lui sposato io single

Stato
Discussione chiusa ad ulteriori risposte.
O

Old ancheIO

Guest
Vabbè...ho capito vuoi farmi cacciare fuori dal forum...io non ho offeso nessuno, ho solo racconato cosa mi è accaduto...
Le carezze e neppure virtuali le puoi trovare da qualche tua amica che magari ti ha incoraggiata a sentirti "la donna del destino" .
Non hai assolutamente letto quel che ti ho scritto.
Tu stai rispondendo che quando hai capito che ti mentiva hai chiuso.
E' una risposta egocentrata che non considera la realtà dei fatti.
Rileggi con spirito di umiltà e non con l'impegno a difenderti.
Non ti accusa nessuno, sei tu che hai usato parole offensive nei confronti della donna che hai contribuito a tradire e per estensione a tutte le mogli che non hanno un lavoro esterno alla famiglia.
 

Persa/Ritrovata

Utente di lunga data
Vabbè...ho capito vuoi farmi cacciare fuori dal forum...io non ho offeso nessuno, ho solo racconato cosa mi è accaduto...
Questa risposta mi pare assolutamente fuori luogo e piuttosto trolleggiante... io non so ballare.
 

Old Staff

Amministrazione
Persa

E' stata l'utente in oggetto a essere offensiva nei confronti di tutte le mogli che non hanno un'attività lavorativa fuori casa.
Se facciamo passare questo concetto, autorizziamo ogni svillaneggiamento di ritorno.
Se un'utente si esprime in modo offensivo per la morale, ha un senso darle della stupida ed altre definizioni analoghe? Se si vuole ribattere a tono non è necessario scendere a compromessi con il proprio linguaggio abituale, se di migliore qualità, nè uscire dal merito del tema.
Ci sono infiniti modi per far intendere che si é stati/e offensivi senza diventarlo a propria volta.
Saluti
 

Persa/Ritrovata

Utente di lunga data
Se facciamo passare questo concetto, autorizziamo ogni svillaneggiamento di ritorno.
Se un'utente si esprime in modo offensivo per la morale, ha un senso darle della stupida ed altre definizioni analoghe? Se si vuole ribattere a tono non è necessario scendere a compromessi con il proprio linguaggio abituale, se di migliore qualità, nè uscire dal merito del tema.
Ci sono infiniti modi per far intendere che si é stati/e offensivi senza diventarlo a propria volta.
Saluti
La cosa deve essere reciproca, però.
 

Persa/Ritrovata

Utente di lunga data
...a parte tutto io sto male...
Ti sembra che le risposte che hai avuto non mirassero a farti uscire da questo stato?
A me non pare che fossero né offensive né insensibili.
Dirti che sei stata sfortunata non farebbe che farti crogiolare in una situazione in cui sei entrata senza piena coscienza di quel che era.
Le risposte tendono a farti riprendere il contatto con la realtà.
 
O

Old ancheIO

Guest
...non ho parlato male di nessuno, ho usato un aggettivo infelice che tra l'altro ho messo tra le virgolette per dire che noi lavoriamo nello stesso settore...e cmq io aspettavo paziente che lei avesse un'indipendenza economica...non ho offeso le donne che non lavorano, ho solo raccontato la mia storia: ho creduto che lui volesse costruire un futuro con me ed ero d'accordo con lui, nel chiudere nel modo più civile possibile la storia precedente...e cmq per me non ci son state cenette, vestiti o regali...ho solo atteso...invano...
 

Amoremio

Utente di lunga data
Se facciamo passare questo concetto, autorizziamo ogni svillaneggiamento di ritorno.
Se un'utente si esprime in modo offensivo per la morale, ha un senso darle della stupida ed altre definizioni analoghe? Se si vuole ribattere a tono non è necessario scendere a compromessi con il proprio linguaggio abituale, se di migliore qualità, nè uscire dal merito del tema.
Ci sono infiniti modi per far intendere che si é stati/e offensivi senza diventarlo a propria volta.
Saluti
è stata l'utente a chiedere che le si desse della stupida
per aver creduto all'incredibile,
dicendo che le sarebbe servito

..chmatemi stupida, ve ne prego! Magari rinsavisco!

io ho aderito alla richiesta perchè, nella migliore delle ipotesi, lo è stata e parecchio


non le ho detto sei b... e s...
benchè le sue parole lo siano
l'ho invitata a cercare di non esserlo
e questo è anche per il suo bene

1) crede ancora a ciò che le è stato detto
2) offende una persona che avrebbe ben più diritto di offendere lei
3) di fatto sta facendo la 3^ madre, ma naturalmente, secondo lei,
la moglie non è all'altezza del bel tomo
lei si (e questo potrebbe anche essere vero, e non è un complimento)

ritengo che l'intervento fosse congruo, potenzialmente utile
e anche moderato

anche la parolaccia non richiesta (e tronca)
serviva per farle capire la realtà del suo comportamento
 
Ultima modifica:

Amoremio

Utente di lunga data
...non ho parlato male di nessuno, ho usato
si , hai parlato male della donna che volevi e vuoi soppiantare
(
la moglie nn faccia un c**** e fa la signora mentre lui si uccide di lavoro
)
senza contare che lei non ti ha rubato nulla
tu invece ....
almeno ci hai provato

...noi lavoriamo nello stesso settore...
ma nemmeno tu mi sembra abbia una posizione professionale solidissima

...e cmq io aspettavo paziente che lei avesse un'indipendenza economica.....
se non lavora potrebbe non essere interessata a farlo solo per non aver diritto agli alimenti, non credi?

......non ho offeso le donne che non lavorano, ...
l'intenzione da me percepita era infatti l'offesa nei confronti di chi, con buon diritto teneva vincolato il tuo "principe"

... ho creduto che lui volesse costruire un futuro con me
hai atto male e non hai ancora capito l'ampiezza dell'errore


...ed ero d'accordo con lui, nel chiudere nel modo più civile possibile la storia precedente......
ma lui non era affatto d'accordo con te

una moglie che non vede o accetta
fa molto comodo
a chi strombazza in giro
 

Persa/Ritrovata

Utente di lunga data
Glielo impediva il mio non avere ancora una forte indipendenza economica (io gli ho sempre detto che non volevo vivere a suo carico...sebbene la moglie nn faccia un c**** e fa la signora mentre lui si uccide di lavoro!), il non avere un posto dove andare insieme, il senso di responsabilità nel non lasciarla improvvisamente prima che lei avesse trovato un lavoro...
Io ci ho creduto...e mi sembrava anche un atteggiamento responsabile...
Questo è offensivo nei confronti delle moglie in oggetto e di tutte le mogli che non hanno un'attività lavorativa extrafamigliare.
E che ha portato alla risposta di amoremio.
Non è una polemica nei confronti di staff (rispetto alle utenti interessate), ma un chiaramente, né, tanto meno nei confronti della nuova utente (benché mi paia trolleggiante, ma non possono i miei dubbi determinare le risposte, infatti sono stata in tema).
 

tinkerbell

Utente di lunga data
i...si soffre in entrambi i casi...ed avendo provato entrambe le esperienze, ti assicuro che qst seconda è ben più terribile delle altre oppost messe insieme.
....anche io ho provato entrambe le esperienze e ti posso dire che non c'è una gerarchia di valori nel dolore, questo è quanto più forte quanto ti sei sentita umiliata. Io a parità di anni persi e a differenza di situazioni una classifica del dolore (più allora? più ora?) non te la saprei fare. So solo che ora ho capito che preferisco esser ferita senza sapere e senza averne avuto nè sentore nè motivo piuttosto che essendomelo in qualche modo cercato da me e avendone comunque potenzialmente creato ad un'altra donna. Quiesta volte forse mi fa paradossalmente più male perchè sono anche io (oltre che lui) a sapere di aver sbagliato e a farmi schifo...nell'altro caso non avevo molte colpe, e lo schifoso traditore menzognero era solo lui!

Guarda, anche io - che la mia storia può in qualche modo esser simile alla tua - ti ho fatto notare che non era giusto, nè coerente col tuo modo di inserirti in un rapporto già esistente nè tantomeno ti sarebbe servito a nulla parlare in certi termini di un rapporto di scelta reciproca ben diverso da quello che tu (ed io) hai (abbiamo) vissuto.... e ti ho detto: se tu lo conoscevi prima si sposasse chieditelO: perchè non ha scelto te ma lei? e rileggi ciò che ti è successo, e impara anche a posteriori a rispettare chi non hai rispettato, chè essendo durato solo 6 mesi lo strazio, magari può servirti da esperienza il dolore almeno per evitare la prossima volat di crederti migliore, diversa di qualcun'altra che magari è molto molto molto simile (o migliore) di te. Non lo sai. Non lo so. Non giudicare. Tu (io) sei (siamo) le prime giudicabili: da noi stesse in primis.
 

tinkerbell

Utente di lunga data
Ti sembra che le risposte che hai avuto non mirassero a farti uscire da questo stato?
A me non pare che fossero né offensive né insensibili.
Dirti che sei stata sfortunata non farebbe che farti crogiolare in una situazione in cui sei entrata senza piena coscienza di quel che era.
Le risposte tendono a farti riprendere il contatto con la realtà.
Fidati che ha ragione! Tu puoi sempre rispondere e a tono. Rispondere è obbligarsi a pensare. Obbligarsi a raccontare ad altri come si è letto ciò che ci è capitato. E magari mentre spieghi e controbatti ti accorgi che ciò che hai letto non era scritto proprio così nella favola ma così da te è stato interpretato. Fidati. Qui dentro non gliene frega un tubo a nessuno di cacciarti via ma neanche di fartici restare se non sei collaborativa con te stessa! Non devi esere per forza d'accordo. ma non devi pretendere che loro (anche io) non dicano (diciamo) ciò che pensano (penso).
 
O

Old UnBrucoSullaRosa

Guest
Glielo impediva il mio non avere ancora una forte indipendenza economica (io gli ho sempre detto che non volevo vivere a suo carico...sebbene la moglie nn faccia un c**** e fa la signora mentre lui si uccide di lavoro!), il non avere un posto dove andare insieme, il senso di responsabilità nel non lasciarla improvvisamente prima che lei avesse trovato un lavoro...
Io ci ho creduto...e mi sembrava anche un atteggiamento responsabile...
La signora continua a non fare un c**** mentre tu, dopo essere stata spupazzata, non sei più una novità.
Chi delle due è più furba?
 

Verena67

Utente di lunga data
La rubrica "Cuori allo Specchio" di Massimo Gramellini si trova ogni fine settimana su LA STAMPA.


Meglio rimanere buoni amici (se si può)
ALI*


Equalcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure… e cancello il tuo nome dalla mia facciata...». Oggi mi risuona in testa Rimmel. Il titolo, caro D, certo non si adatta a te, che sei un uomo - e che uomo! - però dovrai convenire che la canzone di De Gregori dice qualcosa di noi, molto di me e del mio dolore, quello che rimane, acuto e pungente, sulla mia pagina di oggi. Mi ripassa di fronte questo anno e mezzo di incontri brevi e intensi e di lontananze lunghe ed estenuanti, spesso incomprensibili per me allora, di abbracci rari e struggenti e di delusioni ripetute e sfiancanti. È difficile per me che ti ho fatto diventare il mio sogno lasciarti andare via, ma più ancora è arduo accettare la realtà. Vedo «un futuro invadente, fossi stata un po’ più giovane, l’avrei distrutto con la fantasia, l’avrei stracciato con la fantasia...», ora invece devo guardare la realtà, voglio guardarla: ho 36 anni, è finito il tempo di inventarmi un mondo parallelo dove immagino che tutto vada come piacerebbe a me. Tu aspetti una figlia da un’altra, tu che mi parli della forza e della sincerità dei nostri sentimenti (!), dici che hai saputo che lei era incinta proprio quando eri pronto a lasciarla (per metterti con me? questo non l’hai mai detto&#8230
e solo ora trovo il coraggio di ammettere la cosa più evidente, che tu hai concepito (voi avete concepito) quella bambina quando era un anno che ci vedevamo! Quale sincerità, quale amore (chiedo a me stessa)? Queste parole non ci sono nemmeno nella canzone di De Gregori… solo la tristezza di una storia finita, di cui l’unica cosa che rimane è una foto. A me non resta nemmeno quella.
«Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo...», non in senso letterale (ci sono stati sempre fin troppi indirizzi a cui le hai spedite), ma nel senso che non hai più bisogno di mascherarti di fronte a me… Io voglio guardarti per come sei, voglio affrontare la situazione per com’è. Se ci riuscirò, sarò io a sovrapporre la tua faccia «a quella di chissà chi altro», a lasciare che il ricordo del tempo (non) insieme voli finalmente libero nel vento che trascina via i rami secchi del passato.
Se ci riuscirò, almeno, sentirò di non aver perduto del tutto la mia dignità. Allora potrò dire che qualcosa rimane. Ma di me, non di te… e tanto meno di noi.


Risposta
Carissima Ali, sono il tuo D. Un uomo - e che uomo! - lievemente confuso dopo che il postino del cuore mi ha fatto bere un intruglio a base di verità. Sono qui per parlarti «dei miei alibi e delle tue ragioni». Le mani scorrono sulla tastiera del computer come in un flusso di coscienza, comunicando ciò che penso e sento davvero: un fenomeno increscioso del quale anticipatamente mi scuso.

Vedi, Ali, «chi mi ha fatto le carte mi ha chiamato vincente, ma è uno zingaro, un trucco» e tu sei entrata nella mia vita nel momento in cui il rapporto con quell’altra donna si incanalava nell’alveo della noia. Niente più emozioni, brividi, desideri. Avevo bisogno di sentirmi uomo - e che uomo ! - e mi sono preso una cotta per te, che mi consideravi un dio. Provavo una «santa voglia di vivere» e tu, «dolce Venere di Rimmel», eri abbastanza innamorata da accettare il ruolo della ragazza in lista d’attesa. Mi piacevi. Ma questo non significa che fossi pronto ad amarti. Hai dato troppa importanza alle mie parole, sottovalutando il linguaggio dei gesti, cioè il tempo che ti dedicavo: decisamente poco, eppure è «tutto quello che hai di me».

Ho pensato: come potrò tenere il piede in due scarpe senza prendermi almeno una storta? Poi ho visto che ci riuscivo benissimo. È incredibile quante cose impossibili mi riescano, ultimamente. Persino fare un figlio con una donna che non amo. Ma devi capirmi: l’ambiguità della nostra situazione mi stava cominciando a pesare. Mi rendevo conto dai tuoi sfoghi, ma ancor più dai tuoi silenzi, che volevi di più. Non avevo la forza di lasciarti, né la pazienza per mettermi nelle condizioni di farmi lasciare da te. Dovevo fare qualcosa di irreparabile per risolvere la questione. Il mio non è stato un ragionamento, ma uno stato d’animo. E quando la mia compagna mi ha detto di essere rimasta incinta, ho pensato: ecco il segnale che attendevo.

Adesso mi accusi di averti ingannata. E hai ragione. Ma mi facevi troppo comodo per rischiare di perderti. Meglio tenerti buona con promesse vaghe e dilatorie. Ero il più forte. E non perché ero l’uomo - e che uomo! Ma perché dei due ero quello che amava di meno e che aveva un’altra storia. In fondo, io stavo con due donne, tu soltanto con me. Non c’era equilibrio. E in qualsiasi coppia, se uno dei due è in posizione di forza, puoi stare certa che ne approfitterà.

Non incolparmi di questo. Sei tu che mi hai immaginato diverso da quello che ero e hai accettato di giocare in una condizione di inferiorità, abbeverandoti alle mie panzane di maschio opportunista. Se posso darti un consiglio, la prossima volta tieniti alla larga dagli uomini infelicemente accoppiati: sono i più pericolosi. «Meglio rimanere buoni amici, come noi» (fra qualche secolo, naturalmente, perché ho l’impressione che se tu mi incontrassi adesso, mi svuoteresti un pitale di improperi sulla testa).

MASSIMO GRAMELLINI
 

Persa/Ritrovata

Utente di lunga data
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Meglio rimanere buoni amici (se si può)
ALI*


Equalcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure… e cancello il tuo nome dalla mia facciata...». Oggi mi risuona in testa Rimmel. Il titolo, caro D, certo non si adatta a te, che sei un uomo - e che uomo! - però dovrai convenire che la canzone di De Gregori dice qualcosa di noi, molto di me e del mio dolore, quello che rimane, acuto e pungente, sulla mia pagina di oggi. Mi ripassa di fronte questo anno e mezzo di incontri brevi e intensi e di lontananze lunghe ed estenuanti, spesso incomprensibili per me allora, di abbracci rari e struggenti e di delusioni ripetute e sfiancanti. È difficile per me che ti ho fatto diventare il mio sogno lasciarti andare via, ma più ancora è arduo accettare la realtà. Vedo «un futuro invadente, fossi stata un po’ più giovane, l’avrei distrutto con la fantasia, l’avrei stracciato con la fantasia...», ora invece devo guardare la realtà, voglio guardarla: ho 36 anni, è finito il tempo di inventarmi un mondo parallelo dove immagino che tutto vada come piacerebbe a me. Tu aspetti una figlia da un’altra, tu che mi parli della forza e della sincerità dei nostri sentimenti (!), dici che hai saputo che lei era incinta proprio quando eri pronto a lasciarla (per metterti con me? questo non l’hai mai detto…) e solo ora trovo il coraggio di ammettere la cosa più evidente, che tu hai concepito (voi avete concepito) quella bambina quando era un anno che ci vedevamo! Quale sincerità, quale amore (chiedo a me stessa)? Queste parole non ci sono nemmeno nella canzone di De Gregori… solo la tristezza di una storia finita, di cui l’unica cosa che rimane è una foto. A me non resta nemmeno quella.
«Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo...», non in senso letterale (ci sono stati sempre fin troppi indirizzi a cui le hai spedite), ma nel senso che non hai più bisogno di mascherarti di fronte a me… Io voglio guardarti per come sei, voglio affrontare la situazione per com’è. Se ci riuscirò, sarò io a sovrapporre la tua faccia «a quella di chissà chi altro», a lasciare che il ricordo del tempo (non) insieme voli finalmente libero nel vento che trascina via i rami secchi del passato.
Se ci riuscirò, almeno, sentirò di non aver perduto del tutto la mia dignità. Allora potrò dire che qualcosa rimane. Ma di me, non di te… e tanto meno di noi.


Risposta
Carissima Ali, sono il tuo D. Un uomo - e che uomo! - lievemente confuso dopo che il postino del cuore mi ha fatto bere un intruglio a base di verità. Sono qui per parlarti «dei miei alibi e delle tue ragioni». Le mani scorrono sulla tastiera del computer come in un flusso di coscienza, comunicando ciò che penso e sento davvero: un fenomeno increscioso del quale anticipatamente mi scuso.

Vedi, Ali, «chi mi ha fatto le carte mi ha chiamato vincente, ma è uno zingaro, un trucco» e tu sei entrata nella mia vita nel momento in cui il rapporto con quell’altra donna si incanalava nell’alveo della noia. Niente più emozioni, brividi, desideri. Avevo bisogno di sentirmi uomo - e che uomo ! - e mi sono preso una cotta per te, che mi consideravi un dio. Provavo una «santa voglia di vivere» e tu, «dolce Venere di Rimmel», eri abbastanza innamorata da accettare il ruolo della ragazza in lista d’attesa. Mi piacevi. Ma questo non significa che fossi pronto ad amarti. Hai dato troppa importanza alle mie parole, sottovalutando il linguaggio dei gesti, cioè il tempo che ti dedicavo: decisamente poco, eppure è «tutto quello che hai di me».

Ho pensato: come potrò tenere il piede in due scarpe senza prendermi almeno una storta? Poi ho visto che ci riuscivo benissimo. È incredibile quante cose impossibili mi riescano, ultimamente. Persino fare un figlio con una donna che non amo. Ma devi capirmi: l’ambiguità della nostra situazione mi stava cominciando a pesare. Mi rendevo conto dai tuoi sfoghi, ma ancor più dai tuoi silenzi, che volevi di più. Non avevo la forza di lasciarti, né la pazienza per mettermi nelle condizioni di farmi lasciare da te. Dovevo fare qualcosa di irreparabile per risolvere la questione. Il mio non è stato un ragionamento, ma uno stato d’animo. E quando la mia compagna mi ha detto di essere rimasta incinta, ho pensato: ecco il segnale che attendevo.

Adesso mi accusi di averti ingannata. E hai ragione. Ma mi facevi troppo comodo per rischiare di perderti. Meglio tenerti buona con promesse vaghe e dilatorie. Ero il più forte. E non perché ero l’uomo - e che uomo! Ma perché dei due ero quello che amava di meno e che aveva un’altra storia. In fondo, io stavo con due donne, tu soltanto con me. Non c’era equilibrio. E in qualsiasi coppia, se uno dei due è in posizione di forza, puoi stare certa che ne approfitterà.

Non incolparmi di questo. Sei tu che mi hai immaginato diverso da quello che ero e hai accettato di giocare in una condizione di inferiorità, abbeverandoti alle mie panzane di maschio opportunista. Se posso darti un consiglio, la prossima volta tieniti alla larga dagli uomini infelicemente accoppiati: sono i più pericolosi. «Meglio rimanere buoni amici, come noi» (fra qualche secolo, naturalmente, perché ho l’impressione che se tu mi incontrassi adesso, mi svuoteresti un pitale di improperi sulla testa).

MASSIMO GRAMELLINI
Grande Gramellini!
 
O

Old Raffaella

Guest
La rubrica "Cuori allo Specchio" di Massimo Gramellini si trova ogni fine settimana su LA STAMPA.


Meglio rimanere buoni amici (se si può)
ALI*


Equalcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure… e cancello il tuo nome dalla mia facciata...». Oggi mi risuona in testa Rimmel. Il titolo, caro D, certo non si adatta a te, che sei un uomo - e che uomo! - però dovrai convenire che la canzone di De Gregori dice qualcosa di noi, molto di me e del mio dolore, quello che rimane, acuto e pungente, sulla mia pagina di oggi. Mi ripassa di fronte questo anno e mezzo di incontri brevi e intensi e di lontananze lunghe ed estenuanti, spesso incomprensibili per me allora, di abbracci rari e struggenti e di delusioni ripetute e sfiancanti. È difficile per me che ti ho fatto diventare il mio sogno lasciarti andare via, ma più ancora è arduo accettare la realtà. Vedo «un futuro invadente, fossi stata un po’ più giovane, l’avrei distrutto con la fantasia, l’avrei stracciato con la fantasia...», ora invece devo guardare la realtà, voglio guardarla: ho 36 anni, è finito il tempo di inventarmi un mondo parallelo dove immagino che tutto vada come piacerebbe a me. Tu aspetti una figlia da un’altra, tu che mi parli della forza e della sincerità dei nostri sentimenti (!), dici che hai saputo che lei era incinta proprio quando eri pronto a lasciarla (per metterti con me? questo non l’hai mai detto…) e solo ora trovo il coraggio di ammettere la cosa più evidente, che tu hai concepito (voi avete concepito) quella bambina quando era un anno che ci vedevamo! Quale sincerità, quale amore (chiedo a me stessa)? Queste parole non ci sono nemmeno nella canzone di De Gregori… solo la tristezza di una storia finita, di cui l’unica cosa che rimane è una foto. A me non resta nemmeno quella.
«Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo...», non in senso letterale (ci sono stati sempre fin troppi indirizzi a cui le hai spedite), ma nel senso che non hai più bisogno di mascherarti di fronte a me… Io voglio guardarti per come sei, voglio affrontare la situazione per com’è. Se ci riuscirò, sarò io a sovrapporre la tua faccia «a quella di chissà chi altro», a lasciare che il ricordo del tempo (non) insieme voli finalmente libero nel vento che trascina via i rami secchi del passato.
Se ci riuscirò, almeno, sentirò di non aver perduto del tutto la mia dignità. Allora potrò dire che qualcosa rimane. Ma di me, non di te… e tanto meno di noi.


Risposta
Carissima Ali, sono il tuo D. Un uomo - e che uomo! - lievemente confuso dopo che il postino del cuore mi ha fatto bere un intruglio a base di verità. Sono qui per parlarti «dei miei alibi e delle tue ragioni». Le mani scorrono sulla tastiera del computer come in un flusso di coscienza, comunicando ciò che penso e sento davvero: un fenomeno increscioso del quale anticipatamente mi scuso.

Vedi, Ali, «chi mi ha fatto le carte mi ha chiamato vincente, ma è uno zingaro, un trucco» e tu sei entrata nella mia vita nel momento in cui il rapporto con quell’altra donna si incanalava nell’alveo della noia. Niente più emozioni, brividi, desideri. Avevo bisogno di sentirmi uomo - e che uomo ! - e mi sono preso una cotta per te, che mi consideravi un dio. Provavo una «santa voglia di vivere» e tu, «dolce Venere di Rimmel», eri abbastanza innamorata da accettare il ruolo della ragazza in lista d’attesa. Mi piacevi. Ma questo non significa che fossi pronto ad amarti. Hai dato troppa importanza alle mie parole, sottovalutando il linguaggio dei gesti, cioè il tempo che ti dedicavo: decisamente poco, eppure è «tutto quello che hai di me».

Ho pensato: come potrò tenere il piede in due scarpe senza prendermi almeno una storta? Poi ho visto che ci riuscivo benissimo. È incredibile quante cose impossibili mi riescano, ultimamente. Persino fare un figlio con una donna che non amo. Ma devi capirmi: l’ambiguità della nostra situazione mi stava cominciando a pesare. Mi rendevo conto dai tuoi sfoghi, ma ancor più dai tuoi silenzi, che volevi di più. Non avevo la forza di lasciarti, né la pazienza per mettermi nelle condizioni di farmi lasciare da te. Dovevo fare qualcosa di irreparabile per risolvere la questione. Il mio non è stato un ragionamento, ma uno stato d’animo. E quando la mia compagna mi ha detto di essere rimasta incinta, ho pensato: ecco il segnale che attendevo.

Adesso mi accusi di averti ingannata. E hai ragione. Ma mi facevi troppo comodo per rischiare di perderti. Meglio tenerti buona con promesse vaghe e dilatorie. Ero il più forte. E non perché ero l’uomo - e che uomo! Ma perché dei due ero quello che amava di meno e che aveva un’altra storia. In fondo, io stavo con due donne, tu soltanto con me. Non c’era equilibrio. E in qualsiasi coppia, se uno dei due è in posizione di forza, puoi stare certa che ne approfitterà.

Non incolparmi di questo. Sei tu che mi hai immaginato diverso da quello che ero e hai accettato di giocare in una condizione di inferiorità, abbeverandoti alle mie panzane di maschio opportunista. Se posso darti un consiglio, la prossima volta tieniti alla larga dagli uomini infelicemente accoppiati: sono i più pericolosi. «Meglio rimanere buoni amici, come noi» (fra qualche secolo, naturalmente, perché ho l’impressione che se tu mi incontrassi adesso, mi svuoteresti un pitale di improperi sulla testa).

MASSIMO GRAMELLINI
Sono sconvolta....
 
O

Old ancheIO

Guest
Grazie Verena,
è ciò di cui avevo bisogno...la stampo e la appendo nell'armadio...così ogni mattino prima di uscire, prima di vestirmi, mi vestirò di una consapevolezza crescente...
GRAZIE


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ALI*


Equalcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure… e cancello il tuo nome dalla mia facciata...». Oggi mi risuona in testa Rimmel. Il titolo, caro D, certo non si adatta a te, che sei un uomo - e che uomo! - però dovrai convenire che la canzone di De Gregori dice qualcosa di noi, molto di me e del mio dolore, quello che rimane, acuto e pungente, sulla mia pagina di oggi. Mi ripassa di fronte questo anno e mezzo di incontri brevi e intensi e di lontananze lunghe ed estenuanti, spesso incomprensibili per me allora, di abbracci rari e struggenti e di delusioni ripetute e sfiancanti. È difficile per me che ti ho fatto diventare il mio sogno lasciarti andare via, ma più ancora è arduo accettare la realtà. Vedo «un futuro invadente, fossi stata un po’ più giovane, l’avrei distrutto con la fantasia, l’avrei stracciato con la fantasia...», ora invece devo guardare la realtà, voglio guardarla: ho 36 anni, è finito il tempo di inventarmi un mondo parallelo dove immagino che tutto vada come piacerebbe a me. Tu aspetti una figlia da un’altra, tu che mi parli della forza e della sincerità dei nostri sentimenti (!), dici che hai saputo che lei era incinta proprio quando eri pronto a lasciarla (per metterti con me? questo non l’hai mai detto…) e solo ora trovo il coraggio di ammettere la cosa più evidente, che tu hai concepito (voi avete concepito) quella bambina quando era un anno che ci vedevamo! Quale sincerità, quale amore (chiedo a me stessa)? Queste parole non ci sono nemmeno nella canzone di De Gregori… solo la tristezza di una storia finita, di cui l’unica cosa che rimane è una foto. A me non resta nemmeno quella.
«Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo...», non in senso letterale (ci sono stati sempre fin troppi indirizzi a cui le hai spedite), ma nel senso che non hai più bisogno di mascherarti di fronte a me… Io voglio guardarti per come sei, voglio affrontare la situazione per com’è. Se ci riuscirò, sarò io a sovrapporre la tua faccia «a quella di chissà chi altro», a lasciare che il ricordo del tempo (non) insieme voli finalmente libero nel vento che trascina via i rami secchi del passato.
Se ci riuscirò, almeno, sentirò di non aver perduto del tutto la mia dignità. Allora potrò dire che qualcosa rimane. Ma di me, non di te… e tanto meno di noi.


Risposta
Carissima Ali, sono il tuo D. Un uomo - e che uomo! - lievemente confuso dopo che il postino del cuore mi ha fatto bere un intruglio a base di verità. Sono qui per parlarti «dei miei alibi e delle tue ragioni». Le mani scorrono sulla tastiera del computer come in un flusso di coscienza, comunicando ciò che penso e sento davvero: un fenomeno increscioso del quale anticipatamente mi scuso.

Vedi, Ali, «chi mi ha fatto le carte mi ha chiamato vincente, ma è uno zingaro, un trucco» e tu sei entrata nella mia vita nel momento in cui il rapporto con quell’altra donna si incanalava nell’alveo della noia. Niente più emozioni, brividi, desideri. Avevo bisogno di sentirmi uomo - e che uomo ! - e mi sono preso una cotta per te, che mi consideravi un dio. Provavo una «santa voglia di vivere» e tu, «dolce Venere di Rimmel», eri abbastanza innamorata da accettare il ruolo della ragazza in lista d’attesa. Mi piacevi. Ma questo non significa che fossi pronto ad amarti. Hai dato troppa importanza alle mie parole, sottovalutando il linguaggio dei gesti, cioè il tempo che ti dedicavo: decisamente poco, eppure è «tutto quello che hai di me».

Ho pensato: come potrò tenere il piede in due scarpe senza prendermi almeno una storta? Poi ho visto che ci riuscivo benissimo. È incredibile quante cose impossibili mi riescano, ultimamente. Persino fare un figlio con una donna che non amo. Ma devi capirmi: l’ambiguità della nostra situazione mi stava cominciando a pesare. Mi rendevo conto dai tuoi sfoghi, ma ancor più dai tuoi silenzi, che volevi di più. Non avevo la forza di lasciarti, né la pazienza per mettermi nelle condizioni di farmi lasciare da te. Dovevo fare qualcosa di irreparabile per risolvere la questione. Il mio non è stato un ragionamento, ma uno stato d’animo. E quando la mia compagna mi ha detto di essere rimasta incinta, ho pensato: ecco il segnale che attendevo.

Adesso mi accusi di averti ingannata. E hai ragione. Ma mi facevi troppo comodo per rischiare di perderti. Meglio tenerti buona con promesse vaghe e dilatorie. Ero il più forte. E non perché ero l’uomo - e che uomo! Ma perché dei due ero quello che amava di meno e che aveva un’altra storia. In fondo, io stavo con due donne, tu soltanto con me. Non c’era equilibrio. E in qualsiasi coppia, se uno dei due è in posizione di forza, puoi stare certa che ne approfitterà.

Non incolparmi di questo. Sei tu che mi hai immaginato diverso da quello che ero e hai accettato di giocare in una condizione di inferiorità, abbeverandoti alle mie panzane di maschio opportunista. Se posso darti un consiglio, la prossima volta tieniti alla larga dagli uomini infelicemente accoppiati: sono i più pericolosi. «Meglio rimanere buoni amici, come noi» (fra qualche secolo, naturalmente, perché ho l’impressione che se tu mi incontrassi adesso, mi svuoteresti un pitale di improperi sulla testa).

MASSIMO GRAMELLINI
 
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