Buongiorno!
Non è un problema se non trovi senso, non ti preoccupare

E' esattamente quello che capita quando si incontra uno schema di lettura e interpretazione del mondo diverso dal proprio. Se per te non è un problema, continuerei ad usare il mio schema, che dici?
Pensi di poter riuscire ad entrare in confronto lo stesso o hai bisogno che lo traduca in qualcosa di più vicino a te?
L'amore che descrivi mi fa venire in mente l'amore materno, con riferimenti alla religiosità del sacrificio per lo scopo più alto.
Per il Vero, in buona sostanza, più che un amore adulto dove i coinvolti sono due adulti individuati che espongono volontariamente e consapevolmente le proprie vulnerabilità reciprocamente.
Ed è nell'esposizione che esiste il rischio del dolore, della ferita, del rifiuto, dell'abbandono.
Emozioni che per essere gestite e incluse in modo proattivo (e non reattivo

) richiedono di esser parte accettata della propria struttura di individualità.
Semplificando di molto, se vengo ferita o abbandonata non è il risultato di un essere sbagliato dell'altro e di me, ma è semplicemente il risultato del fatto che due individui in relazione hanno bisogni, esigenze, schemi interpretativi, vissuti che talvolta portano per strade diverse da quelle ipotizzate nell'immaginario del Vero assoluto.
E' un po' la differenza fra verità e realtà.
In un amore adulto gli individui mettono in comune limiti e risorse e intenzionalmente decidono come comporre e co-costruire (non creare, è un termine inesatto a prescindere dagli schemi di riferimento) lo spazio relazionale dove poi si colloca il noi.
Il rischio si colloca esattamente nella possibilità di entrare e uscire da quel noi decidendo di volta in volta se portarci dentro ricchezza o povertà.
La cura si colloca esattamente nella condivisione delle attenzioni riservate a quello spazio e nella decisione costantemente attuale di esporre in quel noi le proprie vulnerabilità decidendo se renderle comunicazione o guerra.
Anche dopo 30 anni di matrimonio.
La paura dell'intimità nasce esattamente nell'esporsi vulnerabili.
E la paura è una compagna piuttosto importante e fondamentale, non nella coppia ma proprio nella storia evolutiva dell'essere umano.
Ha diverse funzioni, fisiologiche e neurologiche e psicologiche.
Attiva la chimica che è funzionale al funzionamento dell'organismo nel mondo e alla sua sopravvivenza. (senza paura saremmo estinti da parecchio).
Se sei al sicuro non hai paura. (bella illusione venduta negli ultimi decenni, come se esistesse un posto esente dai rischi dell'esistenza stessa)
Il Vero, il Giusto (idea che guida parecchi integralismi) sono il Riparo.
Se sono nel Giusto, chi mai potrà colpirmi?
(l'illusione del superamento della paura).
Ma non solo, se sono nel Giusto io posso colpire senza pormi il minimo dubbio sulle mie azioni. Senza discuterle (l'integralismo funziona a grandi linee su questi assiomi).
Peccato che se si elimina la paura si elimina il meccanismo base che permette la sopravvivenza in individualità.
Certo, fa buon gioco se si desidera asservire.
Se poi si aggiungono altri ingredienti, la vergogna e la colpa, si ottiene un bel bouquet finalizzato al controllo.
Togli la paura ad un umano e hai leso profondamente le sue possibilità di essere proattivo e responsabile nella propria vita e in quella altrui.
Hai mai riflettuto sullo scheletro degli estremismi?
Ecco..nel grande il piccolo e nel piccolo il grande.
Quindi mi chiedi se ho paura. Certo che ho paura dell'intimità. (intimità è esporsi senza garanzia di sorta. Assumendosi la responsabilità della propria decisione di farlo senza delegare ad altri quella decisione - certo, l'amore vero di cui parli sembra una bella sicurezza eh? esco dalla mia zona confort perchè so che tu mi accoglierai...comodo

e, a rovescio, sede della morte del desiderio passionale. Eros e Thanatos non sono separabili, per quanto ci si sforzi..gli antichi dei non fanno sconti).
Ho paura di esporre le mie vulnerabilità, anche perchè riconosco in me la presenza dello stereotipo (finalizzato anche questo ad un controllo educativo) per cui vulnerabilità è sinonimo di debolezza.
Ma, ed è qui che il meccanismo della paura si rivela a mio parere meraviglioso, non ho paura di aver paura.
Ossia riconosco la paura, ne riconosco i vantaggi e mi è utile per sentire quando sono vicina ad un limite mio che mi tocca corde che non necessariamente riguardano eventi presenti. (e qui c'è parte della motivazione, della ricchezza e del senso dell'essere essere relazionale degli esseri umani)
Anzi, quasi mai li riguardano. (qui si aprirebbe una parentesi immensa su come percepiamo gli eventi nel presente usando quelli passati per prevedere e su questi parametri si reagisce ad un evento sconosciuto mascherandolo da conosciuto per avere orientamenti rassicuranti, ma sarebbe veramente lunghissimo e molto tecnico.)
La discrimine, il non aver paura di aver paura, riguarda il non rifiutare la paura ma renderla parte del patrimonio condiviso con l'altro, nello spazio del noi. Renderla proazione, impegno e cura. Di sè da offrire all'altro. Circolarmente.
Esplicitando le aspettative e collocandole al loro posto: ossia negli immaginari individuali.
E anche quella gratuità in cui in qualche modo facevi riferimento: conoscere le proprie aspettative e non delegarle all'altro, utilizzando meccanismi premio/punizione, vessazione, ricatto affettivo, con quel che ne deriva, rabbia, rivalsa, desiderio di vendetta, disconferma di sè in buona sostanza.
Chiudo, perdonami sono pignola, sottolineandoti una imprecisione nella tua lettura di me, io non sono indipendente (sulla dipendenza/indipendenza ci sarebbe da scrivere per ore senza neanche giungere ad alcuna conclusione definitiva) sono autonoma.
E l'autonomia non si rivendica, l'autonomia si costruisce e in coppia si co-costruisce. Nel rispetto delle decisioni e delle vulnerabilità proprie e dell'altro.
Anche quando quelle vulnerabilità divengono armi per ferire. Volontariamente o involontariamente.
E, in particolare nelle situazioni in cui le esigenze e le vulnerabilità dell'altro feriscono, l'autonomia - a differenza dell'indipendenza - permette di decidere per sè. Esempio concreto: sto nonostante tu mi abbia tradito oppure me ne vado. E, nel caso dello stare, permette di guardare l'altro senza cercargli giustificazioni - per esempio dipingendosi l'amante come una maliarda magica che ha irretito il povero ingenuo - oppure spostnado la propria delusione nella competizione con l'altr*. Nel caso dell'andare, nell'andare in pace senza andare a cercare fuori di sè motivazione e spiegazione alle proprie decisioni.
Leggendoti mi hai fatto venire in mente che tu non abbia un buon rapporto con l'essere rifiutata.
Saprai tu - mi auguro per te - dove nasce il tuo rapporto con il rifiuto di te.
E mi sembra tu abbia la tendenza a scambiare il ruolo ideale di vittima e carnefice.
Ti assicuro, per esperienza, che non è una genialata. Qualcuno diceva che non c'è tortura peggiore per una vittima che ripetere (quasi in coazione) l'esperienza di vittima facendosi carnefice. Il risultato è vivere e rivivere la situazione in cui ci si è percepiti vittima amplificandola aggiungendovi la prospettiva del carnefice, ma senza mai riuscire a giungere ad alcun risultato. Perchè indietro nel tempo semplicemente non si torna.
Parlavi di accettazione delle emozioni...beh, il giochetto per non autoingannarsi con un senso di potenza fittizio, è proprio accettare le emozioni percepite senza cercare la fuga nella rivalsa o nella vendetta collocandosi in un ruolo che in ogni caso non l'accaduto.
Fra l'altro, collocare il proprio potere nell'altro è un o' il gioco del tiranno. Il tiranno esiste solo se è riconosciuto tale.
Brutta posizione a mio parere, far discendere l'esistenza del proprio potere dal riconoscimento di quel potere da parte di qualcun altro.
E' una delle peggiori forme di schiavitù (tipica della storia femminile fra l'altro)
Il passato non si cambia. E' una idea di controllo quella di poter cambiare il passato nel futuro.
(e anche qui si aprirebbero ore e ore di discussione)