Sono concetti che ho capito un po' con il tempo. Io, per mentalità, sono portata a dare TUTTO, sul lavoro. L'ho fatto letteralmente per un periodo, lavorando 10-12 ore al giorno. Mi davano dei bei soldi, e mi sono serviti, ma è stata una fase della mia vita (in ogni caso durata anni) in cui era il momento di fare anche parecchi sacrifici. Il mio capo, scherzosamente, diceva che ero una macchina

Oggi mi trovo a dover conciliare tutto con quella che è la mia priorità indiscussa, vale a dire mio figlio. Quindi l'obiettivo è quello di far quadrare i conti riuscendo a vivere, o meglio vivere discretamente la mia priorità ed io

, possibilmente senza l'assillo che, al minimo imprevisto, io mi possa trovare nella merda (che pure sto pensieri non rendono bella la vita). Ed è quindi il lavoro che deve essere conforme alle mie esigenze, il viceversa ovviamente si fa sulla base dell'accordo con l'altra parte. Quando sta bene, deve stare bene a tutti. Se non mi sta bene, migari me lo faccio andare bene uguale, ma solo finché non riesco a cambiare lavoro. In quest'ottica ok a fare, dare, dimostrare. Che se per quiet quitting dobbiamo intendere il dormire sul lavoro no, non sta bene nemmeno a me. Se invece lo si intende nel senso di dare al lavoro una giusta dimensione, d'accordissimo. Se, poi, il lavoro piace e appassiona, il maggior impegno secondo me viene da sé. Alla lunga, però, se con la profusione di un quid in più non deriva alcun incremento della controprestazione, dei dineros da spendersi fuori dal lavoro, lavorare "per la Patria", dando più di ciò che è dovuto (quindi non intendo dormire sul lavoro) semplicemente.... Non paga. A meno di avere già di per sé compensi sopra la media e orari accettabili.