Non lo so se è pirla.
Di per certo, ha un suo qualche motivo che non gli permette di parlare in una relazione.
Motivo giusto, sbagliato?
buh...non lo so.
Ma se il mio uomo vien da me e mi dice che non soddisfo alcuni suoi bisogni, quel che dipende da me è la mia reazione.
Posso offendermi. Giudicarlo. Sentirmi sottratto qualcosa. Sentirmi sminuita o poco considerata.
Oppure posso sospendermi (nei miei bisogni, che tanto non vanno da nessuna parte) e ascoltare quello che mi sta dicendo. Considerare importante quel che mi dice. Più delle aspettative di progetto.
Ossia che il non soddisfare alcuni bisogni lo fa soffrire.
E accogliere quella sofferenza.
E includerla nella relazione che ho con lui.
Questo significa che non giudico i suoi bisogni nella mia scala di priorità e invece sospendo il giudizio su quei bisogni.
Dando anche a bisogni che per me non esistono, una dignità che non lo fa ricadere nell'esser pirla ai miei occhi.
E non vale far finta.
Parlare e discutere non significa non avere reazioni. non sentirsi feriti, impauriti o altro.
significa includere tutto questo in una dialettica.
Di rispetto innanzitutto. E poi di cura.
Io rispetto i suoi bisogni. Anche se a me possono sembrare offensivi o addirittura lesivi.
E lui con me.
E rispetto per me significa non aver timore di deludere,far soffrire, offendere l'altro.
Reciprocamente.
Quei bisogni possono riguardare una miriade di cose eh.
Mica necessariamente pulsioni sessuali.
E' una forma della fiducia.
Quella che manca se parlo con qualcuno dei miei bisogni e quel qualcuno non è il mio uomo.
E viceversa.
Ma non è qualcosa che si improvvisa.
Se questi due han passato 5 anni a raccontarsi storie del tipo che si ameranno per sempre, che non vedono che l'un l'altro, che loro due e nessuno mai, che lei è la più bella del reame, e lui pure etc etc e che insieme supereranno ogni difficoltà etc etc...metterci dentro attrazione per altre belle non è mica scontato.
io capisco sia la paura del dire (significherebbe rompere cose) sia la sofferenza che deriva dal pensare reale la relazione con lei ma non riuscire a trovar spazio per quell'attrazione, fisiologica e potenzialmente pure arricchente per entrambi.
come reagisce lei?
Sei un pirla. Mi hai detto che ero la più bella, che come me nessuno mai, son cinque anni che immaginiamo i fiori d'arancio e adesso te ne esci che vuoi le altre?
Allora non sono la più bella, non mi vuoi per davvero...
Mica è facile creare dal nulla un contesto dialogico in cui far rientrare qualcosa che non si capisce neanche bene e che fa sentire pure colpevoli a volte.
Non è un contesto che basta invocarlo e appare.
Lo si costruisce proprio a partire dall'ovvio. Che ovvio non è.
l'ovvio è solo similitudine con situazioni conosciute. Ma la similitudine è solo somiglianza. Semplificazione.
Non è significato e co-costruzione di linguaggio comune.
L'attrazione per altri, mette necessariamente in discussione il progetto?
scoprire l'acqua calda, ossia che non ci soddisfiamo e non ci soddisferemo pienamente mette in discussione il progetto?
Per me no.
Anzi. E' parte della realisticità del progetto.
Certo...significa che il progetto comprende anche il dolore che reciprocamente ci si può dare, al pari del piacere.
E aver chiari i propri limiti a riguardo
Non in nome del progetto
Ma in nome di se stessi. Ognun per sè.
Aver condiviso e aggiornato. Costantemente.
Questo a mio parere.
Il tuo discorso e' meraviglioso, ma è un discorso che mette nel progetto:
- totale indipendenza economica;
- totale indipendenza logistica;
- volontà di mettere al centro dei discorsi "nient'altro che noi".
Ho due amici eterni fidanzati cinquantenni che lo fanno.
E funzionano benissimo. Stanno insieme quando vogliono, e quando non vogliono non condividono neppure il magnifico cagnolone di lei. E stando a quanto mi viene detto, parlano di tutto non solo con la massima libertà di parlarne, ma anche con la più ampia disponibilità di ascolto. Che ha pure compreso, diversi anni fa, che lei ne avesse un paio di altri alla luce del sole. E so per certo che ne hanno parlato, e sono rimasti sempre coppia. Ragazzi... Noi stessi nelle relazioni facciamo il nostro universo.
Poi però a qualcosa non è che "si media".
A qualcosa si rinuncia.
Il che non leva che il loro rapporto vada avanti da una vita e il mio - ad esempio - sia finito. Ma non so come dire: si rinuncia anche a stare insieme in uno spazio comunque ristretto quale è una casa. O meglio: se ne parla e si arriva alla conclusione che il nostro continuo discutere di tutto ci porta (come nella totalità dei casi) a parlare del nostro "oggi". Evitando di spendere parole sul futuro che "lega". Evitando cioè quella pia illusione che però è il motore che porta avanti la vita. Una ipoteca sul futuro che è quanto di meno garantito per antonomasia. Se mi lego poi non posso lamentarmi di non avere spazio di discutere sulle compressioni derivanti dal mio legame. E voglio vedere chi (uomo o donna) si mette a fare un figlio stanziando, a budget, la piena libertà di ogni altra espressione individuale. Ivi compresa la piena manifestazione di quel "mi sono rotta i coglioni", che sinceramente con mutuo e figli sarebbe meglio evitare di mettere in tavola a cena nel nome della salvaguardia del proprio spazio vitale. E che forse va messo in conto meglio prima, senza che comunque questo funga da garanzia. Invocare dopo la piena libertà di espressione, là dove è evidente di avere optato per una compressione, mi pare lecito ma non poi così degno di encomio di maturità della coppia. Che non è che non scoppia solo perché "se ne parla". Che la libertà in famiglia e' quella di averne anche liberamente scelto le conseguenze. Ivi compresa quella che è oggettivamente impossibile quella continua personalizzazione del rapporto di cui tu parli. Non è che se io e te siamo sposati con figli, e tu mi vieni a parlare della tua sofferenza per non avere altri, io mi posso sdoppiare o triplicare. Come per i miei amici. Solo che loro allo spazio della loro coppia non hanno dato solo forma, ma pure sostanza. E durano bene da una vita.
Senza matrimonio.
Senza mutuo.
Senza figli.
Senza interessi finanziari in comune.
Ma - per riprendere il discorso di [MENTION=6586]Skorpio[/MENTION] - secondo me non è il "terreno", ad essere sfavorevole. Sono semplicemente scelte, che ci portano ad altre. Con tutta la possibilità di riconoscere che nulla e' eterno. Ma anche con il riconoscimento reciproco che dinanzi a certe ipotesi che possono capitare in famiglia nulla si può fare nella sostanza, se non darne atto.
Che è la follia più folle, ma è pure quella che ci fa "spendere" un futuro di cui razionalmente OGGI non siamo padroni.
Anche a me piacerebbe parlare di vacanze per 12 mesi l'anno col mio capo. Ma forse mi dovrei prima licenziare. E pure mediare verso i cinque mesi non mi suona fattibile. Riconosco che sarebbe comunque un bellissimo rapporto
Ma non è il terreno di lavoro ad essere in sé inospitale. È la mia scelta di avere uno stipendio che dovrebbe spingere gli altri ragionamenti in coerenza.