La tenerezza non dipende dallo stato di lei.
Dipende dal fatto che
lei e le dinamiche che ha ancora il potere di creare sono depotenziate nella mia percezione.
Quindi i suoi "attacchi" non mi toccano, non mi feriscono e di conseguenza non reagisco, ma agisco
Ed è questa la distanza di cui parlavo, che non è fisica.
Non è creata, ma vissuta.
Ho disconfermato nei fatti i suoi "insegnamenti".
Dall'affetto come debolezza e inganno alla famiglia vista come luogo di guerra e sopraffazione.
Ho imparato a non vergognarmi delle mie emozioni e a dar loro valore a prescindere da come possono esser trattate, da lei ma pure da chiunque altro.
Anzi, ho imparato che l'esposizione trasparente delle mie emozioni, dei miei pregi e dei miei difetti non solo non è una debolezza ma è la mia forza, oltre che uno strumento chirurgico per valutare chi mi sta intorno.
Che le mie fragilità non sono vergogna ma Onore e Fierezza. Parte essenziale del mio valore e del mio Essere.
Ho smesso di desiderare conferme e accettazione dall'esterno.
E ho iniziato ad accogliere me stessa, ho arredato con cura e amore la mia stanza interiore, l'ho riempita di specchi in cui mi posso guardare senza spezzarmi e guardando anche la mia immagine interrotta e abusata con sguardo amorevole e accogliente.
Come mi raccontava una utente magnifica che un tempo scriveva qui, mi posso sedere anche io, ora, nella mia poltrona e sorseggiare un bel bicchiere sorridendo alle diverse me che mi popolano.
Non perchè la vita mi sorride.
Ma perchè desidero Vivere qualunque Vita mi si proponga.
(e per anni per me il morire sarebbe stato preferibile al vivere, fortunatamente sono stata abbastanza vigliacca da non trasformare in agito quella preferenza e mi sono limitata a ferirmi e cercare sofferenza.)
Vedi, capisco molto bene quello che porti.
Ma, dopo anni di lavoro su di me, anche in terapia, semplicemente adesso so che quello che cambia in queste dinamiche non è la dinamica. Neppure i ricordi. Neppure gli agiti presenti.
Quello che cambia è
l'accettazione di sè.
Il giudizio di sè.
Quando riuscirai a spostarti da dove sei
(che è poi il motivo per cui ti rompo le balle nell'altro 3d sull'esprimere le tue emozioni spostando lo scopo dall'altro a te, dando valore intrinseco alle tue emozioni a prescindere dal modo in cui vengono o non vengono accolte ma anzi, usando per te quei modi per decidere TU chi tenere vicino e non lasciare decidere all'altro, che è un po' la ripetizione della tua dinamica famigliare in cui passi il tempo a difenderti dai loro attacchi e ad affermare il tuo valore scontrandoti contro il muro del rifiuto)
potrai sperimentare che non solo tua madre non è un toro.
Ma che è semplicemente un essere tremante e messo all'angolo dalla vita che lei stessa ha scelto che ti usa per riempire i suoi vuoti.
Che si dibatte con le ultime forze che le restano prima di morire, per continuare a vivere.
Comprenderai che
il potere che le attribuisci, non è reale, ma è frutto delle tue attribuzioni nella relazione con lei (e con tuo padre).
Sei tu che le dai potere (internamente).
Sei tu, l'unica, che glielo può levare.
E forse, se sarai riuscita a lasciar andare la rabbia e il giudizio, sentirai la tenerezza di cui parlo, in primis per te stessa...quella rivolta a lei sarà solo una conseguenza.
Il punto è esser nella posizione di non sentire il desiderio e men che meno il dovere di restituire alcunchè.
che sia amore o recriminazione, che sia pareggiare conti, fare chiarezza, mettere i punti. Che sia affermazione di sè.
Quella che sento non è la tenerezza del "ti abbraccerei".
Io non mi fido di mia madre. So che se gliene dessi l'opportunità mi farebbe del male.
E non per cattiveria. Lei è semplicemente così.
Quella che sento e di cui parlo è' la tenerezza di chi, seduta in poltrona, osserva il dibattersi di una persona a cui è comunque legata.
Sapendo benissimo di non poter fare nulla, di essere impotente. (come mi sarebbe piaciuto poterla curare, quanto avrei desiderato vederla felice).
E' solo uno sguardo amorevole che ho rivolto a me stessa.
E che di conseguenza ricade anche su di lei.
Ma, come dicevo, non le affiderei neppure i gatti.
Non è stata e non è una buona madre. Come mio padre non ha brillato.
No è una persona affidabile.
Sono fatti.
E' una tenerezza che non teme la tristezza del desiderio frustrato di una famiglia che non ho avuto.
E che ha creato la stanza interiore del ristoro di me esattamente al centro del vuoto della loro accettazione e del loro amore.
E' un abbraccio che riservo alla me bambina che avrebbe tanto desiderato avere una madre che la amasse e la sostenesse.
Che avrebbe tanto desiderato esser un dono e non un ostacolo, una malattia, una ladra, una traditrice, un fallimento epocale.
Alla 19enne abusata e sofferente che sfuggita illudendosi di poter sfuggire.
Alla 30enne che ha provato a sperimentare l'amore, senza saperne nulla e ha fallito (ubbidendo e confermando gli insegnamenti della madre interiore).
@Foglia, fino a quando non darai dignità e valore a te stessa, alle tue emozioni, liberandole dallo scopo (che ti hanno insegnato) continuerai a sentire tua madre come un toro ingestibile e a sentire te stessa come indegna di tutto, tranne che del rifiuto.
Un abbraccio.