Io credo che l'unità di misura del senso di colpa sia il proprio senso di giustizia; che non è quasi mai applicabile in maniera teorica ad una categoria di stesse cose, ma che cambia di situazione in situazione, in base alla parità o meno di rapporto con l'altro, con lo scopo di garantire un equilibrio di potere.Ci sono persone che hanno il senso di colpa per essersi dimenticati di aver pagato un'aranciata trent'anni prima e chi fa schifezze immonde abbastanza serenamente, pensando che faccia parte di un percorso di conoscenza o trovando mille ragioni.
Per voi da cosa nasce questa diversità?
Sappiamo tutti del super-io che è il genitore severo interiorizzato, ma non credo che i secondi siano tutti cresciuti senza regole o addirittura si trovano le due tipologie opposte nella stessa famiglia.
Io suppongo che si possa ricondurre all'autostima.
Non credo che esista un'autostima a prova di bomba, ma che ognuno trovi il proprio orgoglio quanto più sente di avvicinarsi per gli aspetti essenziali alla propria idea di persona che vorrebbe essere (sì lo so è uguale al super-io e richiama la formazione dell'identità).
Ma chi ne fa di tutti i colori che persona vuole essere? Pensiamo a Pazza che dice che cosa sarà lo scoprirà solo vivendo. Col cavolo chi vuoi essere lo costruisci tu, non solo con gli studi formali.
Voi avete sensi di colpa per l'aranciata?
Esempio: se io maltratto gratuitamente una persona che è sempre gentile con me perchè, in un momento di stress, non sono riuscita a comunicare civilmente, mi sentirò in colpa. Ma se io sono convinta (che sia vero o no) che la apparente gentilezza della persona sia un modo per percularmi cronicamente, non mi sentirò in colpa: rispondendo a un'offesa con quella che è percepita come offesa di pari o quasi entità, si ristabilisce l'equilibrio di potere che era stato turbato dalla prima (vera o presunta) offesa subita. Questo lo teorizzava Hellinger nelle relazioni fra persone, sostenendo che ogni relazione si basa su un equibrio di potere dato dalla pari possibilità di scambiare comunicazioni o 'doni' dello stesso livello di positività o negatività. Sosteneva ad esempio (cosa che trovo interessantissima) che quando qualcuno dà all'altro qualcosa di così grande che non può essere ricambiato, la persona che ha ricevuto il bene dovrà rompere la relazione, perchè vengono a mancare i pressupposti, ovvero, viene a mancare l'equilibrio di potere senza possibilità di ripristinarlo. Questo include: la rabbia e il distacco degli adolescenti dai genitori (la consapevolezza di: non potrò mai restituirti tutto quello che economicamente ed emotivamente hai fatto per me, quindi sento la spinta a rompere il rapporto), ma anche spesso, udite udite, eventi come il perdono di un tradimento (paradossalmente lui sostiene che, quando ci viene fatto uno sgarro, rispondendo con uno sgarro un po' più piccolo, si può procede così fino a tornare in 'parità': altrimenti o il perdono non sarà mai veramente tale, oppure, uno dei due finirà per abbandonare la relazione).
Tutto iò era per dire che: quando non ci si sente in colpa per qualcosa, piccolo o enorme che sia, credo sia perchè ci si sente di rispondere correttamente a ciò che si percepisce come ingiusto. Non si tratta esattamente di una giustificazione, quanto di una necessità di riportare alla neutralità un equilibrio di potere. Non conta quanto enorme o minuscola una cosa possa apparire razionalmente: conta se si percepisce di aver agito giustamente o ingiustamente nei confronti di una persona o un gruppo, in base al modo in cui tu credi la persona o il gruppo si siano posti con te. Se io sono certa che i cinesi siano una minaccia mondiale e si mangino i bambini e non siano esseri umani, è chiaro che non mi sento in colpa a scatenare un genocidio. Mentre magari se mi scordo di pagare l'aranciata al bar di Peppino, che io giudico onesto e povero e che già mi aveva pure offerto il caffè, mi sentirò in colpa e tornerò a pagargliela.
Ovviamente il problema è che i giudizi sono soggettivi. Ci si può convincere di cose che non sono vere. Ma per il soggetto lo sono, e questo basta a scatenare una reazione spesso inconscia. A me, ad esempio, è capitato di svolgere la stessa azione due volte con la stessa persona, a distanza di due anni: la prima volta mi sono sentita in colpissima; la seconda, per niente. Non è l'azione che provoca il senso di colpa, ma il movente.