Quanti maschi!

Etta

Utente di lunga data
Non ne ho la più pallida idea. Non mi sono mai occupato direttamente del problema-nido.
Io mi ricordavo così. Ma pure per i centri estivi e’ uguale. Chi non lavora o lavora un solo genitore rimane basso in graduatoria perché danno la priorità ad entrambi i genitori lavoratori. Idem per il pre e post scuola.
 

Nicky

Utente di lunga data
Dipende.

I lutti, che arrivano senza aver integrato relazioni di questa portata, penso che portino non semplicemente fantasmi ma demoni.
Se va bene si reitera un modello senza averne consapevolezza. Se va male, si sta male e, a seconda, quel male lo si sparge. Restano catene generazionali. Che sono una gran bella rogna.

Quando hai genitori disfunzionali il passaggio è renderti conto che i genitori che hai dovuto obbligatoriamente e senza via di scampo interiorizzare da bambino quando, impotente, non potevi che subire, non sono i genitori che vivono fuori. Non sono le persone che incontri alla cena di famiglia per intenderci, quelli che osservi con sguardo adulto mentre sono seduti al tuo tavolo.


Il primo lutto è quello dei genitori interiorizzati: divenire consapevole che non sono mai esistiti se non dentro di te, nel mondo dei tuoi desideri e, ancor di più, nel mondo dei tuoi bisogni primari. Il passaggio è divenire consapevole del fatto che quel conflitto è risolvibile solo dentro, fuori può soltanto essere accettato e ricollocato. Nessun happy ending.

E' straniante incontrare quelli in carne ed ossa, guardarli e riconoscerli estranei alla propria esperienza. Arriva un momento in cui ti accorgi che i personaggi della tua narrazione familiare — e tu fra loro — sono solo maschere.
Figure costruite per dare un senso al caos, per reggere la scena di un copione che non hai scritto tu.

E in questo c'è pace, dopo aver attraversato il dolore.

Io penso che integrato questo lutto, quello dei genitori in carne ed ossa sia pacificatorio.
Si colloca morbidamente nel sollievo.

Se non si integra questo lutto, io penso non muoiano mai. Almeno fino a quando non muori tu.
Si, credo che questo processo valga un po' per tutti, in realtà.
Però per chi ha avuto genitori disfunzionionali è più importante.
 

ParmaLetale

Utente cornasubente per diritto divino
Dipende.

I lutti, che arrivano senza aver integrato relazioni di questa portata, penso che portino non semplicemente fantasmi ma demoni.
Se va bene si reitera un modello senza averne consapevolezza. Se va male, si sta male e, a seconda, quel male lo si sparge. Restano catene generazionali. Che sono una gran bella rogna.

Quando hai genitori disfunzionali il passaggio è renderti conto che i genitori che hai dovuto obbligatoriamente e senza via di scampo interiorizzare da bambino quando, impotente, non potevi che subire, non sono i genitori che vivono fuori. Non sono le persone che incontri alla cena di famiglia per intenderci, quelli che osservi con sguardo adulto mentre sono seduti al tuo tavolo.


Il primo lutto è quello dei genitori interiorizzati: divenire consapevole che non sono mai esistiti se non dentro di te, nel mondo dei tuoi desideri e, ancor di più, nel mondo dei tuoi bisogni primari. Il passaggio è divenire consapevole del fatto che quel conflitto è risolvibile solo dentro, fuori può soltanto essere accettato e ricollocato. Nessun happy ending.

E' straniante incontrare quelli in carne ed ossa, guardarli e riconoscerli estranei alla propria esperienza. Arriva un momento in cui ti accorgi che i personaggi della tua narrazione familiare — e tu fra loro — sono solo maschere.
Figure costruite per dare un senso al caos, per reggere la scena di un copione che non hai scritto tu.

E in questo c'è pace, dopo aver attraversato il dolore.

Io penso che integrato questo lutto, quello dei genitori in carne ed ossa sia pacificatorio.
Si colloca morbidamente nel sollievo.

Se non si integra questo lutto, io penso non muoiano mai. Almeno fino a quando non muori tu.
Perché solo in caso di genitori disfunzionali? Intendo che tutti invecchiamo e non necessariamente miglioriamo con la stagionatura, anzi, per cui prima o poi si crea una discrepanza fra quelli che hai interiorizzato ai tempi e quelli che ti trovi davanti
 
Ultima modifica:

Brunetta

Utente di lunga data
Io mi ricordavo così. Ma pure per i centri estivi e’ uguale. Chi non lavora o lavora un solo genitore rimane basso in graduatoria perché danno la priorità ad entrambi i genitori lavoratori. Idem per il pre e post scuola.
Certo. Il fatto che lavorino entrambi è uno dei criteri.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Poi anche l’avere altri figli oppure disabili nel nucleo familiare.
Mi stupisce che tu te lo chieda.
L’accettazione di ogni iscrizione nella scuola a una tipologia è subordinata a dei criteri.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Si, credo che questo processo valga un po' per tutti, in realtà.
Però per chi ha avuto genitori disfunzionionali è più importante.

Perché solo in caso di genitori disfunzionali? Intendo che tutti invecchiamo e non necessariamente miglioriamo con la stagionatura, anzi, per cui prima o poi si crea una discrepanza fra quelli che hai interiorizzato ai tempi e quelli che ti trovi davanti
Non è lo stesso percorso

Chi ha avuto genitori “sufficientemente buoni” sa cosa significa sentirsi amato, anche tra errori e imperfezioni.

Quando perde un genitore, piange una presenza reale: una voce, uno sguardo, un affetto che c’era davvero. È un dolore diretto, limpido, che nasce dall’amore e dal legame.

Quando cresci con genitori disfunzionali, è diverso.
Significa che sei cresciuto accanto a qualcuno che ti ha rifiutato, evitato o non ha saputo vederti. Qualcuno che ti ha maltrattato.
Un bambino non può sopportare l’idea di non essere voluto: troppo grande, troppo distruttiva.
Così, per sopravvivere, si inventa qualcosa.
Dentro di sé costruisce un genitore buono, capace di amare, che un giorno forse arriverà, capirà, cambierà. E aspetta.

Ma quel genitore non è mai esistito fuori da te. È un’invenzione necessaria, un modo per non impazzire di dolore.

Non arriverà.

Eppure finché resta vivo dentro, non puoi davvero affrontare il lutto del genitore reale.
Perché il genitore reale — quello che ti ha ferito, ignorato o respinto — non è la persona che hai creato per salvarti.

Il vero passaggio arriva quando trovi il coraggio di guardare la verità senza più illusioni:
“Mia madre e mio padre non mi hanno voluto come avevo bisogno. Mi hanno fatto male. Sono proprio quelli lì. E non ci si poteva fare nulla.”

È un dolore che spacca in due, ma anche quello che libera.
Perché solo quando accetti che è andata così puoi smettere di aspettare, di sperare, di cercare.
Solo allora puoi davvero salutare — non il genitore che sognavi, ma quello che c’è stato.

E il genitore che sognavi eri ancora e sempre tu.
Lasciar morire quel sogno significa lasciar morire una parte, profonda, di te. Riconoscendo che quella te, quella parte, non ha fallito ma ti ha protetta. Ma sei tu che muori in parte ed è necessario per essere liberi. Da qui il sollievo.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
La conseguenza concreta di quel tipo di legame è che, quando finalmente saluti il genitore “creato” — quello buono che avevi costruito dentro di te per sopravvivere — e inizi a guardare i genitori reali, ti accorgi che sono estranei.
Non c’è un legame affettivo vero, non c’è quella familiarità calda che ti aspetteresti tra un figlio e un genitore.

Ti rendi conto che, in realtà, non li ami.
Non c'è amore dove non c’è mai stato un incontro reciproco, un affetto reale in cui l’amore potesse crescere.

A volte la loro assenza pesa meno della loro presenza.
Anzi, può essere un sollievo: perché non senti più il bisogno di investire energie, cure o attenzioni verso chi, in passato, ti ha ferito o umiliato e che continua a farlo per il semplice motivo che non sa e no può fare diversamente.

Quando quei genitori diventano anziani, questa verità si fa ancora più chiara.

Non nasce dentro di te il desiderio di prendertene cura, perché la cura presuppone un legame, e quel legame non è mai esistito.

Non è durezza, è coerenza con la realtà: come potresti occuparti con amore di chi non ha saputo averne per te?

Riconoscerlo è smettere di forzarsi, di fingere un amore che non c’è.
È concedersi il diritto di non dover “riparare tutto”, di non dover salvare chi non ti ha salvato.

Da quel riconoscimento nasce un’altra forma di pace: non la riconciliazione con chi ti ha fatto male, ma la riconciliazione con te stesso.

È chiudere una relazione tossica.
 

Etta

Utente di lunga data
La conseguenza concreta di quel tipo di legame è che, quando finalmente saluti il genitore “creato” — quello buono che avevi costruito dentro di te per sopravvivere — e inizi a guardare i genitori reali, ti accorgi che sono estranei.
Non c’è un legame affettivo vero, non c’è quella familiarità calda che ti aspetteresti tra un figlio e un genitore.

Ti rendi conto che, in realtà, non li ami.
Non c'è amore dove non c’è mai stato un incontro reciproco, un affetto reale in cui l’amore potesse crescere.

A volte la loro assenza pesa meno della loro presenza.
Anzi, può essere un sollievo: perché non senti più il bisogno di investire energie, cure o attenzioni verso chi, in passato, ti ha ferito o umiliato e che continua a farlo per il semplice motivo che non sa e no può fare diversamente.

Quando quei genitori diventano anziani, questa verità si fa ancora più chiara.

Non nasce dentro di te il desiderio di prendertene cura, perché la cura presuppone un legame, e quel legame non è mai esistito.

Non è durezza, è coerenza con la realtà: come potresti occuparti con amore di chi non ha saputo averne per te?

Riconoscerlo è smettere di forzarsi, di fingere un amore che non c’è.
È concedersi il diritto di non dover “riparare tutto”, di non dover salvare chi non ti ha salvato.

Da quel riconoscimento nasce un’altra forma di pace: non la riconciliazione con chi ti ha fatto male, ma la riconciliazione con te stesso.

È chiudere una relazione tossica.
Espressamente. E questo avviene anche nelle relazioni d’”amore” con il partner.
 

Nicky

Utente di lunga data
Non è lo stesso percorso

Chi ha avuto genitori “sufficientemente buoni” sa cosa significa sentirsi amato, anche tra errori e imperfezioni.

Quando perde un genitore, piange una presenza reale: una voce, uno sguardo, un affetto che c’era davvero. È un dolore diretto, limpido, che nasce dall’amore e dal legame.

Quando cresci con genitori disfunzionali, è diverso.
Significa che sei cresciuto accanto a qualcuno che ti ha rifiutato, evitato o non ha saputo vederti. Qualcuno che ti ha maltrattato.
Un bambino non può sopportare l’idea di non essere voluto: troppo grande, troppo distruttiva.
Così, per sopravvivere, si inventa qualcosa.
Dentro di sé costruisce un genitore buono, capace di amare, che un giorno forse arriverà, capirà, cambierà. E aspetta.

Ma quel genitore non è mai esistito fuori da te. È un’invenzione necessaria, un modo per non impazzire di dolore.

Non arriverà.

Eppure finché resta vivo dentro, non puoi davvero affrontare il lutto del genitore reale.
Perché il genitore reale — quello che ti ha ferito, ignorato o respinto — non è la persona che hai creato per salvarti.

Il vero passaggio arriva quando trovi il coraggio di guardare la verità senza più illusioni:
“Mia madre e mio padre non mi hanno voluto come avevo bisogno. Mi hanno fatto male. Sono proprio quelli lì. E non ci si poteva fare nulla.”

È un dolore che spacca in due, ma anche quello che libera.
Perché solo quando accetti che è andata così puoi smettere di aspettare, di sperare, di cercare.
Solo allora puoi davvero salutare — non il genitore che sognavi, ma quello che c’è stato.

E il genitore che sognavi eri ancora e sempre tu.
Lasciar morire quel sogno significa lasciar morire una parte, profonda, di te. Riconoscendo che quella te, quella parte, non ha fallito ma ti ha protetta. Ma sei tu che muori in parte ed è necessario per essere liberi. Da qui il sollievo.
Certo, hai spiegato benissimo la differenza.
Per questo penso possa essere più complicato perdere un genitore con cui c'era un legame così.
Nella normalità, c'è il dolore di separarsi, ma anche una certa serenità se non ci sono nodi irrisolti e non è una perdita eccessivamente prematura. Questo anche quando avviene all'improvviso e non c'è stato il tempo di elaborare nulla, anche perché fortunatamente oggi i medici sono molto più preparati di una volta, credo, ad accompagnare anche i parenti.
 

Etta

Utente di lunga data
Ma tua nonna era tipo te, oppure QI normale?
Mia nonna era una persona molto buona. Forse la persona più buona che abbia mai conosciuto. Quindi fai conto il contrario di te e di molti altri qua dentro ecco.
 

Pincopallino

Utente di lunga data
Mia nonna era una persona molto buona. Forse la persona più buona che abbia mai conosciuto. Quindi fai conto il contrario di te e di molti altri qua dentro ecco.
Ti ha chiesto se era intelligente non se era buona.
Ma sai leggere?
 

hammer

Utente di lunga data
Penso sia più saggio lasciar perdere nonni e antenati.
Sono terreni minati.
Fa anche rima.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Certo, hai spiegato benissimo la differenza.
Per questo penso possa essere più complicato perdere un genitore con cui c'era un legame così.
Nella normalità, c'è il dolore di separarsi, ma anche una certa serenità se non ci sono nodi irrisolti e non è una perdita eccessivamente prematura. Questo anche quando avviene all'improvviso e non c'è stato il tempo di elaborare nulla, anche perché fortunatamente oggi i medici sono molto più preparati di una volta, credo, ad accompagnare anche i parenti.
Scusa se lo risottolineo, ma è un nodo fondamentale, volendo capirci qualcosa :)

Quando perdi genitori così, perdi qualcosa che non c’è mai stato.
Non li hai mai avuti davvero, e quindi non li perdi.

Paradossalmente non è più complicato che veder morire persone che conosci ma con cui non hai alcun legame.

Anni fa una loro malattia o morte mi scatenava tempeste dentro.
Oggi li guardo e non sento nulla di speciale: mi fanno lo stesso effetto degli altri anziani nella sala d’attesa.

E sì, a volte è fastidio: tempo mio sottratto da caos, ignoranza, meschinità.
Quando serve con mia sorella, facciamo ciò che è richiesto, se possiamo. Ma adesso ci sentiamo entrambe libere di avere altri impegni.

Quando qualcuno ricorda il “dovere di” in quanto figlie, dentro di me e di mia sorella spunta una domanda silenziosa:
“E tu dove eri negli anni in cui siamo state distrutte?”
Non serve pronunciarla.

Non c’è rabbia. Solo presa d’atto.

I miei genitori sono già morti.
La loro dipartita fisica sarà solo un dettaglio formale unito al sollievo di non doverci più preoccupare degli eventuali danni che, essendo ancora vivi, creano con la fertilità tipica degli ignoranti e degli stupidi, aggrappati come nella novella del verga all'invidia verso chi ha ancora tempo da vivere.


Diventa complicato solo quando non si riesce a integrare la presa d'atto di chi sono e quindi di chi sei tu.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Certo, hai spiegato benissimo la differenza.
Per questo penso possa essere più complicato perdere un genitore con cui c'era un legame così.
Nella normalità, c'è il dolore di separarsi, ma anche una certa serenità se non ci sono nodi irrisolti e non è una perdita eccessivamente prematura. Questo anche quando avviene all'improvviso e non c'è stato il tempo di elaborare nulla, anche perché fortunatamente oggi i medici sono molto più preparati di una volta, credo, ad accompagnare anche i parenti.
Nella così detta normalità, quando un bambino cresce con genitori sufficientemente buoni, quindi capaci di fornire cura, attenzione e affetto coerente, anche se imperfetti, sviluppa un modello interno sicuro di relazione: sa cosa significa essere visti, accolti, protetti. Sa riprodurre queste esperienze avendole apprese e trasformate in competenze relazionali.
Il lutto, in questo caso, riguarda la perdita della presenza reale: la voce, la vicinanza, i gesti quotidiani. Il dolore è naturale e diretto, perché il bambino (ora adulto) ha già dentro di sé un genitore interno integrato. Può sentire la mancanza, ma anche ricordare l’amore ricevuto. L’elaborazione avviene sul piano della realtà esterna, e l’oggetto interno (il genitore amato) resta stabile dentro di sé.
 

hammer

Utente di lunga data
Scusa se lo risottolineo, ma è un nodo fondamentale, volendo capirci qualcosa :)

Quando perdi genitori così, perdi qualcosa che non c’è mai stato.
Non li hai mai avuti davvero, e quindi non li perdi.

Paradossalmente non è più complicato che veder morire persone che conosci ma con cui non hai alcun legame.

Anni fa una loro malattia o morte mi scatenava tempeste dentro.
Oggi li guardo e non sento nulla di speciale: mi fanno lo stesso effetto degli altri anziani nella sala d’attesa.

E sì, a volte è fastidio: tempo mio sottratto da caos, ignoranza, meschinità.
Quando serve con mia sorella, facciamo ciò che è richiesto, se possiamo ma adesso ci sentiamo entrambe libere di avere altri impegni.

Quando qualcuno ricorda il “dovere di” in quanto figlie, dentro di me e di mia sorella spunta una domanda silenziosa:
“E tu dove eri negli anni in cui siamo state distrutte?”
Non serve pronunciarla.

Non c’è rabbia. Solo presa d’atto.

I miei genitori sono già morti.
La loro dipartita fisica sarà solo un dettaglio formale unito al sollievo di non doverci più preoccupare degli eventuali danni che, essendo ancora vivi, creano con la fertilità tipica degli ignoranti e degli stupidi, aggrappati come nella novella del verga all'invidia verso chi ha ancora tempo da vivere.


Diventa complicato solo quando non si riesce a integrare la presa d'atto di chi sono e quindi di chi sei tu.

Deve essere terribile, per un genitore, avere la consapevolezza di avere totalmente fallito la propria missione.
 

ParmaLetale

Utente cornasubente per diritto divino
Scusa se lo risottolineo, ma è un nodo fondamentale, volendo capirci qualcosa :)

Quando perdi genitori così, perdi qualcosa che non c’è mai stato.
Non li hai mai avuti davvero, e quindi non li perdi.

Paradossalmente non è più complicato che veder morire persone che conosci ma con cui non hai alcun legame.

Anni fa una loro malattia o morte mi scatenava tempeste dentro.
Oggi li guardo e non sento nulla di speciale: mi fanno lo stesso effetto degli altri anziani nella sala d’attesa.

E sì, a volte è fastidio: tempo mio sottratto da caos, ignoranza, meschinità.
Quando serve con mia sorella, facciamo ciò che è richiesto, se possiamo ma adesso ci sentiamo entrambe libere di avere altri impegni.

Quando qualcuno ricorda il “dovere di” in quanto figlie, dentro di me e di mia sorella spunta una domanda silenziosa:
“E tu dove eri negli anni in cui siamo state distrutte?”
Non serve pronunciarla.

Non c’è rabbia. Solo presa d’atto.

I miei genitori sono già morti.
La loro dipartita fisica sarà solo un dettaglio formale unito al sollievo di non doverci più preoccupare degli eventuali danni che, essendo ancora vivi, creano con la fertilità tipica degli ignoranti e degli stupidi, aggrappati come nella novella del verga all'invidia verso chi ha ancora tempo da vivere.


Diventa complicato solo quando non si riesce a integrare la presa d'atto di chi sono e quindi di chi sei tu.
Non mi è del tutto chiaro il concetto di disfunzionalità di questi genitori. È on/off o c'è uno spettro per esempio da "normale" a "estremamente grave"? E in caso, chi decide se e quanto è consistente tale disfunzionalità?
 
Top