senso di includi) l'idea della sfiga, della sfortuna. (idee prettamente umane e legate all'umano).
A me non interessano. Non sono mai stata interessata alla sfiga o alla sfortuna.
Sono sempre stata interessata al Fato invece. E a come l'umano si relaziona al Fato.
La collocazione dell'umano nell'ordine delle cose.
Scientificamente parlando....siamo importanti come le formiche che schiacciamo incuranti mentre camminiamo per la strada. Il nostro tempo è millesimale rispetto al tempo universale.
La fortuna o la sfortuna sono parametri del tempo umano. Ossia micro secondi rispetto all'universo.
Cosa è la sfiga?
E' un avvenimento contrario alle aspettative e alla propria definizione di fortuna.
Ma.
E' collocato in un tempo specifico (brevissimo) e in uno spazio (infineitesimale rispetto al tutto)
Certo, se il mio sguardo è ancorato alle aspettative e alla contemporaneità la sfiga parrebbe esistere.
SE lo sguardo si apre e prova ad abbracciare non dico qualcosa di più dell'umano, ma la comprensione del fatto che anche solo una vita umana è ben di più di una somma di fatti e che ogni fatto ha un suo preciso posizionamento in quella vita cade l'idea di sfiga o fortuna.
Sono eventi.
Descrivibili, ma parzialmente. (la loro descrizione dipende dall'osservatore e dalla sua posizione rispetto all'osservato).
La loro classificazione in positivo negativo, in sfiga o fortuna è una operazione astratta e relativa. Fortemente condizionata dall'interpretazione soggettiva che a sua volta è condizionata a livello storico, sociale, culturale.
La responsabilità, che è a mio parere invece una variabile interessante dal punto di vista della funzionalità dell'individuo nel suo tempo e nel suo spaio (suo inteso come relativo) riguarda il come li si accoglie e il come ce ne si prende cura, avendo cura di se stessi in quegli eventi. E l'accettazione nasce qui. (quindi quando parlo di accettazione non penso minimamente al significato cattolico del "me l'ha mandato dio" e non posso che o sotto-mettermi supinamente - non passivamente- o combattere)
E certo che quando vinci al superenalotto accogli a braccia aperte
La serenità però deriva dal saper accogliere (aver cura di sè in quel particolare evento, collocandolo e collocandosi nel Divenire -e quindi oltre la contemporaneità-) un evento spiacevole o meglio, non desiderato.
Certo è che se il tuo ragionamento è basato sul fatto che le cose non ti piacciono sono sfighe, e quelle che ti piacciono sono fortune (e a questo si lega l'idea di colpa, punizione e castigo prettamente cattolica con il sacrificio riparatore) il discorso lo possiamo semplicemente chiudere qui.
Perchè è evidente che la com-partecipazione di cui parlo (partecipare ad un evento anche se spiacevole - ossia non rifiutarlo nella serie di eventi di una vita, non assolutizzarlo e nemmeno annullarlo, e soprattutto non dargli una connotazione moralistica ma anzi, starci dentro il più pienamente possibile assumendosi la responsabilità di se stessi in quell'evento e la propria cura senza delega a dio, la politica, all'idea di quel che si vuole ) non è visibile.
E va bene così.
Ma.
Giusto perchè le parole hanno significati ben precisi.
Dinamica, partendo dal significato scientifico a cui si sono rifatte le scienze umane ovviamente declinando, è quel ramo della meccanica che si occupa di studiare il moto dei corpi e le sue cause, ovvero, in termini concreti, lo studio delle circostanze che determinano e modificano il moto stesso.
Declinarlo in termini umani, liberandosi dagli influssi dello scorso millennio, significa innanzitutto considerare l'essere umano come non assolutamente determinabile e non circoscrivibile in un movimento lineare.
Causa quindi non è un concetto di linearità (da A a B) ma è semplicemente l'insieme delle circostanze (individuali, relazionali, sociali, culturali, storiche) che sono concorrenti all'emersione di un determinato fenomeno (dinamica, ossia variazione di un moto).
Quindi com-prendere, pulito dal giustizialismo (che porta per direttissima alla giustificazione) significa osservare come i corpi si modificano nel loro moto ed in particolare come la loro interazione modifica i moti di ognuno e di entrambi, circolarmente.
Come su una scacchiera in cui ogni pedina ha una sua posizione si assoluta (l'afiere è e resta un alfiere) ma ne ha anche una relativa rispetto alle altre pedine e la modificazione della posizione di una pedina modifica lo schema di tutta la scacchiera.
Quindi mi hai frainteso pensando che io parlassi di comprensione paternalistica (comprendere il percorso per trovarci dentro motivazioni che tolgano la banalità del male) di chi agisce violenza.
E qui si potrebbe aprire un infinito OT sul perdono che implicitamente o meno sembra direttamente discendere dalla comprensione. Io non perdono e non concepisco il perdono. Anzi, rivolto ad altri, è per me una delle forme meglio articolate dell'arroganza e della supponenza. Oltre che dell'ipocrisia del perbenismo. Forse la peggior dipendenza dal giudizio sociale introiettato nei secoli cattolici. (insieme al sacrificio, svuotato completamente del suo senso originario...render sacro. Dare sacralità.)
Io per esempio col cazzo che perdono chi mi ha violentata. Senza rancore.
Ho perdonato me in quella situazione, però. Ed è qui la pace.
L'inclusione della mia presenza (com-partecipazione) in un evento orrendo. Che non volevo e che ho subito. Impotente. Ma presente.
A me interessa, ed è sempre interessato, comprendere la scacchiera in cui la violenza prende forma e forza.
Quella scacchiera in cui la violenza da ombra nascosta diviene carne e agito.
E quali sono le mosse delle pedine. Tutte. Perchè servono tutte per la partita.
SEnza una vittima, quella scacchiera non esiste. Come non esiste senza un carnefice.
E i moti dell'uno modificano lo schema della scacchiera per entrambi e vivendevolmente.
Poi, solo poi, è possibile comprendere il perchè ci si è finiti su quella scacchiera. (ma di solito, dei perchè a questo punto frega più un cazzo. Contano i come e i cosa).
Ma i perchè hanno il brutto vizio di contenere una giustificazione che da un lato divide il mondo in buoni e cattivi (e questo esiste nelle favole per i bambini, è una semplificazione. In ognuno di noi esistono le ombre. E ognuno di noi, messo nella giusta situazione è in grado di farle emergere ed agire...) e dall'altro permette il permanere di se stessi in una zona di confort (che di solito è nella barricata dei buoni. Dei motivati da. Degli assolti).
A me quindi interessano molto poco i perchè. Pur non riuscendo ancora a distaccarmene del tutto. Ma lo so che è una trappola, il perchè. In particolare se riguarda me.
Come mi interessa niente della pietà, della colpa o dell'assoluzione.
Non ho mai pensato che esistesse una qualche forma di giustizia.
Ho sempre pensato che esistesse la responsabilità della cura di se stessi nella scacchiera in cui ci si trova.
E continuo a pensare che sia l'unico spazio di libertà per l'uomo.
Per quanto l'uomo continui a credere di avere chissà quale potere sulla propria vita e sulla realtà in cui è.
Mi fa anche ridacchiare...la parte che vuol dipingere il tutto