tutto molto vero mia zia all'età di 4 anni ha aiutato i genitori a vestire il nonno... Morto in casa. Cosa che oggi qualunque psicologo direbbe essere deteriorante per la psiche del bambino. Mia zia oggi avrebbe 100 anni : vero, la società 100 anni fa non era quella attuale; la morte non era un tabù, era un fatto scontato come la vita; Oggi abbiamo ventenni che si vantano di essere invincibili ma non in modo eroico, in modo incosciente o meglio inconsapevole. Non hanno visto guerra ,non hanno visto carestia o anche solo tumulti di piazza con esiti letali ,da quando sono nati. E beninteso è molto meglio così.Oggi la morte pare un tabù ,un fenomeno mediatico non più domestico ,come se non appartenesse alla vita. Per inciso mia zia ha vissuto novantasei anni, in pace con tutti,aiutando chi poteva, equilibrata come poche altre persone che ho conosciuto,dedicandosi con umanità ed umiltà ai sofferenti.
La morte come dici , l'unica cosa che esige è la dignità, quando è possibile; e renderla possibile dipende da noi nei confronti degli altri e di noi stessi.
Non tutti gli psicologi.

Quelli qualunque, hai ragione, sì. Lo dicono.
La mia nonna paterna mi ha insegnato cose sulla natura. Erbe, animali. Silenzi.
E' morta che non avevo ancora compiuto i tre anni.
Ho ricordi vividissimi di lei, di me e lei insieme.
La cucina economica e la frutta cotta.
Il suo lettone, con tre materassi di lana che a saltarci sopra era bellissimo.
Le galline che arrivavano correndo appena lei usciva e le chiamava.
L'asino. Il campo.
Insomma, la mia formazione primaria dell'affetto.
ricordo quando si è ammalata.
ricordo il suo colore.
E ricordo che il suo odore era diverso. Odore di morte.
l'ho sentito parecchie altre volte, a lavoro in particolare, ma non solo.
E' un altro di quegli odori che riconosco con la pancia.
Beh, l'hanno portata in ospedale. Mi hanno vietato - i medici - di andare da lei.
Avevano ragione probabilmente, ma io ero arrabbiata. Facevo i capricci perchè volevo salutarla.
Lo sapevo benissimo che non l'avrei più vista.
Ricordo che le facevo dei disegni, mio padre e mia zia glieli portavano. Era il mio modo di accompagnarla. Di essere con lei.
L'ultimo disegno è finito nella sua bara. Ce l'ho messo io, mi ero arrampicata per entrarci.
Ringrazio mia zia, l'altra, che aveva detto "lasì fa la pitina". (lasciate fare la bambina)
Poi mi hanno tirata fuori dalla bara.
Ho imparato così la morte. Per me la morte è rimanere vicino a chi se ne va.
La dignità del morire.
Il rispetto.
Sopra a tutto il saluto.
Ho continuato ad accompagnare. Mi piace accompagnare alla morte.
La morte è il legame fondamentale con la vita.
Ma siccome si ha paura della vita si evita la morte.
Non parlare della morte serenamente significa niente altro che temere la vita.
E parlarne serenamente è saperla.
Emozionarsi della morte. Piangere. Ridere. Commuoversi.
Avere tenerezza e amorevolezza per la propria caducità.
Combattere. Infuriarsi.
Vivere insomma.
Vivere le emozioni.
Lasciarsi vivere dalle emozioni.
E lasciarsi anche morire nelle emozioni.
La zona confort di cui tanto si parla altro non è che questo.
Stare nel piccolo recinto miope delle emozioni conosciute, per non sperimentare lo squilibrio, la caducità, l'umanità.
Lo schifo e la decomposizione.