senz'altro, il meccanismo è quello.
però parlando di laureati ignoranti e non laureati sapienti credo che si confonda il carico di conoscenze con l'acquisizione di meccanismi.
lo studio ad una certa età ha lo scopo di insegnare la fatica e stimolare la messa in atto di elaborazioni, schemi e semplificazioni per alleggerirla. E quale oggetto di studio e di indagine migliore delle lingue morte per raggiungere lo scopo?
Purtroppo è impossibile trasmettere questo messaggio: lo si capisce quando si diventa improvvisamente responsabili o manager di qualche processo produttivo che nulla ha a che fare con gli studi umanistici, e ci si accorge che sono il valore aggiunto alla buona volontà, lo zelo e l'applicazione.
Primo neretto, assolutamente condivisibile. Però attenzione a non ritenere che sia solo lo studio delle lingue morte la strada. Personalmente devo la cosa ad un impiego altamente stimolante da questo punto di vista, dove era - indispensabile - tirare fuori il meglio.
Secondo neretto: Vero, però se guardo al panorama desolantissimo del managment italiano devo dire che non sono state premiate spesso le menti migliori.
PS Nel mio lavoro (progettazione di nicchia, altamente specializzata) non conosco uno, dico uno, a pagarlo peso d' oro che venga dal classico, dallo scientifico poche mosche bianche, spesso in difficoltà per l' incapacità di affrontare problemi di tipo pratico. Moltissimi vengono dagli istituti tecnici, alcuni tra questi sono degli autentici geni.
Un pensiero al vituperato mondo del lavoro, dopo diploma e laurea sarebbe sempre opportuno farlo, nel distretto dove abito c'è una autentica carenza di personale tecnico, cronica e incolmabile.
Se una persona manifesta attitudini verso la tecnologia, non vedo perchè non debba essere incoraggiata, è un pensiero molto italiano quello che esistano scuole di serie A e serie B, con l''effetto che la legione dei disoccupati laureati in umanistiche si ingrossa.
La cultura personale è altra cosa e non sempre coincide con la formazione scolastica.