Responsabilità

Arcistufo

Papero Talvolta Posseduto
O hai come dipendenti degli scemi.
O altrimenti nei posti lager dove la gente va malvolentieri il turn over e' garantito.
Non è che ti alzi alle cinque per essere inculato.
Di solito. Altrimenti inizio a preoccuparmi :)
Dio benedica quelli bravi che si sentono insostituibili.
 

alberto15

Utente di lunga data
Non condivido una parola di questo articolo. Andare a suicidarsi per provare i propri limiti è un affare individuale, andare a rischiare la vita per farlo, crescere senza un marito o un padre no, è una cosa che ci riguarda tutti perchè come appunto il titolo del 3d è un fatto di "responsabilità" collettiva, non individuale, che viene prima e distingue un adulto da un bambino mai cresciuto, appunto. La sfida ha un senso se è razionale, sennò diventa appunto un suicidio. Detto per inciso credo che l'umanità abbia ricevuto molto di più da personaggi come Freud, Darwin e lo sconosciuto inventore dell' ombrello piuttosto che da questi inutili Peter Pan della sfida.
Per dirla da Mainstream ti quoto anche se era la sua la vita. Sarebbe stato peggio se avesse giocato con la vita degli altri....
 

alberto15

Utente di lunga data
Gente che ragiona così è il motivo per cui io posso alzarmi alle 9 e incularmi a sale il mio schiavo che si é alzato alle 5 e ha fatto tardi. Avanti così.
Dio, quanto amo i polli in batteria. :rotfl:
la Giurisprudenza e' quanto di piu' opinabile ci sia al mondo, quindi......
 

spleen

utente ?
Per dirla da Mainstream ti quoto anche se era la sua la vita. Sarebbe stato peggio se avesse giocato con la vita degli altri....
Lo ha fatto. Ha giocato con quella del suo compagno di cordata convincendolo a partecipare ad una impresa mortalmente inutile, con quella di eventuali soccorritori che potevano rimanere uccisi in una operazione per tirarlo fuori dalla merda in cui si era cacciato, con quella di sua moglie che ha lasciato vedova, con quella di suo figlio che non lo conoscerà mai ed infine con quella di quel branco di idioti che inevitabilmente lo emuleranno mettendo in evidenza come una parte del genere umano sia pervaso da infantilismo incapace di superare mentalmente l'età adolescenziale delle sfide inutili. Lo ho già detto prima, il genere umano ha bisogno di gente che pensa, che usa il cervello anche nelle sfide alla natura, non di inutili suicidi tesi a dimostrare che non ci sono limiti, quando poi i limiti sono lì ben presenti e ti schiacciano come un insetto sotto valanghe di neve alta quanto palazzi di 8 piani che si staccano a decine random lungo una parete che tutti ti hanno consigliato e pregato di evitare.
 
Ultima modifica:

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Lo ha fatto. Ha giocato con quella del suo compagno di cordata convincendolo a partecipare ad una impresa mortalmente inutile, con quella di eventuali soccorritori che potevano rimanere uccisi in una operazione per tirarlo fuori dalla merda in cui si era cacciato, con quella di sua moglie che ha lasciato vedova, con quella di suo figlio che non lo conoscerà mai ed infine con quella di quel branco di idioti che inevitabilmente lo emuleranno mettendo in evidenza come una parte del genere umano sia pervaso da infantilismo incapace di superare mentalmente l'età adolescenziale delle sfide inutili. Lo ho già detto prima, il genere umano ha bisogno di gente che pensa, che usa il cervello anche nelle sfide alla natura, non di inutili suicidi tesi a dimostrare che non ci sono limiti, quando poi i limiti sono lì ben presenti e ti schiacciano come un insetto sotto valanghe di neve alta quanto palazzi di 8 piani che si staccano a decine random lungo una parete che tutti ti hanno consigliato e pregato di evitare.

Boh...gli adulti coinvolti in questa vicenda non li vedo come "vittime" del gioco di un altro.
Hanno giocato anche loro.

Gli adulti.
Il figlio no.
Ma credo anche che sia in essenza dell'esser figlio il pagamento degli errori di valutazione dei genitori, o il riscuotere il patrimonio lasciato in eredità.
Salvo si voglia arrivare ad estremi come questo..

eppure...a mio parere la storia dell'umanità è fatta sia dalle vite sia dalle morti.

Penso a quelli che si sono avventurati nell'oceano avendo come unica certezza la morte o al mito di Icaro...a quei pazzi che decisero che avrebbero potuto sollevarsi in volo e attraversare spazi.

I rischi di Icaro



[FONT=solferino_regular]Sono passati oltre cent'anni da quando, per la prima volta, qualcuno decise di buttarsi nel vuoto con una tuta-paracadute. Era il 4 febbraio 1912. Quel giorno il sarto austriaco Franz Reichelt, 33 anni, salì sulla prima terrazza della Torre Eiffel con uno strano abito cucito da lui stesso. Ci aveva lavorato per anni, ossessionato dall'idea di creare un vestito in grado di permettere agli aviatori di salvarsi in caso di emergenza. Il video è su Youtube e, cent'anni dopo, fa ancora impressione. Le ali nere, i baffi lunghi, la coppola in testa. Salì su uno sgabellino e da lì passò sulla balaustra. Prima di saltare esitò molto. Guardò a destra e a sinistra. Dopo qualche minuto, fece un passo in avanti e si sfracellò al suolo.[/FONT]

[FONT=solferino_regular][video=youtube;VP7FgvLpX8I]https://www.youtube.com/watch?v=VP7FgvLpX8I[/video][/FONT]

Lui per esempio l'ho amato.
E ho capito la sua morte.

Morire mentre si fa quel che si ama. Penso sia un bel morire.


 
Ultima modifica:

spleen

utente ?
Boh...gli adulti coinvolti in questa vicenda non li vedo come "vittime" del gioco di un altro. Hanno giocato anche loro. Gli adulti. Il figlio no. Ma credo anche che sia in essenza dell'esser figlio il pagamento degli errori di valutazione dei genitori, o il riscuotere il patrimonio lasciato in eredità. Salvo si voglia arrivare ad estremi come questo.. eppure...a mio parere la storia dell'umanità è fatta sia dalle vite sia dalle morti. Penso a quelli che si sono avventurati nell'oceano avendo come unica certezza la morte o al mito di Icaro...a quei pazzi che decisero che avrebbero potuto sollevarsi in volo e attraversare spazi. I rischi di Icaro
[FONT=solferino_regular]Sono passati oltre cent'anni da quando, per la prima volta, qualcuno decise di buttarsi nel vuoto con una tuta-paracadute. Era il 4 febbraio 1912. Quel giorno il sarto austriaco Franz Reichelt, 33 anni, salì sulla prima terrazza della Torre Eiffel con uno strano abito cucito da lui stesso. Ci aveva lavorato per anni, ossessionato dall'idea di creare un vestito in grado di permettere agli aviatori di salvarsi in caso di emergenza. Il video è su Youtube e, cent'anni dopo, fa ancora impressione. Le ali nere, i baffi lunghi, la coppola in testa. Salì su uno sgabellino e da lì passò sulla balaustra. Prima di saltare esitò molto. Guardò a destra e a sinistra. Dopo qualche minuto, fece un passo in avanti e si sfracellò al suolo.[/FONT] [FONT=solferino_regular][video=youtube;VP7FgvLpX8I]https://www.youtube.com/watch?v=VP7FgvLpX8I[/video][/FONT] Lui per esempio l'ho amato. E ho capito la sua morte. Morire mentre si fa quel che si ama. Penso sia un bel morire.
Persisto nell'affermare che l'umanità deve molto di più all' inventore dell' ombrello e della pasta sfoglia e che i passi avanti li ha fatti fare la gente che pensa. Se poi vogliamo affermare che assistere al suicidio di uno può educare molti a riflettere sui pericoli che alcune attività estreme portano con se posso pure essere d'accordo. Il paragone con i grandi navigatori del passato regge fino ad un certo punto. Chi navigava faceva dei calcoli e per darti in mano una nave con un equipaggio ed un carico prima dovevi diventare capitano, partendo molto spesso da mozzo, il che ti insegnava per bene già dall' inizio da che parte tirava l'aria e che responsabilità avevi. Colombo, De Gama, Cook, Da Mosto, Vespucci, Caboto, gli Zeno e Querini sapevano bene valutare i rischi ed è per questo che le loro spedizioni sono riuscite. Preferisco in ogni caso vivere per quello che amo, piuttosto che morirci.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Persisto nell'affermare che l'umanità deve molto di più all' inventore dell' ombrello e della pasta sfoglia e che i passi avanti li ha fatti fare la gente che pensa. Se poi vogliamo affermare che assistere al suicidio di uno può educare molti a riflettere sui pericoli che alcune attività estreme portano con se posso pure essere d'accordo. Il paragone con i grandi navigatori del passato regge fino ad un certo punto. Chi navigava faceva dei calcoli e per darti in mano una nave con un equipaggio ed un carico prima dovevi diventare capitano, partendo molto spesso da mozzo, il che ti insegnava per bene già dall' inizio da che parte tirava l'aria e che responsabilità avevi. Colombo, De Gama, Cook, Da Mosto, Vespucci, Caboto, gli Zeno e Querini sapevano bene valutare i rischi ed è per questo che le loro spedizioni sono riuscite. Preferisco in ogni caso vivere per quello che amo, piuttosto che morirci.
Sono d'accordo sul peso che veniva data alla responsabilità...e penso alla Concordia a contraltare, per dire...

Sono piuttosto convinta che ogni essere sia figlio del suo tempo.

Mi ricordo una frase, non so chi l'ha detta...spesso un eroe è colui il quale non ha avuto il coraggio di scappare.

Vera e falsa. Contemporaneamente.

Penso a Gayardon...calcoli, su calcoli...e poi ha sbagliato.

Per quelle spedizioni riuscite ne sono fallite altrettante.
E' storia umana quella del costruire sul fallimento e sulla morte.

E no, non penso sia educativo nel senso di pedagogico.
Ma lo sia invece nei termini di vita.

Io credo che il discorso sia da un'altra parte.
Ossia sul valore che si da alla propria vita.

Ai propri sogni e alle proprie aspirazioni.

Io vedo un suicidio - lento - anche in chi si uccide ogni singolo giorno facendo una vita che potrebbe non fare ma che fa per sicurezza e prudenza.
E' viv* sì...ma lentamente morente. Uccide sogni e passioni. Si spegne e tira giù chi gli sta accanto in un modno grigio e spento. come se la vita fosse camminare in fila.

Con questo non inneggio nè all'uno nè all'altro. Sia ben chiaro.
Nè a chi cammina a testa bassa seguendo la fila nè a chi si lancia sfidando una morte praticamente certa.
Vedo responsabilità in entrambe le situazioni.
E vedo possibili critiche ad entrambe le prospettive.

Ma se penso a me in questo ultimo periodo.
Sai quale è la cosa che mi fa incazzare veramente tantissimo? Ma proprio tanto?

Che non stavo facendo qualcosa che riguardasse una mia passione.
Non ero su un tatami. O in montagna. O in qualche specchio d'acqua.

Minchia se mi fa incazzare.
E se penso che tutto sommato mi è andata di lusso e avrei potuto rimetterci ben altro...ecco, mi incazzo ancora di più.
E mi fa pensare parecchio alla prudenza.

Vivo per quel che amo e penso sia questa l'unica condizione che crea la possibilità di morire per quel che si ama.
E sono pari, una non è data senza l'altra vicendevolmente.
 
Ultima modifica:

spleen

utente ?
Sono d'accordo sul peso che veniva data alla responsabilità...e penso alla Concordia a contraltare, per dire... Sono piuttosto convinta che ogni essere sia figlio del suo tempo. Mi ricordo una frase, non so chi l'ha detta...spesso un eroe è colui il quale non ha avuto il coraggio di scappare. Vera e falsa. Contemporaneamente. Penso a Gayardon...calcoli, su calcoli...e poi ha sbagliato. Per quelle spedizioni riuscite ne sono fallite altrettante. E' storia umana quella del costruire sul fallimento e sulla morte. E no, non penso sia educativo nel senso di pedagogico. Ma lo sia invece nei termini di vita. Io credo che il discorso sia da un'altra parte. Ossia sul valore che si da alla propria vita. Ai propri sogni e alle proprie aspirazioni. Io vedo un suicidio - lento - anche in chi si uccide ogni singolo giorno facendo una vita che potrebbe non fare ma che fa per sicurezza e prudenza. E' viv* sì...ma lentamente morente. Uccide sogni e passioni. Si spegne e tira giù chi gli sta accanto in un modno grigio e spento. come se la vita fosse camminare in fila. Con questo non inneggio nè all'uno nè all'altro. Sia ben chiaro. Nè a chi cammina a testa bassa seguendo la fila nè a chi si lancia sfidando una morte praticamente certa. Vedo responsabilità in entrambe le situazioni. E vedo possibili critiche ad entrambe le prospettive. Ma se penso a me in questo ultimo periodo. Sai quale è la cosa che mi fa incazzare veramente tantissimo? Ma proprio tanto? Che non stavo facendo qualcosa che riguardasse una mia passione. Non ero su un tatami. O in montagna. O in qualche specchio d'acqua. Minchia se mi fa incazzare. E se penso che tutto sommato mi è andata di lusso e avrei potuto rimetterci ben altro...ecco, mi incazzo ancora di più. E mi fa pensare parecchio alla prudenza. Vivo per quel che amo e penso sia questa l'unica condizione che crea la possibilità di morire per quel che si ama. E sono pari, una non è data senza l'altra vicendevolmente.
Sei arrivata a queste conclusioni perchè hai pensato. E hai deciso che vivi per quello che ti piace fare, morirci per me non ha senso perchè mi priva della condizione necessaria e indispensabile per continuare a farlo: Esserci. In molte specie, inclusa quella umana la percentuale di giovani (maschi in particolare) che si spingono "oltre" per acquisire nuove conquiste alla specie è un dato fisiologico e di fatto, per alcuni che falliscono altri riescono, è nel computo che la natura ha stabilito per noi, ma guai a confondere la spinta adolescenziale confondendola col senso perenne della vita. E' chiaro che il mio non è un elogio alla mediocrità, per quanto molta gente ci sta bene e se ci sta bene ha ragione di rimanerci, il mio è un incoraggiamento a pensare, anche nelle prove in cui ci imbarchiamo.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Sei arrivata a queste conclusioni perchè hai pensato. E hai deciso che vivi per quello che ti piace fare, morirci per me non ha senso perchè mi priva della condizione necessaria e indispensabile per continuare a farlo: Esserci. In molte specie, inclusa quella umana la percentuale di giovani (maschi in particolare) che si spingono "oltre" per acquisire nuove conquiste alla specie è un dato fisiologico e di fatto, per alcuni che falliscono altri riescono, è nel computo che la natura ha stabilito per noi, ma guai a confondere la spinta adolescenziale confondendola col senso perenne della vita. E' chiaro che il mio non è un elogio alla mediocrità, per quanto molta gente ci sta bene e se ci sta bene ha ragione di rimanerci, il mio è un incoraggiamento a pensare, anche nelle prove in cui ci imbarchiamo.

Eh...il senso della vita. :)

Io non lo so, dico davvero.
A questo livello so quello che non lo è per me.

Io non correrei il rischio di sfidare una montagna, per dire.
Ma neanche mi imbarcherei su una nave che parte ad esplorare Marte.

Cosa distingue la spinta adolescenziale dal desiderio di spingersi oltre?

Poi sono d'accordo, pienamente, sull'incoraggiamento al pensare.
Al valutare i rischi. Ma anche sapendo che i rischi, per quanto li si valuti non sono valutabili, se ci si avventura dove altri non sono andati (per non esserci stati mai o per aver fallito provandoci)

Tante cime, ritenute impossibili, sono state rese possibili.
Prima che fosse possibile è stato impossibile.
E fra impossibile e possibile sono morti, uomini e donne e figli han perso padri e madri.

Di mio non ho il mito dell'eroe.
Penso che tanti eroi lo siano diventati solo perchè sono sopravvissuti.
Se fossero morti sarebbero stati dei pazzi a cui in tanti l'avevano detto. Irresponsabili.
Penso che la maggior parte delle grandi scoperte, il filo che separa impossibile da possibile sia un azzardo. E che abbia un prezzo. A volte è la morte. L'insignificanza in altri.
A volte è la relativa eternità del tempo del ricordo umano.

Quello che voleva un paracadute per salvare gli aviatori e si è lanciato dalla tour eiffel morendo...chi era?
Un adolescente o uno che si voleva spingere oltre?
E la spinta "altruistica" (se poi c'era) a fare la differenza?

Tutto qui.

Io non so chi fosse questo tipo, non so quale fosse la sua spinta.
Forse era un adolescente mai cresciuto.
Forse no. Forse voleva percorrere una via ritenuta impossibile e ha sbagliato i suoi calcoli del rischio.

Credo che quel che si legge sui giornali riguardi chi lo scrive. Però.

Quanto alla mediocrità, che è poi diversa per ognuno...penso anche io che chi sta bene dove sta faccia bene a starci. Paga comunque lui/lei il prezzo.
Ma penso che lo stesso discorso valga anche per chi vuole andare oltre.

Ad essere in gioco è la vita, in entrambi i casi.

Io davvero non riesco a fare una scala di valore fra chi si spegne lentamente giorno dopo giorno per mantenere uno status quo e chi si lancia i imprese per attraversare la linea di separazione fra possibile e impossibile.

Francamente, io non c'ero, ma non penso che quando Messner ha fatto le sue intorno a lui gli dicessero vai, è possibilissimo. Lui aveva deciso che era possibile.
A lui è andata bene.

Ma aveva un fratello. Ricordi?

Posso morire per quello che amo solo se ho vissuto per quello che amo.
Se passo la vita a ritenere più prudente stare a bordo pista rinunciando a quel amo, o non amo abbastanza o amo il bordo pista.
non so se mi spiego.

Il fine ultimo non penso sia morire per nessuno. Per quanto non esista altro fine ultimo a nostra conoscenza ora come ora.
Ma morire per quel che si ama, significa esattamente fare tutto quel che è in proprio potere per esserci e vivere facendolo. E' la stessa cosa.

Non sto parlando del sacrificio in nome di.

Dico solo che a volte, facendo quel che si ama, si muore.
E penso che sia una bella morte.
O almeno la auguro a me e mi impegno in quella direzione.
 
Ultima modifica:

Brunetta

Utente di lunga data
Comunque il tema era la responsabilità verso gli altri, partner e soprattutto figli.
Se una persona desidera vivere pericolosamente non credo che sia coerente se contemporaneamente mette su famiglia.
La vita è fatta di scelte e bisogna saper scegliere responsabilmente.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Comunque il tema era la responsabilità verso gli altri, partner e soprattutto figli.
Se una persona desidera vivere pericolosamente non credo che sia coerente se contemporaneamente mette su famiglia.
La vita è fatta di scelte e bisogna saper scegliere responsabilmente.
Metter su famiglia...lo si fa a partire da due.

Se non ci si è raccontati troppe balle o fatte troppe promesse campate per aria pur di avere la vicinanza dell'altro, si è corresponsabili.

Ci si sceglie...e insieme si scelgono i rischi che si corrono.

Se io mi sposo un appassionato di free climbing e un giorno cade...era nel computo la sua morte.
E in quel computo la valutazione di compartecipare al fare figli e metter su famiglia.
E penso che ne parlerei.
E insieme si deciderebbe.
Ma anche senza figli.

Poi capisco quello che intendi...fai un figlio e poi vai a rischiare la pelle, sapendo pure che il rischio è altissimo...sei uno stronzo. O una stronza.

Non penso sia un discorso di coerenza però.
Ma di di aderenza.
 
Ultima modifica:

spleen

utente ?
Eh...il senso della vita. :)

Io non lo so, dico davvero.
A questo livello so quello che non lo è per me.

Io non correrei il rischio di sfidare una montagna, per dire.
Ma neanche mi imbarcherei su una nave che parte ad esplorare Marte.

Cosa distingue la spinta adolescenziale dal desiderio di spingersi oltre?

Poi sono d'accordo, pienamente, sull'incoraggiamento al pensare.
Al valutare i rischi. Ma anche sapendo che i rischi, per quanto li si valuti non sono valutabili, se ci si avventura dove altri non sono andati (per non esserci stati mai o per aver fallito provandoci)

Tante cime, ritenute impossibili, sono state rese possibili.
Prima che fosse possibile è stato impossibile.
E fra impossibile e possibile sono morti, uomini e donne e figli han perso padri e madri.

Di mio non ho il mito dell'eroe.
Penso che tanti eroi lo siano diventati solo perchè sono sopravvissuti.
Se fossero morti sarebbero stati dei pazzi a cui in tanti l'avevano detto. Irresponsabili.
Penso che la maggior parte delle grandi scoperte, il filo che separa impossibile da possibile sia un azzardo. E che abbia un prezzo. A volte è la morte. L'insignificanza in altri.
A volte è la relativa eternità del tempo del ricordo umano.

Quello che voleva un paracadute per salvare gli aviatori e si è lanciato dalla tour eiffel morendo...chi era?
Un adolescente o uno che si voleva spingere oltre?
E la spinta "altruistica" (se poi c'era) a fare la differenza?

Tutto qui.

Io non so chi fosse questo tipo, non so quale fosse la sua spinta.
Forse era un adolescente mai cresciuto.
Forse no. Forse voleva percorrere una via ritenuta impossibile e ha sbagliato i suoi calcoli del rischio.

Credo che quel che si legge sui giornali riguardi chi lo scrive. Però.

Quanto alla mediocrità, che è poi diversa per ognuno...penso anche io che chi sta bene dove sta faccia bene a starci. Paga comunque lui/lei il prezzo.
Ma penso che lo stesso discorso valga anche per chi vuole andare oltre.

Ad essere in gioco è la vita, in entrambi i casi.

Io davvero non riesco a fare una scala di valore fra chi si spegne lentamente giorno dopo giorno per mantenere uno status quo e chi si lancia i imprese per attraversare la linea di separazione fra possibile e impossibile.

Francamente, io non c'ero, ma non penso che quando Messner ha fatto le sue intorno a lui gli dicessero vai, è possibilissimo. Lui aveva deciso che era possibile.
A lui è andata bene.

Ma aveva un fratello. Ricordi?

Posso morire per quello che amo solo se ho vissuto per quello che amo.
Se passo la vita a ritenere più prudente stare a bordo pista rinunciando a quel amo, o non amo abbastanza o amo il bordo pista.
non so se mi spiego.

Il fine ultimo non penso sia morire per nessuno. Per quanto non esista altro fine ultimo a nostra conoscenza ora come ora.
Ma morire per quel che si ama, significa esattamente fare tutto quel che è in proprio potere per esserci e vivere facendolo. E' la stessa cosa.

Non sto parlando del sacrificio in nome di.

Dico solo che a volte, facendo quel che si ama, si muore.
E penso che sia una bella morte.
O almeno la auguro a me e mi impegno in quella direzione.
Non mi interessa la bella morte, mi interessa esserci. Quanto al senso della vita per me la risposta sta nella domanda, il senso della vita è primariamente la vita stessa, se lo ammanti di "motivi per cui morire" fai la stessa operazione di chi si procura una cintura esplosiva e si fa saltare in nome di un dio. Il nostro dio oggigiorno è diventato il "gesto" o le gesta, se preferisci.
Probabilmente come società abbiamo perso il senso del valore della nostra vita e di riflesso di quella degli altri, forse siamo talmente sazi di cibo e di idee da poterci permettere di sminuire persino il fatto di esistere.
Sono abbastanza vecchio per ricordare i racconti di quel mio nonno che fece quattro anni di trincea nella prima guerra mondiale, sopravvivere a quattro anni di brutture e rimanere vivo, già, ancora vivo, come nel titolo di quel film.

Se non dai valore alla tua di vita non lo dai nemmeno a quella degli altri.
Trasformi questo paradiso che ci è concesso in un inferno, che è il vero inferno, quello della negazione di essere prima di tutto, quello di rigettare per capriccio persino la nostra dimensione dell'esistere che è lunica cosa che abbiamo e che non avremo nemmeno per sempre.
Ieri un amico mi ha mostrato il video della strage in Nuova Zelanda, glielo avevano inviato prima che i gestori di rete lo facessero sparire, non volevo vederlo e in ogni caso ne sono rimasto scioccato, ho però capito cosa pervade certe menti, non il desiderio di fare del male, no, sono pervasi dalla volontà di distruggere, distruggere non solo quello che pensano sia il loro nemico, distruggere tutto, anche se stessi e la propria esistenza. E' questa volontà di distruggere che pervade il nostro tempo, è questa negazione che è la nostra malattia, qualla di ritenerci talmente onnipotenti da poter non già creare, dare, per la vita, ma negare, annichilire, disintegrare distruggere, appunto. Sacrificare l'essere al gesto, come se fosse il gesto a farci esistere.
Ecco, i nazisti facevano lo stesso ragionamento, hanno vinto loro, il gesto oggi conta più dell'essenza. In nome del gesto eroico puoi sacrificare tutto, e incenerire - l'essere - dentro un forno.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Comunque il tema era la responsabilità verso gli altri, partner e soprattutto figli.
Se una persona desidera vivere pericolosamente non credo che sia coerente se contemporaneamente mette su famiglia.
La vita è fatta di scelte e bisogna saper scegliere responsabilmente.
Aggiungo una provocazione, non per polemica, ma per discussione. :)

Dopo averti risposto pensavo a chi vive la povertà, quella vera, non all'europea, a chi vive in zone dove ogni passo è un rischio di morte o mutilazione, che non ha scelta, e quindi con ancor meno opzioni...è responsabile a metter su famiglia?

Penso ai figli dei soldati o ai figli di reporter in zone di guerra.

Sono responsabili a metter su famiglia?
 

danny

Utente di lunga data
Aggiungo una provocazione, non per polemica, ma per discussione. :)

Dopo averti risposto pensavo a chi vive la povertà, quella vera, non all'europea, a chi vive in zone dove ogni passo è un rischio di morte o mutilazione, che non ha scelta, e quindi con ancor meno opzioni...è responsabile a metter su famiglia?

Penso ai figli dei soldati o ai figli di reporter in zone di guerra.

Sono responsabili a metter su famiglia?
Sì facevano più figli quando tanti ne morivano in guerra e la morte per tutti era dietro l'angolo.
Lo stesso accade in tante altre parti del mondo, oggi.
Chi conosce la morte desidera la vita.
 
Ultima modifica:

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Non mi interessa la bella morte, mi interessa esserci. Quanto al senso della vita per me la risposta sta nella domanda, il senso della vita è primariamente la vita stessa, se lo ammanti di "motivi per cui morire" fai la stessa operazione di chi si procura una cintura esplosiva e si fa saltare in nome di un dio. Il nostro dio oggigiorno è diventato il "gesto" o le gesta, se preferisci.
Probabilmente come società abbiamo perso il senso del valore della nostra vita e di riflesso di quella degli altri, forse siamo talmente sazi di cibo e di idee da poterci permettere di sminuire persino il fatto di esistere.
Sono abbastanza vecchio per ricordare i racconti di quel mio nonno che fece quattro anni di trincea nella prima guerra mondiale, sopravvivere a quattro anni di brutture e rimanere vivo, già, ancora vivo, come nel titolo di quel film.

Se non dai valore alla tua di vita non lo dai nemmeno a quella degli altri.
Trasformi questo paradiso che ci è concesso in un inferno, che è il vero inferno, quello della negazione di essere prima di tutto, quello di rigettare per capriccio persino la nostra dimensione dell'esistere che è lunica cosa che abbiamo e che non avremo nemmeno per sempre.
Ieri un amico mi ha mostrato il video della strage in Nuova Zelanda, glielo avevano inviato prima che i gestori di rete lo facessero sparire, non volevo vederlo e in ogni caso ne sono rimasto scioccato, ho però capito cosa pervade certe menti, non il desiderio di fare del male, no, sono pervasi dalla volontà di distruggere, distruggere non solo quello che pensano sia il loro nemico, distruggere tutto, anche se stessi e la propria esistenza. E' questa volontà di distruggere che pervade il nostro tempo, è questa negazione che è la nostra malattia, qualla di ritenerci talmente onnipotenti da poter non già creare, dare, per la vita, ma negare, annichilire, disintegrare distruggere, appunto. Sacrificare l'essere al gesto, come se fosse il gesto a farci esistere.
Ecco, i nazisti facevano lo stesso ragionamento, hanno vinto loro, il gesto oggi conta più dell'essenza. In nome del gesto eroico puoi sacrificare tutto, e incenerire - l'essere - dentro un forno.
Non mi sto spiegando.

Non è la bella morte. E' la bella vita.
Semplicemente vita e morte sono legate, indissolubilmente.

Se io vivo una vita di merda, facendo ogni giorno qualcosa che odio o peggio, di cui non mi interessa nulla per vivere, la mia morte sarà una morte di merda.

Questo nel mio giudizio ovviamente, di merda è un mio giudizio :)

Posso usare un'altra parola, slegata dal giudizio, se io vivo una viva in cui resto lì e faccio ogni giorno qualcosa di cui non mi interessa (che per me è la cosa peggiore) la mia morte sarà conseguente alla mia vita.

Non è alla ricerca della morte. E non penso che chi vede la sfida sia alla ricerca della morte.
Penso sia alla ricerca della vita.
A volte, rincorrendo la vita si trova la morte.
Si sbaglia. Si sbagliano valutazioni.
Si sbagliano anche le motivazioni.

Pensa a quello che ha schiacciato il bottone della bomba su hiroshima...che vita? che morte?
Uso apposta esempi estremi eh.

La morte è una conseguenza della vita. E viceversa.
vivere una vita cercando di sfuggire la morte è come vivere una vita che insegue la morte.
Sono estremi, facce della stessa medaglia.
Che dimenticano/evitano entrambi i cicli di Vita/Morte/Vita

Sto riuscendo a spiegarmi?

Come si fa a dare valore alla vita se la morte non ha più valore?
Tu ce l'hai una risposta?

Mio nonno pure si è fatto la guerra. Se poteva, e faceva il contadino, non distruggeva neppure un formicaio.
L'ho visto macellare animali. E mi ha insegnato la morte dignitosa. Che non è la bella morte. Ma è la morte che apprezza la vita che vien tolta.
Ringraziare.

Non è la distruzione...a mio parere. Magari fosse distruzione, negazione...dico davvero.
La distruzione riconosce ciò che distrugge.
Riconosce il gesto. Riconosce le vite tolte. La vita data.

Basta farsi un giro su una qualunque tangenziale per vedere questi imbecilli che guidano proiettili come se fossero in un videogames.
E non penso siano semplicemente degli irresponsabili.
Sono proprio menomati del senso della morte.

Da parte mia, chi rincorre un sogno, chi vive per rincorrere qualcosa di concreto (una cima, un fondale, un pianeta) che via o che muoia ha lasciato valore.
Per un ideale, per il giusto...ecco...io già comincio a storcere il naso.
Era giusta hiroshima? sì. strategicamente probabilmente sì.
Era giusta hiroshima? no. per i morti, probabilmente no.

Poi possiamo parlare di morti stupide.
Ma mi piacerebbe a quel punto parlare di morti intelligenti. Dal punto di vista degli umani vivi.

Sto riuscendo a spiegarmi?

Io non vedo eroismo.
Da nessuna parte.
 
Ultima modifica:

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Sì facevano più figli quando tanti ne morivano in guerra e la morte per tutti era dietro l'angolo.
Lo stesso accade in tante altre parti del mondo, oggi.
Chi conosce la morte desidera la vita.
già :)

Responsabili oppure no?
 

Brunetta

Utente di lunga data
Aggiungo una provocazione, non per polemica, ma per discussione. :)

Dopo averti risposto pensavo a chi vive la povertà, quella vera, non all'europea, a chi vive in zone dove ogni passo è un rischio di morte o mutilazione, che non ha scelta, e quindi con ancor meno opzioni...è responsabile a metter su famiglia?

Penso ai figli dei soldati o ai figli di reporter in zone di guerra.

Sono responsabili a metter su famiglia?
Sono situazioni talmente diverse da non poter essere paragonabili.
La situazione esistenziale anche qui era precaria fino a pochi decenni fa ed era proprio la ragione della riproduzione per garantirsi una discendenza.
Fare l’operaio o il muratore è più rischioso che fare il carabiniere o il soldato, ma è difficile evitare di lavorare.
Il discorso riguardava altri rischi che c’è chi considera evitabili.
Io so che, l’ho già scritto, che la nascita dei figli mi ha fatto sentire subito la mia responsabilità nei loro confronti.
Mi stupisce che ci sia chi non la sente.
 

spleen

utente ?
Non mi sto spiegando.

Non è la bella morte. E' la bella vita.
Semplicemente vita e morte sono legate, indissolubilmente.

Se io vivo una vita di merda, facendo ogni giorno qualcosa che odio o peggio, di cui non mi interessa nulla per vivere, la mia morte sarà una morte di merda.

Questo nel mio giudizio ovviamente, di merda è un mio giudizio :)

Posso usare un'altra parola, slegata dal giudizio, se io vivo una viva in cui resto lì e faccio ogni giorno qualcosa di cui non mi interessa (che per me è la cosa peggiore) la mia morte sarà conseguente alla mia vita.

Non è alla ricerca della morte. E non penso che chi vede la sfida sia alla ricerca della morte.
Penso sia alla ricerca della vita.
A volte, rincorrendo la vita si trova la morte.
Si sbaglia. Si sbagliano valutazioni.
Si sbagliano anche le motivazioni.

Pensa a quello che ha schiacciato il bottone della bomba su hiroshima...che vita? che morte?
Uso apposta esempi estremi eh.

La morte è una conseguenza della vita.
vivere una vita cercando di sfuggire la morte è come vivere una vita che insegue la morte.
Sono estremi, facce della stessa medaglia.

Sto riuscendo a spiegarmi?

Come si fa a dare valore alla vita se la morte non ha più valore?
Tu ce l'hai una risposta?

Mio nonno pure si è fatto la guerra. Se poteva, e faceva il contadino, non distruggeva neppure un formicaio.
L'ho visto macellare animali. E mi ha insegnato la morte dignitosa. Che non è la bella morte. Ma è la morte che apprezza la vita che vien tolta.
Ringraziare.

Non è la distruzione...a mio parere. Magari fosse distruzione, negazione...dico davvero.
La distruzione riconosce ciò che distrugge.
Riconosce il gesto. Riconosce le vite tolte. La vita data.

Basta farsi un giro su una qualunque tangenziale per vedere questi imbecilli che guidano proiettili come se fossero in un videogames.
E non penso siano semplicemente degli irresponsabili.
Sono proprio menomati del senso della morte.

Da parte mia, chi rincorre un sogno, chi vive per rincorrere qualcosa di concreto (una cima, un fondale, un pianeta) che via o che muoia ha lasciato valore.
Per un ideale, per il giusto...ecco...io già comincio a storcere il naso.
Era giusta hiroshima? sì. strategicamente probabilmente sì.
Era giusta hiroshima? no. per i morti, probabilmente no.


Poi possiamo parlare di morti stupide.
Ma mi piacerebbe a quel punto parlare di morti intelligenti. Dal punto di vista degli umani vivi.

Sto riuscendo a spiegarmi?

Io non vedo eroismo.
Da nessuna parte.
Il fatto che vita e morte siano legate non le rende uguali. :)
Il fatto che ci sia gente che vive delle vite che tu non vivresti mai, che so, tipo suora da clausura, non sminuisce il valore per se stesse della loro di vita.
Tu non le vivresti, e vabbè, ci avranno loro motivi no?
Non so se riesco a spiegarmi, ragioni come se la vita dovesse avere delle ragioni e dei motivi per dimostrare il suo valore intrinseco, ma per me è una operazione semplicemente inutile.
Contunui a legare l'esistenza al "gesto", alle ragioni per farlo, sbagliate o giuste che siano, ma non è importante capisci? La vita vale a prescindere, in quanto tale perchè è il presupposto fondante di tutto quello che viene dopo.
Tu non sei perchè fai, -sei- prima di tutto e basta. Il fare viene dopo ed è un corollario dell'essere e una sua prerogativa.
Se non sei non fai, non puoi fare e tutti i bei ragionamenti sulla bella morte e sulla bella vita, spesa a "fare" non hanno nessun senso se primariamente non riconosci valore all' essere.
Non so se riesco a spiegarmi, qua la discussione ha preso una piega uttosto filosofica, il che potrebbe essere anche bene ma non mi sembra di essere in tema e mi scuso.
Ho solo il dubbio di spiegarmi male.
Quanto al distruggere vai scialla, l'umanità ha speso sforzi immani per disintegrare quello che non ha capito. ;)
 
Ultima modifica:

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Sono situazioni talmente diverse da non poter essere paragonabili.
La situazione esistenziale anche qui era precaria fino a pochi decenni fa ed era proprio la ragione della riproduzione per garantirsi una discendenza.
Fare l’operaio o il muratore è più rischioso che fare il carabiniere o il soldato, ma è difficile evitare di lavorare.
Il discorso riguardava altri rischi che c’è chi considera evitabili.
Io so che, l’ho già scritto, che la nascita dei figli mi ha fatto sentire subito la mia responsabilità nei loro confronti.
Mi stupisce che ci sia chi non la sente.
Sono diverse le situazioni, ma non il fulcro.

E' da responsabili oppure no metter su famiglia sapendo che molto probabilmente ci cadrà sopra una bomba?
O si vivrà senza le minime disponibilità mediche e sanitarie.
O che mia figlia si farà 5 km per raccogliere mezzo secchio di acqua infestata dalle zanzare?

Io resto basita, e di figli non ne ho, quando raccolgo certe testimonianze familiari.
Con la mia testa, non ne farei di figli in quelle situazioni che mi vengono raccontate. Per me sono irresponsabili.

Ma è la mia testa, italiana, donna, cristiana, romana (non di roma).

Credo che da un lato ci sia la spinta riproduttiva (che io non sento per esempio, quindi non so neppure di cosa sto parlando) dall'altro (e questo lo capisco meglio perchè riguarda un qualcosa di più mentale, culturale) è la speranza di vita.

La meraviglia della vita che nasce.

E, credo, il desiderio, di lasciare qualcosa di sè nel mondo. Credo...io questo non lo. E' una ipotesi.
Questo desiderio io non riesco a vederlo realizzabile attraverso i figli, ma so che c'è nei genitori.

E allora discuto il mio concetto di responsabilità.
Lo tolgo dal mio assoluto e lo colloco, collocando anche il fatto che certe cose mi sono incomprensibili.

Per me, per i miei parametri, ad un sacco di genitori dovrebbe essere non solo vietato, ma tolti i figli dopo aver somministrato a forza anticoncezionali.
Ma sono i miei parametri.

Sono d'accordo con te.
Ogni lavoro, ogni vita in quanto tale porta in sè la morte.

Ma questo non ferma la vita. :)

non quella umana eh...la Vita.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Il fatto che vita e morte siano legate non le rende uguali. :)
Il fatto che ci sia gente che vive delle vite che tu non vivresti mai, che so, tipo suora da clausura, non sminuisce il valore per se stesse della loro di vita.
Tu non le vivresti, e vabbè, ci avranno loro motivi no?
Non so se riesco a spiegarmi, ragioni come se la vita dovesse avere delle ragioni e dei motivi per dimostrare il suo valore intrinseco, ma per me è una operazione semplicemente inutile.
Contunui a legare l'esistenza al "gesto", alle ragioni per farlo, sbagliate o giuste che siano, ma non è importante capisci? La vita vale a prescindere, in quanto tale perchè è il presupposto fondante di tutto quello che viene dopo.
Tu non sei perchè fai, -sei- prima di tutto e basta. Il fare viene dopo ed è un corollario dell'essere e una sua prerogativa.
Se non sei non fai, non puoi fare e tutti i bei ragionamenti sulla bella morte e sulla bella vita, spesa a "fare" non hanno nessun senso se primariamente non riconosci valore all' essere.
Non so se riesco a spiegarmi, qua la discussione ha preso una piega uttosto filosofica, il che potrebbe essere anche bene ma non mi sembra di essere in tema e mi scuso.
Ho solo il dubbio di spiegarmi male.
Quanto al distruggere vai scialla, l'umanità ha speso sforzi immani per disintegrare quello che non ha capito. ;)

Credo di capire dove stai andando...vediamo. :)

Per me essere e fare sono strettamente correlati. Intrinsecamente collegati e connessi.
E per fare non intendo fare necessariamente qualcosa. Anche non fare è fare.

Ma essere e fare - dove il fare è esprimere il proprio essere - che sia rinchiudendosi nel silenzio di un convento, in un hotel di lusso pagata mille euro all'ora, in trincea a combattere per la giusta causa, o su una montagna a meditare o su una montagna a cercar la vetta che rende possibile l'impossibile - coesistono. Non sono separabili.

Io sono quel che faccio e faccio quel che sono.
E una bella vita è quella dove mi dispiego, dove il mio essere si apre nelle sue manifestazioni creative e pure distruttive.

Come umana, giudico quel che mi piace e quel che no.
Che è poi quel ripeterei per me oppure no. Quel che ritengo adatto a me misurandolo attraverso il confronto, anche dei risultati, delle esperienze altrui.

E' la vecchia diatriba tra forma e sostanza, fondamentalmente.
E in quanto umani siamo sottoposti all'oscillazione fra le due.

Nei miei gesti io mi rivelo. E anche nei miei non gesti io mi rivelo.
(minchia quanto sono cristiana in questa cosa...:carneval:)
Il punto è che mi è impossibile non agire. Perchè non agendo sto già agendo una non azione. :D

Non sto discutendo sul valore intrinseco, anzi, io ritengo che proprio perchè il valore sia intrinseco che si passi la vita in clausura, che la si passi rincorrendo cime o fondali, che la si passi rincorrendo stabilità e sicurezza, che la si passi osservando i fiori che sbocciano nel giardino, ha valore in sè. La vita data e la vita persa.
Vita e morte. Che non sono uguali (credo che in natura non esista niente che sia uguale a qualcosa d'altro, l'uguaglianza è una invenzione industriale umana) ma sono necessarie una all'altra.

Ma. C'è poi la parte in cui io, attraverso il mio senso di autoefficacia, do valore alla mia vita singola.
E allora decido cosa farne.
Anche se magari al resto del mondo sembra che io la stia buttando nel cesso.

Sto però invece discutendo sul fatto che in questa società, la nostra piccola società, si è dimenticato la morte. C'è l'ansia della morte. La fuga dalla morte. L'evitamento della morte. La ricerca dell'immortalità in nome di un inno alla vita (vita che senza morte non esiste quindi è pura follia). Evitamento del dolore. Della perdita. Della sconfitta. Del fallimento.

E se ci si dimentica della morte, la vita stessa perde di senso.

I gesti, a quel punto...sono vuoti.
E sono molto diversi dal fare a cui mi riferisco io. Quello in cui manifesto il mio essere.

Quanto alla distruzione...io la aspetto.
Una sana distruzione attiva.
E non la passiva indifferenza per cui una serata al mcdonald e farsi esplodere sono fondamentalmente la stessa cosa.
Basta che sia qualcun altro a dire cosa fare. (ed è qui che cade il fare in compartecipazione dell'essere...)

non so se si capisce...sono cotta a questo punto della giornata e le sinapsi galleggiano :facepalm:
 
Ultima modifica:
Top