Adrenalina

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Quanta roba, quanta complessità.
Io ho manifestato stupore per la rabbia proprio perché la rabbia è confusione, almeno è confuso la rabbia di cui parlate e porta a violenza un po' a casaccio, anche contro se stesse.
Di aggressività ho parlato io perché è proprio altra cosa dalla violenza.
No Ipazia non è imploso niente, si è sviluppato in modo molto positivo. Ogni movimento che è di una minoranza è vittorioso se riesce a entrare nella mente e nella prassi della maggioranza. E questo è avvenuto.
Residui di contraddizioni sono normali.
Questa libertà di cui godete non vi è stata regalata.
Però adesso cercate di separare le questioni perché io non riesco a capire con chi ce l'avete. Appunto vedo rabbia confusa.
Ho trovato un collegamento con le arti marziali proprio per la ricerca di una modalità di controllo, non certo di competenze per agire con aggressività.
Mi farebbe anche ridere l'idea che una donna di 1,60 possa pensare di poter confrontarsi fisicamente con un aggressore maschio di media forza.
Non sono d'accordo che la rabbia sia confusione, perlomeno nel mio sentire non lo è. La rabbia è un modo. Dell'essere. E' energia. Poi dipende cosa c'è dentro.
Nella mia c'è stato per tantissimo tempo la rivalsa, per esempio. Che diventava disprezzo e schifo.

Ci ho lavorato. E' rimasta la rabbia. Ma la rivalsa no. E la rabbia è energia che se ben condotta diventa determinazione e fermezza.

Il punto della questione della rabbia non è averla o meno. Il punto è usarla anzichè esserne usati.

Che è poi la differenza fra re-azione e azione.

Ovviamente stiamo facendo un discorso analitico. Quindi "pretendiamo" di scomporre emozioni complesse e analizzarle una per una. Che è un buon esercizio di consapevolezza, se è accompagnato dalla consapevolezza che è appunto una operazione analitica. E quindi artificiosa.

Nel concreto le emozioni si presentano complesse e mescolate.

Non a caso si parla di educazione alle emozioni, no?
Da cui discende poi l'educazione affettiva.

Non sono d'accordo che le conseguenze siano state positive e basta. E' pur vero che io ho evidenziato quelle negative e basta. Ma quelle positive ci sono. Sono quelle negative che spesso, secondo me, vengono messe sotto il tappeto.

Ho collaborato spesso con associazioni di donne, anche a livello nazionale, una delle grandi discussioni, con le "vecchie" del movimento riguardava la comunicazione fra generi.

E la mia critica è sempre stata, ed è, il fatto che gli uomini vengano esclusi. Io sono convinta che la comunicazione si co-costruisca. Escludere un genere, tenendolo tendenzialmente come contro-parte non lo condivido.

E questa è una delle eredità.

Quando parlo di movimento imploso parlo di non passaggio e traduzione alle nuove generazioni.
Che stanno dando per scontate tutte una serie di acquisizioni.
Ti ricordi, per esempio, la questione riguardo la legge 194? Collaboravo molto attivamente in quel periodo.
E ho fatto informazione a tappeto. Fra le ragazzette. Non sapevano praticamente nulla. E parlo di universitarie.
La catalogavano come legge sull'aborto. E diventava necessariamente uno schieramento morale rispetto a quella questione (e questo dal punto di vista politico, in quella campagna è stato anche strumentalizzato), quando quella legge è ben più complessa, e parla di autodeterminazione del corpo.

Il passaggio generazionale non si è tramutato in azioni di continuità. Tanto che tutta una serie di acquisizioni sono anche traballanti. Non c'è stato passaggio generazionale e trasformazione. Questo critico. In questo senso vedo implosione e fallimento. E conflitto.

E il conflitto, se ben condotto è una risorsa. Se è solo spazio in cui vince qualcuno allora no.

E si ritorna all'educazione alle emozioni. Anche la rabbia. E all'educazione alla gestione del conflitto.

E so che ben sai come manchi esattamente questo tipo di educazione. Da cui discende la questione dell'accettazione della diversità, per esempio.

Tu vedi rabbia confusa perchè siamo diverse. Semplicemente. Come in voi vedevano rabbia confusa chi vi guardava.

E' confuso il percorso per risalire a quello che c'è sotto. E trovo invece utile e produttivo, proprio per andarci sotto e trovare i nodi del dolore, confrontarsi esattamente sulla rabbia. Insieme. Donne e uomini.

Dialogando e cercando forme di comunicazione win win.

Come stiamo facendo io e te in questo momento per esempio. :)
Che portiamo ognuna la propria posizione e la scambiamo, cercando una nell'altra spunti per capire meglio.
E questo accade perchè è chiaro che l'obiettivo è comprendere. E conoscere.

Per quanto riguarda le arti marziali...nobody e brenin hanno già chiaramente espresso cosa è un percorso di disciplina marziale.
Dall'alto del mio 1,58 ti assicuro che è possibilissimo invece confrontarsi con un maschio di media forza fisica. E anche uscirne piuttosto bene. Capisco possa far ridere se non si è mai sperimentato. Ed hai ragione. Casi alle cronache non ne salgono perchè ragazzine che si avvicinano alla marzialità sono poche, seppur in crescita. E diminuiscono mano a mano si sale di età. Della mia età, per esempio, le donne sono pochissime che praticano, in proporzione. E non ho neanche 40 anni eh.

Ovviamente sto parlando di percorso di disciplina e arte marziale. Non di corsi di difesa personale. Che adesso van tanto di moda. E che personalmente mi piacciono poco. Anche se credo possano avere una loro funzione, se ben gestiti.

Un buon maestro di difesa in apertura di ogni lezione ricorda alle presenti di non credere di poter fare chissà che in un contesto di aggressione reale.

Che quello che si impara serve principalmente per aprire la porta alla consapevolezza di non essere indifese. E che esistono diversi terreni per difendersi. Non ridere insomma al pensiero di potersi confrontare. Anche se, un buon maestro, consiglia alle partecipanti a quei corsi di lasciar andare la borsa.

In un corso di difesa serio insegnano che la cosa migliore è riuscire a individuare il varco per scappare.
Aprono la questione dello "stupore" di fronte all'aggressione. Ma è acqua fresca.

Un buon maestro ripete fino alla nausea che credere di potersi davvero difendere per aver frequentato un corso di 40 ore è un inganno pericolosissimo. Molto.

Ma mette sul piatto una serie di questioni. Fa ragionare. E fa prendere confidenza con un corpo che non è abituato a muoversi in termini di difesa.

Altro discorso è un percorso marziale. Che dura anni. E allenamento costante, continuo, faticoso. Non solo fisicamente. Ma mentalmente ed emotivamente.
Un percorso marziale mette costantemente di fronte al limite. Fisico e mentale. Allena la frustrazione. La fatica. Insegna alla mente a essere attenta e presente. Insegna al corpo a muoversi per istinto.
Insegna le emozioni. E insegna a modularle.

Che la tecnica in sè non serve a niente. Come ben diceva sarastro. Una nera di karate può aver combattuto sul tatami. Ma se non ha mai sperimentato in reale, non saprà cosa fare.

In una situazione di aggressione reale scattano altri funzionamenti. Il corpo fa prima della mente. La mente interviene a posteriori. E serve una memoria muscolare per fare questo.

E serve il controllo acquisito e consolidato della mente a lasciare che il corpo faccia senza tuttavia farsi trascinare dal corpo. Ed è una sorta di retrocontrollo. Non passa attraverso il pensiero. Il pensiero è lento. In quelle situazioni.

Se pensi di dare un pugno, ne hai già presi tre...con un uomo di media forza ne basta uno per andare in terra.

Non pensi il pugno. Il corpo riconosce lo stimolo e agisce. Non RE-agisce. E per questo serve disciplina mentale.

Le arti marziali serie insegnano questo. (e se ho ridotto troppo all'osso confido in nob e brenin che mi integrino.)

Poi, so che le arti marziali hanno una brutta fama. Marziale in fondo significa guerra.
Capisco vengano confuse con gli sfoghi che anche io ho visti nelle gabbie delle arti che fra l'altro vanno molto di moda adesso.
Ma l'arte marziale è ben altro dalla gabbia, dal colpo cieco, dallo sfogo incontrollato di potenza.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Ti parlo dell'Aikido, perchè il Karate l'ho praticato per pochi anni ed ero troppo giovane per capirlo compiutamente. L'Aikido non insegna nulla, fondamentalmente disinsegna. Disinsegna l'ego, la separazione dagli altri e dal mondo, il rancore, la falsa forza... e tante altre cose. E ti fa trovare una grande armonia, anche nelle piccole cose della vita di ogni giorno.
quoto

Ti assicuro che una donna che pratica da anni all'occorrenza può difendersi. Ma sai cosa? È soprattutto una difesa preventiva, perchè la sicurezza e la tranquillità interiore che ti da la pratica seria di un arte marziale viene facilmente percepita dal prossimo.
e riquoto

:up:
 

Alessandra

πιθηκάκι



Perché non ho capito io. Non ho detto che non hai capito tu.​


:up:

Non era una critica :)
E' che....come l'esempio delle pantere nella giungla piena di nemici (se non ricordo male) è che non vedevo questa confusione e mi incuriosiva capire perché da fuori appare come rabbia confusa. Tutto qui :)
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
@ipazia

Non lo so se è il periodo particolare che sto attraversando. ...che mi fa sentire più sensibile del solito. ...

Ma ammetto che mi sono quasi commossa in quelle poche righe dove hai parlato di me.
In questo forum ho scritto un po' di tutto, un po' qui è un po' li'....
Eppure è proprio li' uno dei punti. Focalizzato in poche righe.
La relazione difficile con mio padre. Le difficoltà che mi ha creato su differenti sfere. Il rifiuto di essere una sorta di suddita a un uomo (come tutte le donne della mia famiglia). E poi la sperimentazione personale, di qualcosa che soddisfi me. E, appunto, le mie relazioni complicate, relazioni dove sperimento, provo e provo e ritrovo sempre quel modo di essere di fondo, che non accetto e che attuo quasi inconsapevole quando sono innamorata.
E sul lavoro uguale. Sono ambiziosa ma c'è sempre quel modo di base che mi frega. ...il timore di chiedere troppo. Di osare troppo. Abbattere questo "timore" e chiedre di essere valutata anche piu' delle mie capacita' è la mia prossima sfida.
E nel mio caso la rabbia, la stanchezza del vecchio modo, puó essere il motore per cambiare.
Ci vuole. Eccome se ci vuole.
Mi ritrovo in quello che dici...e sono contenta di averti colta, grazie di avermelo detto :)

Quel grassetto mi incuriosisce, cosa intendi per quel modo di essere di fondo?

Per me, nelle relazioni, in questa in particolare, la cosa complessa è la questione della responsabilità.
Mi da molto piacere assumermi responsabilità. E mi da molto piacere il prendermi cura. Anche il proteggere.
Adesso lo vedo chiaramente.

La mia fatica è metterci dentro la dolcezza. Innanzitutto la dolcezza per la me che si prende il piacere di quel modo di stare in relazione. Da questa penso discenda la dolcezza per l'altro. Che è tutt'altro che facile.

Che tendo a diventare cauta. E quindi rigida. E "tecnica".
Il fatto che il mio alfabeto dell'affetto sia "artigianale" e con certi gap di fondo mi mette ancora più in difficoltà.
I modi dell'affetto che ho imparato io da bambina sono stati "duri". Non si piangeva da me. E se si piangeva si rimaneva soli fino a che non si smetteva. Si teneva duro. Anche a costo di strisciare sui gomiti.

Tendo a riprodurre quel modo. Se non sono attenta, e più voglio bene più mi avvicino al nucleo dell'affetto profondo più tendo a riprodurre quei modi. Che però a me hanno fatto anche male. E entra in gioco la bambina quando sono in quei territori. Quindi mi ingarbuglio. E metto distanza.

Finendo per proteggere l'altro da me stessa.
Con quello che ne consegue nella considerazione di me e dell'altro...e qualche altro simpatico meccanismo di ritorno.

Che poi in fondo il tutto si riaggancia all'immagine di me come femmina e come donna.

Per quanto riguarda la rabbia di cui parli...uno degli allenamenti degli ultimi due anni ha riguardato il liberarmi della rivalsa. Del dover e del dover dimostrare. Del dover ottenere. Come se fosse sempre una guerra per dimostrare di potere.

Senza la rivalsa la rabbia, che è poi espressione di aggressività, si "ripulisce" e aumenta la lucidità e la possibilità di fare richieste possibili. A me stessa innanzitutto.
Diminuisce il dispendio di energia teso a controllare e di conseguenza aumentano le energie a disposizione per me.

E si sposta il limite ;):D

...ma più che altro mi stanco di meno. Che sono sempre stata una che teneva ritmi altissimi per poi, ottenuto quello che volevo, scoprirmi svuotata e mortalmente stanca. E quindi di nuovo in necessità di cercare stimoli ancora più alti. Un gioco che tende a diventare al massacro. Rispetto alla cura e alla considerazione di sè.

Oggi chiacchieravo con l'uomo con cui mi vedo, che in questi giorni mi diceva che la vita a volte è quella che è, e mette in mezzo eventi minuscoli ma che prendono il potere di rovinare cose meravigliose...e ci abbiamo sragionato un po' in questi giorni. Oggi mi è venuto in mente che un'altra lettura della stessa cosa è che la vita mette cose davanti agli occhi. Che non hanno nessun potere se non quello che gli si concede.

Che ogni cosa, avvenimento è una opportunità, se la si considera nella sua interezza; che considerandola nella sua interezza, considerando gli estremi di quello che può portare, si allarga il ventaglio di possibili decisioni su come posizionarsi.

Che è da un lato accettare l'imprevedibilità degli eventi ma anche riconoscersi la proattività necessaria e cercarci dentro, a trasformare i limiti in risorsa. A vedere opportunità. A prescindere.

Boh...ci sto meditando :D
 

Brunetta

Utente di lunga data
Ho qualche problema con lo smartphone e preferisco rispondere senza citare.
Il passaggio generazionale c'è stato diretto da madre-figlia, reali o simboliche, indiretto in forma politica. Ma lì c'è stato una caduta in conseguenza della crisi della politica.
Non si può pensare a un passaggio diretto generalizzato perché è stato un movimento di élite. Non ovviamente élite in senso classico, ma principalmente per la collocazione geografica e culturale in senso ampio. Una venticinquenne di Milano non era come la venticinquenne di provincia che magari era già madre di tre figli e casalinga.
L'ignoranza politica generale delle nuove generazioni è dovuta a quella crisi politica e culturale dalla quale non so come si uscirà. Stiamo avvicinandoci a una maggioranza di non votanti e non c'è modo di coinvolgere le nuove generazioni.
Il discorso delle arti marziali non so perché continui a ripeterlo partendo da una battuta. Se, come è, hanno una funzione formativa e se la possibilità di dovere davvero mettere in pratica è fortunatamente rara, è solo l'idea della giungla che può portare a difendere un'attività sportiva interessante quanto altre.
È il pensiero di poter avere a che fare con alta probabilità da un'aggressione che lo trovo forzato.
Appunto penso che sia più utile imparare a riconoscere i conflitti, anche con se stessi, e sapere trovare modi di risoluzione non violenta, piuttosto che prepararsi alla giungla.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Ma vedi: dove sta l'importanza di stabilire chi può abbattere chi?
Bellissimo praticare le arti marziali raccontandosi che danno equilibrio disciplina, forza d'animo, rispetto ecc ecc e poi alla prima occasione veder emergere questo principio di sopraffazione per cui "potrei ma non ti uccido".
Imparo l'arte di sferrare colpi mortali per poi- bontà mia, o disciplina/autocontrollo/ quello che volete- non lo faccio?
Siccome però i sono ignorante in materia vi chiedo: cosa insegnano queste arti?
Sai quale è il primo dei dieci principi fondamentali?

1) Raggiungere il più alto livello dell'Arte per essere utili.

Il resto lo trovi qui.

http://www.yindaoyangkungfu.it/regole-e-principi.html

Niente a che vedere con quello che hai descritto.
 

Alessandra

πιθηκάκι
[MENTION=5159]ipazia[/MENTION]

Eccolo li'....l'hai espresso e individuato bene :)
Sotto questo aspetto siamo simili.
Intendo quello in cui dici che tanto piu' sei coinvolta in una relazione, e tanto più viene alla luce il modo in cui, da bambina, hai imparato a esprimere l'affetto.
E che se non stai attenta, in una relazione in cui ti senti coinvolta, questo modo appreso emerge.
L'hai descritto e poi dici che è un modo che ti ha fatto soffrire e quindi poi entrano in gioco tutte le contraddizioni.
Eccolo qui.
Anche io non lo accetto.
Mi ha fatto soffrire. E ho visto che fa soffrire.
Le donna è mite, dolce. Se si difende fa le cose sotto sotto oppure sbraita un po' ma l'importante è avere un uomo a fianco. Senza la sua presenza sei perduta. E pur di averlo gli si perdona tutto. Tutto. In questo "tutto" ho visto quello che non avrei mai voluto vedere. Una mancanza di rispetto e di considerazione senza limiti.
Ho avuto una relazione che per me era importante. Io mi sentivo innamorata e ho tirato fuori questo modo di comunicare il mio amore, il mio affetto. Il mio ruolo. E poi mi sono sentita ingabbiata. Perché io sono molto altro, non solo quello e avevo trovato un uomo in cui questo mio modo di esprimermi era lo stesso codice usato da sua mamma. Donna di famiglia. Che si conciliava poco con le mie ambizioni, la mia vita sociale e tutto il resto, che non venivano mai prese sul serio. E io ci soffrivo. Arrivavo poi a sentirmi più compresa quando, con un.amico davanti a un Caffè, parlavo delle mie aspirazioni e ricevevo feedback interessati o cio' diventava veramente argomento di confronto e di idee. E ci rimanevo male. Mi chiedevo perché non potevo avere la stessa comprensione con il mio uomo. E poi con il tempo ho capito che ero io. Quando mi sento coinvolta in una relazione e penso alla costruzione di qualcosa (la scavolini :mexican:) poi faccio emergere quello che ho imparato da bambina. ...come se solo cosi' , giocando a fare la fidanzata tutta attenta per l'altro, dimenticando me, fosse l'unico modo per tenersi l'uomo a cui tengo. Non lo faccio neanche con reale consapevolezza. Emerge quando voglio bene a qualcuno.
E poi mi sento ingabbiata.
E quindi ora è una continua sperimentazione.
Voglio essere me stessa, sempre. Ma mi accorgo che appena qualcuno mi attrae davvero. ...emerge quel lato di me che mi fa sentire ingabbiata in un ruolo e che mi ricorda tristemente la mia devota mamma. Come se questo fosse l'unico modo per esprimere impegno e affetto in una relazione.
Mia mamma sta ancora pagando a caro prezzo il modo in cui si è posta nel suo matrimonio. (E a sua volta l'ha imparato nella sua famiglia...infatti tutte le mie zie hanno trovato mariti irrispettosi e alcuni anche davvero violenti) e tutto cio' ha avuto conseguenze anxhe su di me (appunto...mio padre ha creato grossi problemi anxhe a me. Siccome sono "donna" non merito rispetto, dal suo punto di vista).

Io non voglio essere cosi. Non voglio.
Me lo grido a gran voce dentro di me.
Peró l'alternativa. ..è un territorio completamente inesplorato, in cui sperimento e provo....alla ricerca di qualcosa che mi soddisfi.
E' anche per questo che a volte prendo male la fine di certe relazioni. E' come se il mio provare non riesce forse ad andare oltre. Me ne faccio una colpa.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Ho qualche problema con lo smartphone e preferisco rispondere senza citare.
Il passaggio generazionale c'è stato diretto da madre-figlia, reali o simboliche, indiretto in forma politica. Ma lì c'è stato una caduta in conseguenza della crisi della politica.
Non si può pensare a un passaggio diretto generalizzato perché è stato un movimento di élite. Non ovviamente élite in senso classico, ma principalmente per la collocazione geografica e culturale in senso ampio. Una venticinquenne di Milano non era come la venticinquenne di provincia che magari era già madre di tre figli e casalinga.
L'ignoranza politica generale delle nuove generazioni è dovuta a quella crisi politica e culturale dalla quale non so come si uscirà. Stiamo avvicinandoci a una maggioranza di non votanti e non c'è modo di coinvolgere le nuove generazioni.
Il discorso delle arti marziali non so perché continui a ripeterlo partendo da una battuta. Se, come è, hanno una funzione formativa e se la possibilità di dovere davvero mettere in pratica è fortunatamente rara, è solo l'idea della giungla che può portare a difendere un'attività sportiva interessante quanto altre.
È il pensiero di poter avere a che fare con alta probabilità da un'aggressione che lo trovo forzato.
Appunto penso che sia più utile imparare a riconoscere i conflitti, anche con se stessi, e sapere trovare modi di risoluzione non violenta, piuttosto che prepararsi alla giungla.
Io non parlo di ignoranza politica. Parlo di mancato passaggio fra le madri e le figlie. Proprio è perchè era un movimento di èlite che è rimasto fondamentalmente in se stesso da questo punto di vista.

mica disconosco i risvolti che si sono avuti, sia in ambito istituzionale sia in ambito sociale.

io sto segnalando una frattura che è diventata falla nel passaggio di informazioni rispetto alle motivazioni che hanno portato un'èlite ad affermare tutta una serie di questioni e a farlo in un determinato modo.

E parlo delle eredità. Che saranno da risolvere. La fluidità dei ruoli a cui stiamo assistendo, fra l'altro, secondo me, è un segnale di tentativo di risposta alle eredità generazionali.

Che spesso sono catene generazionali.

Dal punto di vista dell'educazione alla sessualità. All'affettività. Alle emozioni.

Per quanto riguarda l'arte marziale, forse ho capito dove non ci intendiamo.

Da praticante io so cosa posso fare con una palmata. Ne sono consapevole. Ma di più, ne sono responsabile. E ne rispondo.
Da praticante io so che sto praticando un'Arte Marziale. Quindi pensata per la guerra. E le tecniche che maneggio possono essere "armi".

Sai che come agonista ho aggravanti in caso mi trovassi coinvolta in situazioni in cui per difendermi passo allo scontro fisico?

Non avere la consapevolezza che l'arte marziale è stata pensata per la giungla, in particolare quella che io pratico che deriva dal combattimento di guerriglia di un popolo che aveva riconosciuto la sua debolezza di potenza e ne aveva fatto la sua risorsa, significa non sapere quello che si sta facendo.
Che è esattamente l'opposto alla disciplina dell'Arte.

E può diventare molto pericoloso fra l'altro.

Sapere della giungla che sta dietro significa solo sapere e maneggiare il sapere.

Sapere di potermi fidare del mio istinto, al femminile, in caso di aggressione, situazione non poi così lontana, visto che hanno scippato anche te se non ricordo male non più di un annetto fa, significa solo essere consapevole di me a diversi livelli.

La non violenza, l'educazione alla non violenza si struttura sulla presa d'atto del fatto che la violenza c'è. Esiste. Ha tante facce e sfaccettature. E da questo si parte per imparare a governarla e a governarsi. A partire dai piccoli conflitti.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Il pensiero finale sul Vuoto riassume perfettamente ciò che intendevo col disimparare :)
Già...è splendido vero?

Era e resta anche uno dei miei principali obiettivi praticando...la strada è lunga...ma somiglia molto al senso che sento di poter dare alla mia vita :)
 

Nobody

Utente di lunga data
Già...è splendido vero?

Era e resta anche uno dei miei principali obiettivi praticando...la strada è lunga...ma somiglia molto al senso che sento di poter dare alla mia vita :)
La strada è lunga e non accetta alcuna costrizione... né di tempo né di luogo. È il sentiero verso il Nulla.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Senza quella dolcezza "rilasciata" in tempi e modi opportuni penso che non si potrebbe mai vivere intensamente " quel momento " ... e siccome ci si accorgerebbe di non averlo vissuto,penso che il vaffa partirebbe ugualmente... ma a questo punto a che pro ? Concordo molto sulla dolcezza "degli altri "... per paradosso è come - dopo una scottatura più o meno recente - pensare di immergersi senza nemmeno pensarci in una vasca termale di un onsen giapponese...
però il timore o titubanza alla fine,pur con tutte le precauzioni ( mai sufficienti e mai dipendenti solo dalla nostra esclusiva volontà ) , si supereranno comunque ( in tempi e modi non definibili a priori ma derivanti " dall'attimo " ).
A me per ora il vaffa parte prima...ho ancora bisogno di fare il giro largo per arrivare a quel rilascio...:eek:

E per sentire di non perdere presenza in me, per sentirmi fedele a me. Con tutto quello che questo significa e mi muove. Ma sono d'accordo.

Anche sul resto...in particolare sul grassetto.

La questione del mai dipendenti dalla nostra volontà, mi fa scontrare con l'impotenza...ma ho dovuto pulirmi dalla rivalsa per poter vedere il nodo e iniziare a scioglierlo sinceramente.

..la strada è lunga...ma mi sembra proprio affascinante :)
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
La strada è lunga e non accetta alcuna costrizione... né di tempo né di luogo. È il sentiero verso il Nulla.
Già...io l'ho ribattezzata la "NullEssenza"...quando mi sembra di perdermi nei paradossi e mi prendo in giro :D
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
@ipazia

Eccolo li'....l'hai espresso e individuato bene :)
Sotto questo aspetto siamo simili.
Intendo quello in cui dici che tanto piu' sei coinvolta in una relazione, e tanto più viene alla luce il modo in cui, da bambina, hai imparato a esprimere l'affetto.
E che se non stai attenta, in una relazione in cui ti senti coinvolta, questo modo appreso emerge.
L'hai descritto e poi dici che è un modo che ti ha fatto soffrire e quindi poi entrano in gioco tutte le contraddizioni.
Eccolo qui.
Anche io non lo accetto.
Mi ha fatto soffrire. E ho visto che fa soffrire.
Le donna è mite, dolce. Se si difende fa le cose sotto sotto oppure sbraita un po' ma l'importante è avere un uomo a fianco. Senza la sua presenza sei perduta. E pur di averlo gli si perdona tutto. Tutto. In questo "tutto" ho visto quello che non avrei mai voluto vedere. Una mancanza di rispetto e di considerazione senza limiti.
Ho avuto una relazione che per me era importante. Io mi sentivo innamorata e ho tirato fuori questo modo di comunicare il mio amore, il mio affetto. Il mio ruolo. E poi mi sono sentita ingabbiata. Perché io sono molto altro, non solo quello e avevo trovato un uomo in cui questo mio modo di esprimermi era lo stesso codice usato da sua mamma. Donna di famiglia. Che si conciliava poco con le mie ambizioni, la mia vita sociale e tutto il resto, che non venivano mai prese sul serio. E io ci soffrivo. Arrivavo poi a sentirmi più compresa quando, con un.amico davanti a un Caffè, parlavo delle mie aspirazioni e ricevevo feedback interessati o cio' diventava veramente argomento di confronto e di idee. E ci rimanevo male. Mi chiedevo perché non potevo avere la stessa comprensione con il mio uomo. E poi con il tempo ho capito che ero io. Quando mi sento coinvolta in una relazione e penso alla costruzione di qualcosa (la scavolini :mexican:) poi faccio emergere quello che ho imparato da bambina. ...come se solo cosi' , giocando a fare la fidanzata tutta attenta per l'altro, dimenticando me, fosse l'unico modo per tenersi l'uomo a cui tengo. Non lo faccio neanche con reale consapevolezza. Emerge quando voglio bene a qualcuno.
E poi mi sento ingabbiata.
E quindi ora è una continua sperimentazione.
Voglio essere me stessa, sempre. Ma mi accorgo che appena qualcuno mi attrae davvero. ...emerge quel lato di me che mi fa sentire ingabbiata in un ruolo e che mi ricorda tristemente la mia devota mamma. Come se questo fosse l'unico modo per esprimere impegno e affetto in una relazione.
Mia mamma sta ancora pagando a caro prezzo il modo in cui si è posta nel suo matrimonio. (E a sua volta l'ha imparato nella sua famiglia...infatti tutte le mie zie hanno trovato mariti irrispettosi e alcuni anche davvero violenti) e tutto cio' ha avuto conseguenze anxhe su di me (appunto...mio padre ha creato grossi problemi anxhe a me. Siccome sono "donna" non merito rispetto, dal suo punto di vista).

Io non voglio essere cosi. Non voglio.
Me lo grido a gran voce dentro di me.
Peró l'alternativa. ..è un territorio completamente inesplorato, in cui sperimento e provo....alla ricerca di qualcosa che mi soddisfi.
E' anche per questo che a volte prendo male la fine di certe relazioni. E' come se il mio provare non riesce forse ad andare oltre. Me ne faccio una colpa.
Capisco bene il meccanismo che hai descritto. Da me l'affetto e la rabbia verso se stessa erano sovrapposte.
Mescolate nella depressione.

Quindi affetto era negare l'affetto nella sua espressione di dolcezza. Combatterci contro.

Sto semplificando di molto il meccanismo.
Ma il succo era qui.

E non era tanto il vederlo applicato su un uomo.
E' che è stato applicato su di me. Che quello è il modo dell'affetto che ho succhiato.

Quindi quello ho imparato. E riprodotto.

Finendo a temermi. E proteggere l'altro da me stessa. Passando fra gli estremi della protezione. Fagocitare l'altro e metterlo a distanze siderali.

LA violenza è stata un volano. Ha amplificato il tutto.

Mi sono resa conto che quel grido che tu descrivi, che fa fuggir via dall'altro, fuggendo in realtà da se stesse, è in realtà un richiamo. Che ha la necessità di essere esposto e ascoltato. Non combattuto.

E' la bambina che emerge quando viene sfiorato il nucleo dell'affetto.

Ecco...io ho imparato che la bambina ha bisogno di essere accolta, ascoltata, non temuta. Che poi fa casino se no.
Esposta e guardata.
E poi lasciata lì. Distinta dalla donna ma inclusa nel percorso per esserlo.

Per permettere alla Donna di decidere veramente in modo autonomo di Essere.

Che di quella gabbia, le chiavi non le ha in mano nessuno se non noi stesse.

Io ho imparato a includere la rabbia e dirigerla. E' il mio istinto di protezione e cura.
Sono goffa. Imbranata. Ma ogni pezzetto di corazza che lascio andare, ogni abbraccio con la bambina è un avvicinarmi di un altro passo alla Mia Casa.

E per una senza patria, trovare Casa, e trovarci un abbraccio che è solo un abbraccio...è proprio commovente. :)

Le relazioni...sono, mi sto accorgendo semplicemente percorsi comuni. A volte è semplicemente un corrersi vicini senza vedersi e senza toccarsi ma sentendosi.

Credo che non possano che finire. Quando non è dato saperlo.
Il punto, secondo me, è trovarci dentro dei "fatti che non possono essere sfatti". Per se stessi.

Che sono quei fatti, che spezzano le catene generazionali. E serve spezzarle. Ma prima bisogna vederle, guardarle e sentirle addosso. Poi si può decidere cosa farne.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Prendersi in giro è un'ottima abitudine :) è un mio vizio!
E' vero :)

Per me è cosa nuova. Che il mio vecchio prendermi in giro, era un darmi addosso mostrando i denti.

Penso che potrebbe diventare un vizio anche per me...intanto mi ci alleno. E mi fa bene. :)
 

Brunetta

Utente di lunga data
@ipazia

Eccolo li'....l'hai espresso e individuato bene :)
Sotto questo aspetto siamo simili.
Intendo quello in cui dici che tanto piu' sei coinvolta in una relazione, e tanto più viene alla luce il modo in cui, da bambina, hai imparato a esprimere l'affetto.
E che se non stai attenta, in una relazione in cui ti senti coinvolta, questo modo appreso emerge.
L'hai descritto e poi dici che è un modo che ti ha fatto soffrire e quindi poi entrano in gioco tutte le contraddizioni.
Eccolo qui.
Anche io non lo accetto.
Mi ha fatto soffrire. E ho visto che fa soffrire.
Le donna è mite, dolce. Se si difende fa le cose sotto sotto oppure sbraita un po' ma l'importante è avere un uomo a fianco. Senza la sua presenza sei perduta. E pur di averlo gli si perdona tutto. Tutto. In questo "tutto" ho visto quello che non avrei mai voluto vedere. Una mancanza di rispetto e di considerazione senza limiti.
Ho avuto una relazione che per me era importante. Io mi sentivo innamorata e ho tirato fuori questo modo di comunicare il mio amore, il mio affetto. Il mio ruolo. E poi mi sono sentita ingabbiata. Perché io sono molto altro, non solo quello e avevo trovato un uomo in cui questo mio modo di esprimermi era lo stesso codice usato da sua mamma. Donna di famiglia. Che si conciliava poco con le mie ambizioni, la mia vita sociale e tutto il resto, che non venivano mai prese sul serio. E io ci soffrivo. Arrivavo poi a sentirmi più compresa quando, con un.amico davanti a un Caffè, parlavo delle mie aspirazioni e ricevevo feedback interessati o cio' diventava veramente argomento di confronto e di idee. E ci rimanevo male. Mi chiedevo perché non potevo avere la stessa comprensione con il mio uomo. E poi con il tempo ho capito che ero io. Quando mi sento coinvolta in una relazione e penso alla costruzione di qualcosa (la scavolini :mexican:) poi faccio emergere quello che ho imparato da bambina. ...come se solo cosi' , giocando a fare la fidanzata tutta attenta per l'altro, dimenticando me, fosse l'unico modo per tenersi l'uomo a cui tengo. Non lo faccio neanche con reale consapevolezza. Emerge quando voglio bene a qualcuno.
E poi mi sento ingabbiata.
E quindi ora è una continua sperimentazione.
Voglio essere me stessa, sempre. Ma mi accorgo che appena qualcuno mi attrae davvero. ...emerge quel lato di me che mi fa sentire ingabbiata in un ruolo e che mi ricorda tristemente la mia devota mamma. Come se questo fosse l'unico modo per esprimere impegno e affetto in una relazione.
Mia mamma sta ancora pagando a caro prezzo il modo in cui si è posta nel suo matrimonio. (E a sua volta l'ha imparato nella sua famiglia...infatti tutte le mie zie hanno trovato mariti irrispettosi e alcuni anche davvero violenti) e tutto cio' ha avuto conseguenze anxhe su di me (appunto...mio padre ha creato grossi problemi anxhe a me. Siccome sono "donna" non merito rispetto, dal suo punto di vista).

Io non voglio essere cosi. Non voglio.
Me lo grido a gran voce dentro di me.
Peró l'alternativa. ..è un territorio completamente inesplorato, in cui sperimento e provo....alla ricerca di qualcosa che mi soddisfi.
E' anche per questo che a volte prendo male la fine di certe relazioni. E' come se il mio provare non riesce forse ad andare oltre. Me ne faccio una colpa.

Hai fatto un gran bel percorso. Immagino che se te l'avessero detto qualche anno fa che ti ingabbiavi da sola ti saresti ribellata. Se è così cerca di essere più aperta in futuro ad altri contributi.
 

Skorpio

Utente di lunga data
...

[MENTION=5159]ipazia[/MENTION]

Eccolo li'....l'hai espresso e individuato bene :)
Sotto questo aspetto siamo simili.
Intendo quello in cui dici che tanto piu' sei coinvolta in una relazione, e tanto più viene alla luce il modo in cui, da bambina, hai imparato a esprimere l'affetto.
E che se non stai attenta, in una relazione in cui ti senti coinvolta, questo modo appreso emerge.
L'hai descritto e poi dici che è un modo che ti ha fatto soffrire e quindi poi entrano in gioco tutte le contraddizioni.
Eccolo qui.
Anche io non lo accetto.
Mi ha fatto soffrire. E ho visto che fa soffrire.
Le donna è mite, dolce. Se si difende fa le cose sotto sotto oppure sbraita un po' ma l'importante è avere un uomo a fianco. Senza la sua presenza sei perduta. E pur di averlo gli si perdona tutto. Tutto. In questo "tutto" ho visto quello che non avrei mai voluto vedere. Una mancanza di rispetto e di considerazione senza limiti.
Ho avuto una relazione che per me era importante. Io mi sentivo innamorata e ho tirato fuori questo modo di comunicare il mio amore, il mio affetto. Il mio ruolo. E poi mi sono sentita ingabbiata. Perché io sono molto altro, non solo quello e avevo trovato un uomo in cui questo mio modo di esprimermi era lo stesso codice usato da sua mamma. Donna di famiglia. Che si conciliava poco con le mie ambizioni, la mia vita sociale e tutto il resto, che non venivano mai prese sul serio. E io ci soffrivo. Arrivavo poi a sentirmi più compresa quando, con un.amico davanti a un Caffè, parlavo delle mie aspirazioni e ricevevo feedback interessati o cio' diventava veramente argomento di confronto e di idee. E ci rimanevo male. Mi chiedevo perché non potevo avere la stessa comprensione con il mio uomo. E poi con il tempo ho capito che ero io. Quando mi sento coinvolta in una relazione e penso alla costruzione di qualcosa (la scavolini :mexican:) poi faccio emergere quello che ho imparato da bambina. ...come se solo cosi' , giocando a fare la fidanzata tutta attenta per l'altro, dimenticando me, fosse l'unico modo per tenersi l'uomo a cui tengo. Non lo faccio neanche con reale consapevolezza. Emerge quando voglio bene a qualcuno.
E poi mi sento ingabbiata.
E quindi ora è una continua sperimentazione.
Voglio essere me stessa, sempre. Ma mi accorgo che appena qualcuno mi attrae davvero. ...emerge quel lato di me che mi fa sentire ingabbiata in un ruolo e che mi ricorda tristemente la mia devota mamma. Come se questo fosse l'unico modo per esprimere impegno e affetto in una relazione.
Mia mamma sta ancora pagando a caro prezzo il modo in cui si è posta nel suo matrimonio. (E a sua volta l'ha imparato nella sua famiglia...infatti tutte le mie zie hanno trovato mariti irrispettosi e alcuni anche davvero violenti) e tutto cio' ha avuto conseguenze anxhe su di me (appunto...mio padre ha creato grossi problemi anxhe a me. Siccome sono "donna" non merito rispetto, dal suo punto di vista).

Io non voglio essere cosi. Non voglio.
Me lo grido a gran voce dentro di me.
Peró l'alternativa. ..è un territorio completamente inesplorato, in cui sperimento e provo....alla ricerca di qualcosa che mi soddisfi.
E' anche per questo che a volte prendo male la fine di certe relazioni. E' come se il mio provare non riesce forse ad andare oltre. Me ne faccio una colpa.
Quello che descrivi, Alessandra, (e ti do una prospettiva maschile) è un meccanismo assai diffuso in realtà, anche a rovescio (uomini che subiscono x paura di perdere) ed in effetti pericoloso.

A volte si descrive anche qui la degenerazione di un rapporto con "corresponsabilità" ed in effetti il meccanismo che si crea sfugge di mano, se si guardano solo benefici del momento (lui è ancora qui da una parte) (si è fatto come volevo io, dalla altra)

Io mi sono trovato varie volte in questo meccanismo, cogliendo la debolezza dell altra parte, la paura di perdere.

Ed è stato fastidiosissimo x me... Che sentir in pugno l altra persona la svalorizzava ai miei occhi, e svalorizzava me.

Ad altri uomini questo piace, inizialmente. Ma può sfuggire di mano.

può innescare meccanismi di violenza crescente e pericolosa, che è guidata da una sorta di "rabbia verso la sottomissione" di chi teme di esser lasciato.

Il meccanismo di rilancio può sfuggire di mano ( voglio vedere se regge anche questa)

E spesso escono le botte, l umiliazione, il disprezzo, che nelle situazioni che ho conosciuto io esprimevano la rabbia verso la compagna che "non reagiva"...

Per cui... Aver paura di perdere è normale e legittimo per chi ha accanto una persona che ama.

Rinnegare questa paura, ammantandola di finta sicurezza la vedo cosa inutile e dannosa... Se la paura di base esiste. Riemergerà.

Ma la paura puo esser gestita diversamente dal modo che descrivi, fissandola non al livello della sua soddisfazione (del tuo compagno) dove sembra risiedere dalla tua descrizione..
Ma riportandola a te.

Tradotto in due righe:

Da: ho paura di perderti nella tua insoddisfazione

A: ho paura di perdermi nella tua soddisfazione

Facile a scriverlo, meno semplice a applicarlo...
Magari è un buon indizio.. :)
Forza!
 
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