Che uno debba essere orgoglioso della sua terra è del tutto legittimo e, verosimilmente, sarebbe sbagliato il contrario. Resta però che il tuo ragionamento complessivo, Conte, zoppica un poco.
Il Veneto ha un mucchio di buone università, solo che il Veneto, in quanto Veneto, non potrebbe permettersele. I finanziamenti, benemeriti, degli imprenditori locali sono, ovviamente, indirizzati non tanto alla ricerca in sè quanto alla ricerca applicabile ai processi produttivi in atto. In altre parole finanziano sperando di avere una ricaduta e vantaggio a breve termine. Niente di male, in questo, anzi...solo che non può essere l'unica via. E nemmeno la principale. La ricerca contemporanea comporta investimenti talmente alti che nessuna nazione (almeno: nessuna nazione europea) da sola se la può permettere. Sono questi investimenti, però, che producono letteralmente l'avvenire.
Le università hanno bisogno di soldi e ben vengano da dove vengono (veramente non la penso così, anzi, personalmente immagino che i finanziamenti dei privati siano condizionanti, ma per ora, poiché sto discutendo con te, accetto la tua prospettiva) me devono svilupparsi, le università, in modo organico. In altre parole, magari semplificando un poco, l'università deve produrre ricerca in tutti i settori, compresi quelli che la confindustria e gli imprenditori non si sognerebbero di finanziare: filologia, archeologia, arte, storia, filosofia... Le università statunitensi, orientate chiaramente al mondo del lavoro, mantengono obbligatoriamente (accanto a materie che da noi sarebbero studiate e anzi sono studiate negli istituti superiori) studi umanistici, perché non è possibile mantenere un impianto organico e produttivo di ricerca solo in alcuni settori. E fanno questo nonostante, nei settori umanistici (a parte eccezioni quali l'antropologia, la sociologia...) i loro livelli siano nettamente inferiori alla media italiana. Nondimeno spendono soldi per restare a livelli che da noi non sarebbero accettabili.
L'esempio che porti, pertanto, è un esempio valido, certo, ma non è un principio da utilizzare per regolarsi.
IL discorso iniziale - per restare al tema proposto e non finire OT - si riferiva a due sole scuole le quali presuppongono come sbocco coerente l'università. Chiaramente si può esser felici anche senza università. Anzi, Benedetto Croce non era nemmeno laureato... Però, chiaramente, classico e scientifico prefigurano la continuazione degli studi e sono i due soli indirizzi da cui sia possibile, in linea di principio, indirizzarsi ovunque. Intendo: abbiamo certo il ragioniere che diventa un bravissimo medico e il perito industriale che fa l'archeologo in Medio Oriente, però sono eccezioni. Non è un'eccezione un diplomato del classico che fa l'ingegnere o dello scientifico che fa l'economista.
Certo, si potrebbe chiedere: ma l'università serve davvero a un giovane? Non è, come suggerisce qualcuno, che poi escono tutti che non sanno nulla? Senza pretendere di dare risposte assolute e nemmeno consigli, ad un figlio che volesse studiare e avendone le possibilità (poiché oggi l'università può costare davvero molto) io un sacrificio per pagargli gli studi lo farei volentieri.