Capisco bene il meccanismo che hai descritto. Da me l'affetto e la rabbia verso se stessa erano sovrapposte.
Mescolate nella depressione.
Quindi affetto era negare l'affetto nella sua espressione di dolcezza. Combatterci contro.
Sto semplificando di molto il meccanismo.
Ma il succo era qui.
E non era tanto il vederlo applicato su un uomo.
E' che è stato applicato su di me. Che quello è il modo dell'affetto che ho succhiato.
Quindi quello ho imparato. E riprodotto.
Finendo a temermi. E proteggere l'altro da me stessa. Passando fra gli estremi della protezione. Fagocitare l'altro e metterlo a distanze siderali.
LA violenza è stata un volano. Ha amplificato il tutto.
Mi sono resa conto che quel grido che tu descrivi, che fa fuggir via dall'altro, fuggendo in realtà da se stesse, è in realtà un richiamo. Che ha la necessità di essere esposto e ascoltato. Non combattuto.
E' la bambina che emerge quando viene sfiorato il nucleo dell'affetto.
Ecco...io ho imparato che la bambina ha bisogno di essere accolta, ascoltata, non temuta. Che poi fa casino se no.
Esposta e guardata.
E poi lasciata lì. Distinta dalla donna ma inclusa nel percorso per esserlo.
Per permettere alla Donna di decidere veramente in modo autonomo di Essere.
Che di quella gabbia, le chiavi non le ha in mano nessuno se non noi stesse.
Io ho imparato a includere la rabbia e dirigerla. E' il mio istinto di protezione e cura.
Sono goffa. Imbranata. Ma ogni pezzetto di corazza che lascio andare, ogni abbraccio con la bambina è un avvicinarmi di un altro passo alla Mia Casa.
E per una senza patria, trovare Casa, e trovarci un abbraccio che è solo un abbraccio...è proprio commovente.
Le relazioni...sono, mi sto accorgendo semplicemente percorsi comuni. A volte è semplicemente un corrersi vicini senza vedersi e senza toccarsi ma sentendosi.
Credo che non possano che finire. Quando non è dato saperlo.
Il punto, secondo me, è trovarci dentro dei "fatti che non possono essere sfatti". Per se stessi.
Che sono quei fatti, che spezzano le catene generazionali. E serve spezzarle. Ma prima bisogna vederle, guardarle e sentirle addosso. Poi si può decidere cosa farne.