Tu mi stai dunque chiedendo di spiegarti quella cosa che chi non ce l'ha non riesce a conoscere e chi ce l'ha non riesce a capire?
Ah, no, quella è la seconda accezione di amore!
Sarà perché abbiamo una lingua abbastanza ricca, una fraseoligia piuttosto evoluta e anche un sacco di libri cui ispirarci -primo tra tutti il dizionario-, a me riesce sempre piuttosto difficile credere che ci sia qualcosa di tanto ineffabile da non trovare una, seppur grossolana, definizione.
No, non intendo mica che tutto deve essere per forza verofunzionale, misurabile ed completamente esperibile, cioè, i paradossi paradossali, le opinioni opinabili, le sensazioni sensazionali e i nonsense insensati mi piacciono, e anche molto, ma solo se servono per far riflettere, per mettere in moto il neurone pigro e per fornire un'immagine inusuale di ciò che altrimenti rimarrebbe sempre terribilmente scontato; non mi piacciono invece quando nascondono la codardìa di chiamare le cose col proprio nome, la slealtà emozionale e un'attitudine da carcamano.
L'idea che l'amore del secondo tipo debba essere in qualche modo differente da quello del primo tipo solamente per riuscirlo a superare in magnitudine dato che non può farlo in anzianità e per risultati prodotti porta, da un lato, a proporlo come liberatore, un po' come il Napoleone dei primi tempi contro le decadenti monarchie borboniche, e, dall'altro a lasciarlo libero di navigare in anti-definizioni che null'altro sono se non tutto quello che non è, non è mai stato o non è più, l'amore che -forse- nutrivamo, o pensavamo di nutrire, nei confronti della nostra fidanzata, moglie, madre dei nostri figli o nonna dei nostri nipoti.
Codesto solo oggi possiamo dirti:
Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Dunque un segno di crisi storica e decadenza morale intima ed esteriore dei nostri tempi?
No,
solo le solite balle.