@ipazia mi sembra che i giudici in tante - troppe occasioni - si siano mostrati fervidi sostenitori della teoria di Durkheim sulla devianza, secondo la quale tutte le forme ed i comportamenti che violano le norme della comunità , siano solo una sfida alla repressione normalizzata dello Stato. E' stato il primo a suggerire che, se c'è qualcosa di sbagliato nella società,gli atti criminosi ( inteso come criminalità ) ne sono la diretta conseguenza ( da un punto di vista sociologico ). E qui mi fermo.... ricordo solo alcune sentenze della corte costituzionale in tema di stupro....
A che tempi mi hai rimandato
@brenin, grazie
"Un fatto sociale si riconosce dal potere di coercizione esterno che esso esercita o è suscettibile di esercitare sull’individuo"
Mi affascinava, però, la sua visione di società organica e l'interdipendenza tra gli individui.
Per quanto l'esclusione dei fattori di funzionamento psicobiologici (a maggior ragione oggi con gli apporti delle neuroscienze) mi sembrasse una grossissima lacuna.
E preferivo Weber per la sua partenza dall'individuo invece che dalla società.
La nostra è un tipo di giustizia retributiva.
Che concordo con te, si innesta ancora sulla considerazione di un fatto sociale alla Durkheim.
Magari edulcorato, magari infiocchettato, ma la concezione di fatto sociale è ancora quella.
La questione del consenso (non quello del "vuoi una tazza di tè") si innesta profondamente nel tipo di giustizia che caratterizza una nazione. E del tipo di giustizia che "desidera" quella nazione.
Questo semplificando parecchio.
Se nego il consenso nel suo senso più ampio, ossia quello che comprende la padronanza dell'individuo su se stesso dove in se stesso assumo superata la divisione mente e corpo (sapendo che non lo è definitivamente), nego ogni possibilità di altro tipo di giustizia che non sia retributiva, al massimo rieducativa. (giusto per coccolare un po' le coscienze)
Il conflitto, a mio parere, in questi decenni è stato spostato dalle mani degli individui alle mani di un istituto regolatore che tenta di sintetizzare istanze dislocate e dissonanti sotto parecchi punti di vista.
E che non considera la diversità come diversità ma come istanza normalizzante e da normalizzare.
E questo non solo in riferimento ai reati, ma a tutto campo.
Ho seri dubbi che ancora a lungo i giudici possano emettere sentenze diverse da quelle passate e che tutto sommato, in termini strutturali, stanno emettendo ancora oggi.
D'altro canto, se ho inteso quelle a cui ti riferisci tu, quelle sentenze sono state emesse nel periodo di transizione, quando la legge prevedeva un reato contro la persona ma le coscienze degli individui, compresi i giudici quindi, che fra l'altro sono pure per la maggior parte maschi, erano ancora legate ad un reato contro la morale. (e stiam parlando di una decina quindicina di anni fa, praticamente ieri).
Come vittima, conosco bene la mia impossibilità a partecipare ad un processo in cui io ho voce nella definizione di una soddisfacente riparazione PER ME. (e non per una spersonalizzata vittima che è contenitore dell'idea di vittima)
E mi piacerebbe che l'autore del reato si potesse confrontare con me non tanto sul reato che ha commesso ma sulle conseguenze che quel suo atto, non sociale ma individuale (e qui rientra di nuovo il consenso), ha avuto su di me.
Mi piacerebbe la contrattazione, anche il conflitto affrontato ed esplicitato. Fra individui. Non fra entità sociali.
Come vittima non sono interessata alla retribuzione, che ha come oggetto il reato.
Mi ci posso interessare accademicamente, anche facendo le tassonomie. Ma è retorica, fondamentalmente.
Come vittima non sono neppure interessata alla rieducazione, che ha come oggetto l'autore del reato.
Mi ci posso interessare accademicamente, anche studiando i fattori biopsicosociali che hanno condotto a quell'atto. Ed è di nuovo retorica. ella migliore delle ipotesi, teoria.
EDIT: le altre parti ricordano alla vittima che i piacerebbe sono piacerebbe. E conducono fuori dai piacerebbe per stare nei è.
E senza il consenso, senza il riconoscimento di una disponibilità piena della propria mente e del proprio corpo, senza il riconoscimento della consapevolezza e dell'inconsapevolezza (che tanto fa tremare le gambe, la banalità del male, la normalità rifiutata) non si va in quella direzione.
C'è e resta uno stato che si sostituisce.
In uno stato che si sostituisce non si creano legami sociali (non idealizzati e neppure ideologicizzati), neanche quelli semplici alla Durkheim.
Ne esce una società di schiavi.
E ne esce l'appiattimento tanto demoralizzante.
Spero di esser riuscita a condividere con te la mia visione, mi farebbe davvero piacere esserci riuscita almeno in parte.
Ti ringrazio per lo spunto che mi ha permesso di esprimerla.
