Oh, ma la felicità ce la impongono per ogni dove! E' il diktat dei sorrisi prodotti dalle cinquecento e una marche di dentifricio che costellano i nostri musicanti ipermercati, novelle cattedrali del culto diffuso. Come osi non riconoscere questa sprizzante spremuta occhieggiante e ancheggiante felicità che è ovunque, soprattutto nelle cacche dei cani più numerosi dei bambini che scorrazzano per le strade cittadine: osserva come amorevolmente l'uomo si piega ad avvoltolarle nel sacchettino predisposto e poi lo deposita con ammirevole grazia nell'apposito cestino!
Lo so, sto dicendo ovvietà. Nell'India più povera in cui non esistevano rifiuti per terra perché con lo sterco rinseccolito s'accende il fuoco, le famiglie nelle loro poverissime dimore offrivano uova all'ospite ignoto. E nessuno sorrideva più degli Indiani vent'anni fa.
Io non so che dire. Dico che per esempio ho proposto a scuola che si approfitti dei tagli ministeriali per proporre il modello "ritiro spirituale": niente più visite d'istruzione, niente più corsi di chitarra, yoga, bridge, giapponese, cinese, arabo, niente più tablet in dotazione, niente più teatro, niente più fotografia. Niente. Io voglio il niente. Se mai farò carriera, proporrò questo stile: in fondo sono cinque ore al giorno. Un adolescente non può che giovarsene.