Per carattere sono contrario all'uso degli assoluti,e quindi di termini universalizzanti, e preferisco operare con termini relativi: relativizzare i concetti. Toglierei allora il carattere di assoluto sia alla filosofia sia alla scienza: la filosofia è un modo di pensare (un modo, non _il_ modo) che è sorto all'incirca nel V sec. a.C in Grecia e di cui noi, tutti, siamo i figli. Un modo di guardare il mondo. La scienza è un prodotto di questo modo, un prodotto della filosfia, che si è originata, all'incirca, nel XVI secolo: diciamo con Galileo. Un prodotto della filosofia tanto è che Newton, nel '700, definiva se stesso "filosofo".
Oggi (dunque per noi) la scienza ha costi altissimi. La ricerca costa spropositi. Costi che vengono accettati sulla base del principio che la scienza aiuti a vivere meglio: in sostanza siamo disposti a pagare la scienza perché funziona come tecnologia. Se ci liberiamo dalla retorica scolastica sul valore della scienza "pura" non tardiamo ad accorgerci che la tecnologia è il fine e la scienza il mezzo.
Poiché la scienza non può indagare tutto, non fosse che per una questione economica (in realtà ci sono altre influenza ma hanno un ruolo decisamente minore), la scienza va indirizzata. Scegliere di costruire un sincrotone o un radiotelescopio è una scelta in definitiva politica, nel senso che non è una scelta scientifica ma extrascientifica. Diciamo che si sceglie su quale tecnologia futura puntare. Una scelta che qualcuno deve compiere. Se rinunciamo all'idea ingenua che in democrazia le scelte le facciano i cittadini, dobbiamo ammettere che la scelta viene fatta dal potere e, comunque vogliamo definire questo potere, è chiaro qualunque potere non può che operare scelte a proprio vantaggio.
Oggi, peraltro, la tecnologia vive di una logica propria e impone a se stessa le scelte relative. Questo significa che impone la propria logica, il proprio potere.
Come lo sappiamo? Lo sappiamo perché usiamo la filosofia: l'indagine sul senso della realtà.