Ma non è un atto di contrizione né un’autofustigazione.
È una presa di responsabilità. Una cosa molto diversa.
Quello che finora ho imparato, anche agendo in modo sbagliato è che ci sono valori — come la lealtà, la chiarezza e il rispetto — che, in certe situazioni, dovrebbero venire prima del godimento personale.
Il piacere, per quanto umano e comprensibile, non può essere la giustificazione ultima per qualsiasi azione. Soprattutto quando quella stessa azione ferisce qualcun altro a cui, almeno in teoria, si è legati da un patto di fiducia.
Il punto non è negare il piacere nel tradimento, ma riconoscere che quel piacere ha un prezzo, e che scegliere di pagarlo con la pelle dell’altro è, appunto, un atto di slealtà.
Non sto nemmeno dicendo che chi tradisce è una cattiva persona a prescindere; sto dicendo che in quel momento ha scelto la scorciatoia più comoda invece della via più autentica, più coraggiosa e, in definitiva, più giusta.
E no, non credo affatto che qualcuno “meriti” di essere tradito, men che meno che se lo meritasse mio marito.
c’è sempre un’altra strada. Magari più dolorosa, più scomoda, ma più vera: quella della parola, del confronto e, in caso, della separazione onesta.
È lì che, per me, si misura il valore di un individuo, non nella gestione egoistica dei propri impulsi.
Non me ne frega di fare la morale. Guardo le cose per quello che sono. E se questo implica riconoscere una vigliaccheria passata, lo faccio.
Non perché mi senta “peccatrice”, ma perché non voglio più raccontarmi che c’era qualcosa di nobile o giustificato in quella scelta. Non c’era. E da lì si riparte, se si vuole crescere.
Almeno io.
Te, fai quel che vuoi