Servirebbe a far diminuire i delitti o a ridurre le reazioni giustizialiste?
Pure la politica giustizialista è arrivata alla frutta.
Manca solo la pena di morte da reintrodurre, dopo di ché si è fatto un sistema di norme che, sulla carta, rappresenta una tutela di notevole portata per i femminicidi, che molti altri paesi occidentali non hanno.
Non sono le punizioni sempre più dure che educano, specie quando non si capisce la gravità delle proprie azioni criminali.
Quella che è decisiva è la valutazione della comunità, che influenza il modo di intendere e vivere la realtà. Perché i comportamenti sono appresi dalla comunità, dal sentire comune. In una parola dall'educazione sociale in generale e da quella che proviene dall'ambiente familiare e scolastico. Per imitazione. Servono a poco le buone letture. Molto più l'esempio.
E l'educazione è una questione di cultura diffusa, quella del vivere quotidiano, delle piccole cose. C'è molta, troppa tolleranza della piccola criminalità e delle violazioni delle regole di ogni genere: vogliamo parlare degli abusi edilizi commessi negli appartamenti, di quanti utilizzano supporti crackati per le piattaforme di comunicazione, programmi di software o video-giochi copiati, copie abusive di opere dell'ingegno (canzoni, brani musicali, ecc.) abuso dei permessi di sosta per handicappati, truffe di ogni genere, furti (che non vengono più denunciati se non per l'assicurazione); evasione fiscale (mi sono sempre domandato se le mogli degli appartenenti alla Guardia di Finanza vadano mai a pagamento dal ginecologo, dentista, pediatra, ecc. o chiamino idraulici, pittori, elettricisti, ecc. per lavori in casa) e così via.
Non c'è una casa italiana, una nella quale non ci sia qualcosa di illegale: è quello che mi sento contestare dagli altri amici europei.
Perché è passata l'abitudine alla irrilevanza della piccola violazione con l'argomentazione che le tasse le devono pagare le grandi multinazionali e società e non i poveri cittadini vessati dalle tasse.
Mi sono convinto che le famiglie hanno fallito nel compito di educare i figli, semplicemente perché i genitori non erano stati preparati al compito ed erano a corto di esempi, vista la contestazione delle famiglie tradizionali. I primi da rieducare sono i genitori, gli adulti. Poi, in sequenza, i giovani e giovanissimi.
La scuola non è da tempo il luogo dove si riesce ad educare compiutamente; da sempre l'ordinamento scolastico per svolgere una funzione educatrice deve avere una robusta interazione con le famiglie.
Tanti insegnanti, ai giorni d'oggi, devono combattere con la violenza degli alunni e dei loro genitori. Non era così 20 o 30 anni fa.
Mi riferiscono che tanti ragazzi commettono atti di autolesionismo verso se stessi o di violenza verso i compagni come mezzo di reazione alle pressioni psicologiche alle quali sono sottoposti, o anche solo di affermazione della loro personalità.
Gli adolescenti da qualche parte ricavano le informazioni e conoscono gli esempi comportamentali che imitano per costruire le loro esperienze. Adesso la fonte principale è il Web, pieno di fake news e di esempi non virtuosi. Perché è diretto, facile da conoscere e meno equivoco degli ambienti familiari o scolastici.
Per dei genitori, pieni di incertezze nella loro esistenza, che si interrogano sui rapporti di coppia in modo emblematico è divenuto ancora più arduo il compito di educare i figli. Richiede disponibilità a fare sacrifici (anche personali) e molto lavoro per fornire esempi e comportamenti non equivoci alla prole, a tutti i livelli sociali, nessuno escluso.
Il mio intervento era focalizzato sulla prevenzione.
Ma è ovvio che la prevenzione, da sola, anch'essa non basta senza consenso sociale, lavoro educativo quotidiano in famiglia e nella scuola.