Responsabilità

Skorpio

Utente di lunga data
Comunque il tema era la responsabilità verso gli altri, partner e soprattutto figli.
Se una persona desidera vivere pericolosamente non credo che sia coerente se contemporaneamente mette su famiglia.
La vita è fatta di scelte e bisogna saper scegliere responsabilmente.
Veramente io ho parlato più volte di me.
Non era riferito a uomini, ma più alla responsabilità da genitori.
Spleen ha più parlato di responsabilità personale nei confronti di se stessi.
Allora ho interpretato male, scusa

Siccome ho letto UNA PERSONA , specificavo che z metter su famiglia ce ne vogliono 2
 
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Brunetta

Utente di lunga data
Allora ho interpretato male, scusa

Siccome ho letto UNA PERSONA , specificavo che z metter su famiglia ce ne vogliono 2
Sai bene che a volte si mette su famiglia anche con dei non detti.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Z
Mi dispiace chi ha il bisogno di essere visto.
È un bisogno di riconoscimento posto in una esibizione.
Proprio come chi fa l’impennata. Significa pensare di piacere per l’impennata e non poter piacere senza.
Ho capito il tuo dispiacerti.

Se ci pensi, però, anche noi che scriviamo qui abbiamo bisogno di essere visti. Alternativamente non scriveremmo su un forum per mostrare le nostre immagini, i nostri pensieri, per discuterli.
E, chi più chi meno, si piace ANCHE perchè piace.

Che poi questa forma di esibizione umana riguardi il saper fare una impennata con la moto, arrampicarsi a 8000 o produrre pensieri è il contenuto.

Si torna sempre all'assoluto di un significato.
Esibizione.

Io non vedo nulla di male nell'esibizione.
Se l'esibizione non è l'UNICA via.

Vedo invece parecchie disfunzioni nei giudizi (che vengono usati contro chi si esprime) emessi riguardo questa o quella esibizione, che è esposizione.

Chi non ha bisogno di esser visto è altrettando dispiacevole a mio parere rispetto a chi ha bisogno di esser visto.
Parlando di estremi.

Poi c'è quell'oscillazione fra visto e non visto che caratterizza le vite di ognuno e il mondo in cui ci si scorre in mezzo senza aggrapparsi ai principi per stabilire l'oscillazione.

Devo dire che fra chi si esibisce impennando col motorino - anche a 50 anni - e chi si esibisce coltivando e nutrendo una passione, io trovo maggior risonanza nel secondo caso.
Dove l'esibizione è sostenuta da competenze particolari, che lasciano eredità e segni in chi resta.

Ma fondamentalmente non mi dispiace per nessuno.
Se no dovrei dispiacermi per chi decide di entrare in clausura, per chi si aggrappa ai principi per stare in piedi, per chi muore per gli ideali, etc etc. insomma, per tutti quelli che non scelgono quello che sceglierei io.

E fondamentalmente ognuno sceglie invece la vita in cui si trova meglio.

Io ribadisco il pensiero che la responsabilità rispetto ad una famiglia non si misura semplicemente nel rimanere vivi.
Ma la si misura nella presenza che si da, anche economica e materiale. E nella corresponsabilità.

Quindi ci sono genitori che io considero irresponsabili che in montagna ci vanno da seduti sul divano guardando la tv, ma secondo i miei parametri col piffero che dovrebbero fare i genitori.

Il punto è che secondo i miei parametri un sacco di gente dovrebbe dimettersi da genitore.

E non è semplicemente il fare o non fare imprese a stabilirlo.

Anzi.

Se durante la guerra il presupposto per metter su famiglia fosse stato quello di rimanere vivi per la famiglia, nessuno avrebbe fatto famiglia.
E non parlo delle guerre del passato. Parlo di quelle presenti.
Dove i bambini perdono i genitori ogni secondo. E soffrono pure loro eh.
Probabilmente molto di più del figlio di questo scalatore. Che comunque avrà una vita che non gli chiederà di andare a raccoglier acqua in un pozzo infestato.

Nella vita, si muore.

La differenza è la vita che lasci vissuta dietro di te.
Ed è in quella che si gioca la responsabilità.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
No, finché sei qui poi a tentar rimedio.

e come si fa a metter rimedio ad uno stile omissivo? (uso stile appositamente. Faccio riferimento ad una struttura che è tale...quindi talvolta è semplicemente senza la consapevolezza di essere).
co-costruito fra l'altro e validato dalla quotidianità...

fino a quanti strati di omissione c'è rimedio?
 
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ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
In questa vita fino alla morte.
ho aggiunto una cosa. La riscrivo.

Io non ho uno stile omissivo.
Sono espressiva, esibizionista anche, fino al fastidio. (dell'altro).

Non sono capace di omettere, se non intenzionalmente e per un fine ben preciso.

Ma chi ha uno stile omissivo e gli si chiede se è omissivo spesso e volentieri manco sa cosa significhi esserlo e ritiene di non esserlo trincerandosi dietro il "io sono così".

Questo per rimanere in impianti di un certo livello di intelligenza.

Poi c'è questo stesso stile declinato nella sempre più profonda inconsapevolezza e distanza da sè.

Vedi rimedio?
 

Foglia

utente viva e vegeta
ho aggiunto una cosa. La riscrivo.

Io non ho uno stile omissivo.
Sono espressiva, esibizionista anche, fino al fastidio. (dell'altro).

Non sono capace di omettere, se non intenzionalmente e per un fine ben preciso.

Ma chi ha uno stile omissivo e gli si chiede se è omissivo spesso e volentieri manco sa cosa significhi esserlo e ritiene di non esserlo trincerandosi dietro il "io sono così".

Questo per rimanere in impianti di un certo livello di intelligenza.

Poi c'è questo stesso stile declinato nella sempre più profonda inconsapevolezza e distanza da sè.

Vedi rimedio?
A volte si. Io almeno ci sto provando.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Dal fatto che sono viva. Essenzialmente quello.
quindi basta esser vivi per esser consapevoli - e quindi responsabili - di sè?

sei sicura?

EDIT: una roba tipo, mentre son vivo, va bene tutto. Tanto in un modo o nell'altro si può porre rimedio?

che portando il ragionamento IT, se il tipo non fosse morto, il suo modo di vivere sarebbe andato bene?
(visto che nessuno prima della sua morte si era messo a far discorsi a riguardo)
 
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Foglia

utente viva e vegeta
quindi basta esser vivi per esser consapevoli di sè?

sei sicura?
No. Non ho detto che "basta". La sopravvivenza alle omissioni (omettere e' anche omettere una corretta valutazione di un rischio. Che non vuol dire "volere", o "cercarsi" la morte) e' il presupposto per imparare a contare. Mi dicesti in altra discussione che sono in una sorta di "ricerca" di limiti. Beh. Anche per un atleta quella ricerca e' necessaria. Fare male i calcoli purtroppo è come ometterli. Si parlava nel post di apertura anche di chi muore con una saponetta nella vasca. Come fosse morte peggiore. La morte per me (io credo così) e' transizione. Passaggio. Valico. Puoi passarlo in due modi: con coscienza, o senza coscienza. La consapevolezza di te qui la fai nel durante. Non nel momento della morte.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
No. Non ho detto che "basta". La sopravvivenza alle omissioni (omettere e' anche omettere una corretta valutazione di un rischio. Che non vuol dire "volere", o "cercarsi" la morte) e' il presupposto per imparare a contare. Mi dicesti in altra discussione che sono in una sorta di "ricerca" di limiti. Beh. Anche per un atleta quella ricerca e' necessaria. Fare male i calcoli purtroppo è come ometterli. Si parlava nel post di apertura anche di chi muore con una saponetta nella vasca. Come fosse morte peggiore. La morte per me (io credo così) e' transizione. Passaggio. Valico. Puoi passarlo in due modi: con coscienza, o senza coscienza. La consapevolezza di te qui la fai nel durante. Non nel momento della morte.
Io distinguerei nettamente omissione ed errore di valutazione.

Sono due percorsi diversi.

Nell'errore di valutazione si sono sbagliati i calcoli.
Potrebbe essere che alcuni dati non siano visti.

L'omissione è ignorare con una intenzionalità più o meno consapevole i dati in gioco.

A fare la differenza fa le due situazioni c'è l'intento. Al netto dell'errore che è parte dell'umana natura.

Nell'omissione l'intento, più o meno in superficie, è togliere dalla vista ciò che non si vuol mostrare. In primis a se stessi.

Che è poi il motivo per cui sottolineavo la questione del recupero da uno stile omissivo.

Se sei una omissiva per struttura, l'intenzione non è al non omettere, ma allo smettere di negare alla vista quel che non si vuol vedere o che si vuol nascondere.
E qui entra in gioco la volontà al discutere se stessi e al mettersi in discussione.

Sovrapporre le due cose è appiattire l'essere umano al risultato delle sue azioni ignorando l'intenzionalità del fare e cadendo in quel che accennava @spleen, ossia la prevalenza del gesto.

Concordo con te.
Non è nella morte che si fan cose.
E' nella vita.

E la morte è il rischio assoluto ad ogni azione, compreso lo scivolare in vasca.

Per come la vedo io tutto il 3d è andato nella direzione della morte vista come Colei che pone fine ad ogni cosa.
Vista quasi come una prova di colpevolezza.

Quando a mio parere la riflessione, in particolare in situazioni come queste, è su cosa ha costruito e ha lasciato dietro di sè, morendo, chi ha vissuto. Anche pericolosamente.

Questo è morto perchè ha sbagliato i calcoli della sua trasmutazione dell'impossibile in possibile.
Io lo trovo tanto irresponsabile quanto chi rimane vivo sostenendo l'omissione e il non detto come stile di vita.

Che una famiglia sia costruita sui non detti nella mia visione significa pensare di scalare l'everest in infradito.

Non so se mi spiego :)
 
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Foglia

utente viva e vegeta
Io distinguerei nettamente omissione ed errore di valutazione.

Sono due percorsi diversi.

Nell'errore di valutazione si sono sbagliati i calcoli.
Potrebbe essere che alcuni dati non siano visti.

L'omissione è ignorare con una intenzionalità più o meno consapevole i dati in gioco.

A fare la differenza fa le due situazioni c'è l'intento. Al netto dell'errore che è parte dell'umana natura.

Nell'omissione l'intento, più o meno in superficie, è togliere dalla vista ciò che non si vuol mostrare. In primis a se stessi.

Che è poi il motivo per cui sottolineavo la questione del recupero da uno stile omissivo.

Se sei una omissiva per struttura, l'intenzione non è al non omettere, ma allo smettere di negare alla vista quel che non si vuol vedere o che si vuol nascondere.
E qui entra in gioco la volontà al discutere se stessi e al mettersi in discussione.

Sovrapporre le due cose è appiattire l'essere umano al risultato delle sue azioni ignorando l'intenzionalità del fare e cadendo in quel che accennava @spleen, ossia la prevalenza del gesto.

Concordo con te.
Non è nella morte che si fan cose.
E' nella vita.

E la morte è il rischio assoluto ad ogni azione, compreso lo scivolare in vasca.

Per come la vedo io tutto il 3d è andato nella direzione della morte vista come Colei che pone fine ad ogni cosa.
Vista quasi come una prova di colpevolezza.

Quando a mio parere la riflessione, in particolare in situazioni come queste, è su cosa ha costruito e ha lasciato dietro di sè, morendo, chi ha vissuto. Anche pericolosamente.

Questo è morto perchè ha sbagliato i calcoli della sua trasmutazione dell'impossibile in possibile.
Io lo trovo tanto irresponsabile quanto chi rimane vivo sostenendo l'omissione e il non detto come stile di vita.

Che una famiglia sia costruita sui non detti nella mia visione significa pensare di scalare l'everest in infradito.

Non so se mi spiego :)
Si. Con una differenza. Scusa se sono ripetitiva. Che hai tempo per porre anche rimedio. Omissioni ed errori sono diversi nell'intento. Anche. Ma ci sono più spesso di quanto non si creda omissioni involontarie. Ed errori che ad usare un minimo di diligenza si evitano. Per il che pure l'intento diventa confuso.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Che è come minimo come scalar gli ottomila sapendo che corri il rischio di morire.

O no?
Chi lo nega?
Lo scalatore era un pretesto.
L’ho detto più volte.
Del resto chi di noi va sull’Everest?
Ma la responsabilità riguarda tutti.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Si. Con una differenza. Scusa se sono ripetitiva. Che hai tempo per porre anche rimedio. Omissioni ed errori sono diversi nell'intento. Anche. Ma ci sono più spesso di quanto non si creda omissioni involontarie. Ed errori che ad usare un minimo di diligenza si evitano. Per il che pure l'intento diventa confuso.
Sovrapponi l'intento con il risultato.

Se l'intento è non omettere, e quindi sto attivamente e proattivamente collaborando con me stessa per non commettere omissioni, non avrò credo mai un risultato perfetto di totale non omissione. Ma la direzione è quella contraria all'omissione.

Se l'intento è fare valutazioni corrette, e quindi sto attivamente e proattivamente collaborando con me per comprendere e dedicare attenzione e concentrazione, non avrò credo mai un risultato perfetto di totale assenza di errore. Ma la direzione è quella del muovermi responsabilmente e in attenzione.

In entrambe queste situazioni, avrò comunque creato anche intorno a me le condizioni perchè in mia presenza (meglio) ma anche in mia assenza ci sia una miglioria (il rimedio non mi trova, mi sa di antica magia che accomoda in un balzo)

E parlo di intento distinguendolo da impegno.

non mi basta per esempio l'impegno, senza l'intento a sostenerlo.

Ed è qui che secondo me tutti i giudizi che si possono esprimere sono fondamentalmente espressioni di sè usando l'altro come passerella.
Dell'intento...ne sa veramente qualcosa solo ed esclusivamente chi è dentro. Solo il diretto o la diretta interessata.

Il tempo...è a mio parere solo una opportunità in più.
Ma non è nel nostro controllo.

Che è poi il motivo per cui ho parlato di bella morte, associandola ad una vita vissuta in fedeltà e assonanza con se stessi.

Io potrei morire stasera. Sarei potuta essere già morta ennemila volte.
Quel che lascio dietro di me sono gli intenti, le intenzioni che hanno guidato i miei gesti nel loro manifestarsi.

E di conseguenza nella mia abilità (o disabilità) a farmene carico.

Un buon peso lasciato indietro è la credenza magica dell'assoluto e della totalità.
Tutto giusto. Tutto sbagliato.
Gesto perfetto.
Risultato perfetto.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Chi lo nega?
Lo scalatore era un pretesto.
L’ho detto più volte.
Del resto chi di noi va sull’Everest?
Ma la responsabilità riguarda tutti.
beh.

L'everest in infradito è un modo di dire per dire che una famiglia sulle omissioni è altrettanto "storto" in termini di valutazioni del rischio di chi potrebbe pensare di scalare l'everest in infradito

(fra l'altro in montagna ho visto gente con figli appresso in infradito sul monte bianco...tanto per stare terra terra...bella roba in termini di pericolosità inconsapevole e non vista perchè apparentemente coperta dall'adeguatezza di una struttura. E non mi riferisco solo al fatto in sè, ma proprio alla struttura di certe menti che si dirigono nel mondo e all'intento che li guida nel loro fare).

E quindi calare la pericolosità non solo collocandola di fronte alla possibilità della morte - che non nego essere più presente in alcune situazioni piuttosto che in altre, ma che sottolineo anche costantemente presente in ogni momento del nostro vivere, che essendo molto comodo e riparato tende a spostarla individuando comportamenti pericolosi e dimenticando che non serve un comportamento pericoloso per morire - e di conseguenza spostando il discorso della responsabilità su come si vive la vita.

Sulle intenzioni che governano il fare.

E quindi, come ha sottolineato anche skorpio, per esempio la corresponsabilità di una famiglia costruita in determinate condizioni di coppia.
 

Brunetta

Utente di lunga data
beh.

L'everest in infradito è un modo di dire per dire che una famiglia sulle omissioni è altrettanto "storto" in termini di valutazioni del rischio di chi potrebbe pensare di scalare l'everest in infradito

(fra l'altro in montagna ho visto gente con figli appresso in infradito sul monte bianco...tanto per stare terra terra...bella roba in termini di pericolosità inconsapevole e non vista perchè apparentemente coperta dall'adeguatezza di una struttura. E non mi riferisco solo al fatto in sè, ma proprio alla struttura di certe menti che si dirigono nel mondo e all'intento che li guida nel loro fare).

E quindi calare la pericolosità non solo collocandola di fronte alla possibilità della morte - che non nego essere più presente in alcune situazioni piuttosto che in altre, ma che sottolineo anche costantemente presente in ogni momento del nostro vivere, che essendo molto comodo e riparato tende a spostarla individuando comportamenti pericolosi e dimenticando che non serve un comportamento pericoloso per morire - e di conseguenza spostando il discorso della responsabilità su come si vive la vita.

Sulle intenzioni che governano il fare.

E quindi, come ha sottolineato anche skorpio, per esempio la corresponsabilità di una famiglia costruita in determinate condizioni di coppia.
Sul monte Bianco in infradito più che altro sono deficienti, proprio credono che se è agosto è uguale a Rimini e lì.
Ovviamente anche irresponsabili.
 
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