Il tradimento ha mille facce

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Guarda intendiamoci... per me quando parlo di evoluzione non significa che si debba poi arrivare per forza ad un perdono, che può anche non arrivare. Significa solo provare ad entrare nell'altro empatizzando la sua esperienza di vita e di conseguenza anche la struttura relazionale che se ne è generata. Una volta fatto questo, se si riconosce comunque un limite invalicabile per se stessi, la relazione finirà, ma almeno finirà con cognizione di causa e non perché se ne è fatta un'equazione semplicistica legata a preconcetto o stereotipo.

Sono d'accordo che solitamente chi entra in relazione con un soggetto problematico a sua volta ha probabilmente esperienze e risoluzioni sospese, o trova nel partner anche un rimando accettabile alla visione di se e del mondo che si è strutturata come figlia di una vita diversa, e a maggior ragione, con questa premessa, potrebbe essere possibile un momento di passaggio sincero sul binario dell'altro..

Ad esempio, se io avessi ricevuto un tradimento da entrambe le mie storie importanti, lo avrei vissuto, analizzato ed esperito in modo completamente diverso, non avrebbe mai avuto lo stesso peso e sicuramente avrebbe influito anche in modo diverso sul mio stato d'animo.. ma questo lo so oggi, con la messa a fuoco che mi sono sudata, probabilmente non lo avrei saputo ai tempi con la stessa lucidità e quindi, forse, ne sarebbe venuta fuori una risposta emotiva uguale.

Per quanto invece riguarda la tua domanda beh... il mio personale scoglio è proprio quello dell'essere fissa e immutabile. Perché la mia esperienza di vita mi ha sottratto quell'attributo di punto fermo che ritengo necessario nelle due relazioni principali dell'esistenza. Quindi, l'idea di essere un non essere, come un monolite, nei pensieri di qualcuno a distanza di così tanto tempo, sebbene lo possa razionalmente riconoscere come una proiezione di sé piuttosto che un amore verso di me, si aggancia ad una necessità profonda e mai esaudita e quindi, in qualche modo, ricercata ad ogni costo.. poi lascia perdere che un qualcosa di così fortemente idealizzato si andrebbe a scontrare pesantemente con la realtà di fatto di un eventuale incontro, in cui cadrebbe forse tutto come un castello di carte, ma sicuramente non direi no per partito preso, ammesso che il soggetto possa in qualche modo interessarmi ancora.

P.s: ho di fondo un animo molto ma molto malinconico, che è una parola fortemente diversa da depresso (lo specifico per i lettori concettualmente distratti), e anche un po' incline al "romantic drama"... quindi, forse, in parte anche per questo :LOL:
Il perdono non lo prendo nemmeno in considerazione.
E' un movimento che riguarda un paradigma che non amo particolarmente, che è poi il motivo per cui preferisco la com-prensione, nel senso in cui dicevo.

Il perdono, riguarda un sistema di potere dove la cessione di potere è indiretta e passa, se va bene, per terzi...se non per quarti e quinti.
Oltre ad essere legato del peccato e della colpa. Nei casi estremi (e a mio avviso anche patologici) dell'espiazione e della punizione.

Preferisco una cessione del potere diretta, che si fonda sulla padronanza di sè di ognuno.

L'empatia è abusata.
Come termine e come concetto.
Nella maggior parte dei casi si trasforma in un piedistallo proprio per il perdono vs la condanna.
Ma anche no. :)

Empatizzare con un dolore altro, significa entrare in risonanza col proprio dolore.
Ricomprenderlo nella relazione e renderlo materia organica comune.
Lavorarlo insieme. Ognuno il suo e apertamente.

Credo che semplicemente sia condivisibile il non desiderarlo fare con una persona su cui non si riesce più a posare uno sguardo amorevole.

Quando lo si fa, non lo si fa per un atto di altruismo.
Ma per un profondo egoismo.
Semplicemente perchè ci si rende conto che "ne vale la pena", ma per se stessi.
Non per l'altro, non per la relazione, non per l'amore.

Diversamente, muoversi in nome di un ideale...è una perdita di tempo per tutti i coinvolti.
Oltre che essere qualcosa di molto poco autentico.

Sono propensa a pensare che chi ha saputo usare il tradimento come occasione, abbia semplicemente riconosciuto per se stesso un valore in quel percorso.

E questo diviene il fondamento di una ricostruzione.

Uscire dall'ideale di relazione voltati verso l'altro in richiesta di "esser capiti" (che è una posizione da pensiero egocentrico) ed entrare nella prospettiva in cui il noi non è una entità soprannaturale, ma è semplicemente la somma (maggiore) delle parti.
Io e Tu che entrano in uno spazio comune co-costruito in piena affermazione della propria individualità col desiderio di metterla in condivisione.

Arrivare qui...ha diverse strade. E non tutte portano comunque qui.

Il consenso in tutto questo è fondamentale.
Come lo è il concetto di limite e la differenza che corre fra limite oggettivo e limite soggettivo.



cosa intendi con "attributo di punto fermo che ritengo necessario nelle due relazioni principali dell'esistenza."?

mi incuriosisce molto.

Ps: sei una lady drama pure tu :D
 
Ultima modifica:

omicron

Pigra, irritante e non praticante
o malfunzionante 😘
non è malfunzionante, semplicemente funziona a modo suo, e considerando che io sono fatta a modo mio, capisco che anche a lui piaccia fare come gli pare
 

Brunetta

Utente di lunga data
Quel "ne vale la pena" che citi, non è un conto lineare.

Come ti ha scritto @lolapal, per quanto ci si sforzi di far tornare la linearità, l'essere umano non appartiene alla linearità.

Soprattutto non penso che la variabile dipendente sia l'amore, che sia quello in mezzo al tavolo.

In particolare se si sta parlando di individui con un vissuto problematico dove l'amore è qualcosa che somiglia molto alla relazione fra Alice e il Cappellaio Matto.

Non consideri, mi sembra, che stare in relazione con un individuo problematico o con vissuti problematici è indicativo anche della tipologia di vissuto che ha chi ci si mette con una persona problematica.

Siamo specchi. Più o meno distorti.

Un vissuto problematico non è semplicemente un vissuto problematico, ma è un linguaggio vero e proprio.
Il linguaggio descrive il mondo, oltre che se stessi. E compartecipa alla formazione delle mappe cognitive che un individuo struttura nella descrizione di se stesso, del mondo, di se stesso in relazione al mondo.

Questi sono gli echi di cui parlavo. Profondi e profondamente incisi.

Il ne vale la pena discende anche da questo linguaggio.
E dal sistema relazionale, inteso come la somma (maggiore delle parti) delle interazioni fra gli individui.

A volte, evoluzione è esattamente mettere il limite.
A volte è attraversarlo.

Non esiste una regola. Questo è il punto.
Che onestamente mi sembra tu non prenda in considerazione.

Non è questione di amore.
Quello semmai viene dopo (a sua volta somma maggiore della somma delle parti).

PS: se dopo 20 anni, in cui ognuno ha camminato per conto suo, te ne arrivi con le stesse identiche emozioni di 20 anni fa...non stai pensando a me, come essere in movimento. Ma stai pensando a te con me 20 anni fa. E mi stai trasformando in un monolite fisso e immobile. (a disposizione, senza il mio consenso, dei tuoi immaginari).
Anche no. E proprio perchè il mio vissuto problematico mi ha fatto sperimentare esattamente quel tipo di richiesta: essere fissa e immobile, una risposta alle necessità altrui. non esistere come individuo ma esistere come immaginario e attribuzione. Un essere nel non essere.


Come mai non gireresti a largo? come ti fa farebbe sentire essere pensata ancora dopo 20 anni?
Da incidere nella pietra... 🤦🏻‍♀️ah no 🤭
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
anche se molte delle mie capacità sono innate, ho una certa età ormai, ci metto anche un po' di esperienza, ma non voglio vantarmi troppo
un difetto ce l'ho, sono mezza ciecata :geek:

un detto dice che la stessa acqua bollente rende le uova dure e le carote molli, tutto dipende da che pasta sei fatto, le esperienze della vita sono la stessa cosa, alla stessa esperienza persone diverse reagiscono in modo diverso, c'è chi si fa l'armatura, chi la pelliccia e chi si spella, ognuno veste o sveste le proprie fragilità come crede o come può, tutto sta nel vederle, capirle e lavorarci su se si vuole

più che lo stomaco direi l'intestino, lo chiamano il secondo cervello, è più anarchico del primo 🤷‍♀️
leggevo che anche la tua schiena non ti è amica ultimamente 🧐

semplificando e di molto...semplicemente le armature hanno diverse forme.
La pasta non è data, o meglio, quando il vissuto è asincrono, quando gli specchi distorti sono radicati in profondità...può capitare di guardare una carota vedendo un uovo...come si diceva, niente lineare, in particolare la vista!

Io non vedo i colori terziari, per la gioia di G. che invece vede ogni singola sfumatura e vede gli effetti della luce sulla materia...non ti dico il divertimento quando abbiam scelto il colore della cucina...

io "è grigio"
lui "tortora"

io "........ ......... marrone chiaro?"
lui "fidati...tortora".

Ad oggi per me il tortora è un dubbio: grigio o marrone?
Quindi per me il color tortora è color "boh." :D

Il mondo che vede lui e il mondo che vedo io...sono profondamente diversi.

Un amico mi diceva che in certe vite, si vede a occhi chiusi.

Le fragilità sono una conseguenza della visione. Semplificando di nuovo e parecchio male.
E a volte, semplicemente si vestono i panni dell'imperatore nudo.

Forme...della stessa sostanza ;):)

Non penso che sulle fragilità ci si lavori in senso stretto.
Le fragilità sono componenti essenziali. Sono o non sono.
Il riconoscimento e l'assunzione...ecco, li trovo due concetti parecchio interessanti a riguardo.

Vero dell'intestino...trovo più anarchico il cervello...fa un gran casino nelle percezioni.
L'intestino è onesto.

E' uno dei motivi per cui mi ha sempre fatta sogghignare quando ti dicono che i sentimenti sono nel cuore...col cazzo...i sentimenti sono nell'intestino (pancia)....non apro la parentesi riguardo il ruolo e la funzione del culo in tutto questo :ROFLMAO::ROFLMAO:
 
Ultima modifica:

omicron

Pigra, irritante e non praticante
leggevo che anche la tua schiena non ti amica ultimamente 🧐

semplificando e di molto...semplicemente le armature hanno diverse forme.
La pasta non è data, o meglio, quando il vissuto è asincrono, quando gli specchi distorti sono radicati in profondità...può capitare di guardare una carota vedendo un uovo...come si diceva, niente lineare, in particolare la vista!

Io non vedo i colori terziari, per la gioia di G. che invece vede ogni singola sfumatura e vede gli effetti della luce sulla materia...non ti dico il divertimento quando abbiam scelto il colore della cucina...

io "è grigio"
lui "tortora"

io "........ ......... marrone chiaro?"
lui "fidati...tortora".

Il mondo che vede lui e il mondo che vedo io...sono profondamente diversi.

Un amico mi diceva che in certe vite, si vede a occhi chiusi.

Le fragilità sono una conseguenza della visione. Semplificando di nuovo e parecchio male.
E a volte, semplicemente si vestono i panni dell'imperatore nudo.

Forme...della stessa sostanza ;):)

Non penso che sulle fragilità ci si lavori in senso stretto.
Le fragilità sono componenti essenziali. Sono o non sono.
Il riconoscimento e l'assunzione...ecco, li trovo due concetti parecchio interessanti a riguardo.

Vero dell'intestino...trovo più anarchico il cervello...fa un gran casino nelle percezioni.
L'intestino è onesto.

E' uno dei motivo per cui mi ha sempre fatta sogghignare quando ti dicono che i sentimenti sono nel cuore...col cazzo...i sentimenti sono nell'intestino (pancia)....non apro la parentesi della funzione del culo in tutto questo :ROFLMAO::ROFLMAO:
la mia schiena non mi è amica dal 2004 ma non è colpa della schiena ma di chi non sa frenare :rolleyes: ultimamente devo "ringraziare" anche la bimba
però ormai ci ho fatto talmente tanto l'abitudine (quando si dice che ci si abitua a tutto), che quando non mi fa male niente mi preoccupo

tutti abbiamo occhi diversi, su questo concordo, io su tutto ci piazzo sempre sopra acidità, cinismo e diffidenza, non lo faccio neanche con cattiveria, mi viene automatico (chi mi sta accanto lo sa e mi bolla con un "te almeno sei sempre la solita" il problema è che però poi mi dicono anche "avevi ragione tu" ma questo è un altro discorso...) e probabilmente anche questo mio modo di fare è un modo per difendere me stessa e le mie fragilità

il mio cervello, come dicevo prima, su molte cose è molto bianco e nero, poche sfumature, molto "basico"
l'intestino no, lui le sfumature le vede tutte e tutto il mio lavoro di cui sopra va a farsi benedire
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
la mia schiena non mi è amica dal 2004 ma non è colpa della schiena ma di chi non sa frenare :rolleyes: ultimamente devo "ringraziare" anche la bimba
però ormai ci ho fatto talmente tanto l'abitudine (quando si dice che ci si abitua a tutto), che quando non mi fa male niente mi preoccupo

tutti abbiamo occhi diversi, su questo concordo, io su tutto ci piazzo sempre sopra acidità, cinismo e diffidenza, non lo faccio neanche con cattiveria, mi viene automatico (chi mi sta accanto lo sa e mi bolla con un "te almeno sei sempre la solita" il problema è che però poi mi dicono anche "avevi ragione tu" ma questo è un altro discorso...) e probabilmente anche questo mio modo di fare è un modo per difendere me stessa e le mie fragilità

il mio cervello, come dicevo prima, su molte cose è molto bianco e nero, poche sfumature, molto "basico"

l'intestino no, lui le sfumature le vede tutte e tutto il mio lavoro di cui sopra va a farsi benedire
Ha ragione l'intestino ;) :ROFLMAO: :ROFLMAO:

Il cervello crea difese su associazioni e sovrastrutture.
Soprattutto le sovrastrutture sono soggette al mutamento, storico, culturale, sociale ed individuale.

La schiena unisce la testa con il resto del corpo e sostiene. La postura genera emozioni.
A prescindere dalle colpe...aver cura della schiena è un fondamento del benessere!

Primo grassetto: occhio alla produzione di cortisolo....
 

omicron

Pigra, irritante e non praticante
Ha ragione l'intestino ;) :ROFLMAO: :ROFLMAO:

Il cervello crea difese su associazioni e sovrastrutture.
Soprattutto le sovrastrutture sono soggette al mutamento, storico, culturale, sociale ed individuale.

La schiena unisce la testa con il resto del corpo e sostiene. La postura genera emozioni.
A prescindere dalle colpe...aver cura della schiena è un fondamento del benessere!

Primo grassetto: occhio alla produzione di cortisolo....
oh il mio cortisolo è un altro che gode di vita propria, come mi disse l'endocrinologa "se prima di fare le analisi ti fregano il posto al parcheggio, ecco che ti trovi il cortisolo alto" infatti ce l'avevo oltre 1200 (e il massimo è intorno a 500)
sono una chiavica, lo so 😅 però sono ancora biodegradabile e direi che di questi tempi non sia scontato

cmq l'intestino è uno stronzo, lo capisco ma resta stronzo
 

Chiocciola

Utente di lunga data
Il perdono non lo prendo nemmeno in considerazione.
E' un movimento che riguarda un paradigma che non amo particolarmente, che è poi il motivo per cui preferisco la com-prensione, nel senso in cui dicevo.

Il perdono, riguarda un sistema di potere dove la cessione di potere è indiretta e passa, se va bene, per terzi...se non per quarti e quinti.
Oltre ad essere legato del peccato e della colpa. Nei casi estremi (e a mio avviso anche patologici) dell'espiazione e della punizione.

Preferisco una cessione del potere diretta, che si fonda sulla padronanza di sè di ognuno.

L'empatia è abusata.
Come termine e come concetto.
Nella maggior parte dei casi si trasforma in un piedistallo proprio per il perdono vs la condanna.
Ma anche no. :)

Empatizzare con un dolore altro, significa entrare in risonanza col proprio dolore.
Ricomprenderlo nella relazione e renderlo materia organica comune.
Lavorarlo insieme. Ognuno il suo e apertamente.

Credo che semplicemente sia condivisibile il non desiderarlo fare con una persona su cui non si riesce più a posare uno sguardo amorevole.

Quando lo si fa, non lo si fa per un atto di altruismo.
Ma per un profondo egoismo.
Semplicemente perchè ci si rende conto che "ne vale la pena", ma per se stessi.
Non per l'altro, non per la relazione, non per l'amore.

Diversamente, muoversi in nome di un ideale...è una perdita di tempo per tutti i coinvolti.
Oltre che essere qualcosa di molto poco autentico.

Sono propensa a pensare che chi ha saputo usare il tradimento come occasione, abbia semplicemente riconosciuto per se stesso un valore in quel percorso.

E questo diviene il fondamento di una ricostruzione.

Uscire dall'ideale di relazione voltati verso l'altro in richiesta di "esser capiti" (che è una posizione da pensiero egocentrico) ed entrare nella prospettiva in cui il noi non è una entità soprannaturale, ma è semplicemente la somma (maggiore) delle parti.
Io e Tu che entrano in uno spazio comune co-costruito in piena affermazione della propria individualità col desiderio di metterla in condivisione.

Arrivare qui...ha diverse strade. E non tutte portano comunque qui.

Il consenso in tutto questo è fondamentale.
Come lo è il concetto di limite e la differenza che corre fra limite oggettivo e limite soggettivo.



cosa intendi con "attributo di punto fermo che ritengo necessario nelle due relazioni principali dell'esistenza."?

mi incuriosisce molto.

Ps: sei una lady drama pure tu :D

Io invece non voglio negativizzare del tutto il concetto di perdono, che può avvenire anche all'interno di quella com-prensione di cui parlo.
Posso com-prenderti e ad esempio accettare di perdonarti (che non significa altro che cessare di avere un sentimento di risentimento) per esserti comunque scordata, anche solo per un momento, di me, in relazione a te.

E come posso scordarmi che tu, per un attimo, ti sei scordata di me? Magari capendo che non ti sei scordata di me per un altro amore, ma per te stessa, per un bisogno di ritrovarti, di affermarti, o anche solo di renderti conto fattivamente di quanto possano trascinarti giù certe questioni sospese, o che limiti riescano a farti superare, magari per avere quel coraggio di affrontarle che non hai trovato al di fuori del rischio concreto di perdere.

Come i tossici che si decidono ad uscirne solo quando si fanno l'overdose.

Perché possiamo accettare che per atto di egoismo l'altro definisca il suo limite, come che per lo stesso atto di egoismo invece il "traditore" abbia avuto necessità di superare un limite proprio a sua volta.

E' ovvio che siamo, bene o male, sempre ricondotti prima a noi stessi che all'altro, in quanto con l'altro non possiamo dialogare in nessun modo se prima non c'è una definizione del nostro proprio essere.

Tu parli di questo sguardo amorevole, ed è vero che se si perde forse non vale la pena fare un percorso sofferto come quello di cui io parlo, ma quello che mi chiedo è se svanirebbe comunque nel caso si guardasse la cosa da questa prospettiva, laddove, ovviamente, ci sia una verità di fondo e non sia solo una scusa arroccata.

L'ho proposta anche sopra la frase del libro "l'amore ai tempi del colera" che riporta, Si può essere innamorati di diverse persone per volta, e di tutte con lo stesso dolore, senza tradirne nessuna, il cuore ha più stanze di un bordello.
Mi chiedo come GG Marquez ha vissuto, o avrebbe vissuto, un tradimento con questa forma mentis... e se avrebbe perso lo sguardo amorevole sapendo che la sua donna magari ha cercato altrove una parte di sé, e non una parte di un altro essere umano.

Come sempre, dipende quanto e come si riesce a guardare una data situazione la persona che l'ha vissuta.
Che lo si possa fare solo consensualmente è di fatto un dato di fatto.

Io lo propongo però come uno spunto, che può dare un senso diverso ad un dolore, che se proprio dobbiamo viverlo, ritengo sia meglio che quantomeno ci insegni qualcosa o ci porti un qualcosa in più di ciò che avevamo.


Per la tua domanda invece intendo dire che, almeno nelle regole teoriche del mondo, la relazione genitore-figlio dovrebbe (e dico dovrebbe in quanto ne ho esperito tutte le eccezioni possibili) muoversi su una fissità che ne rappresenta il perno, ovvero che il figlio sia il punto fisso della propria esistenza, l'asse che tiene in magnetico equilibrio le scelte successive al diventare genitore e la ridefinizione di sé stessi in quanto individui non più scardinabili da un legame imprescindibile. Tutti hanno avuto buoni e cattivi genitori al tempo stesso e per tante ragioni, ma credo pochi non siano stati di fatto questo punto fisso. Un genitore che magari ti schiaccia non si potrebbe comunque dire che stia facendo un buon lavoro, ma se lo fa è probabile che lo stia facendo comunque "per te", per una forma di bene. Un genitore che sceglie la morte al figlio, o che non trova nel figlio una ragione di vita sufficiente per vivere a sua volta, non solo scardina il figlio dall'asse di cui parlavo ma, facilmente, farà si che un asse di equilibrio questo figlio non lo avrà, non riuscirà a centrarsi in se stesso perché privato di una conferma forte al suo valore che sarà molto dura ricostruire.
 

Skorpio

Utente di lunga data
😵 Accidenti, superare il trauma di una violenza sessuale è come decidere di smettere di fumare: ma perché non ci ho pensato prima? Mi sarei risparmiata un sacco di beghe!
Apprezzo la battuta, ma non era questo il senso del "superamento" che volevo rilanciare dal mio intervento.

Superare nel senso di "risolvere" (tutto a posto, tutto dimenticato) è una cosa, e non era quello il senso che rilanciavo io

Il superamento, come già scrissi l'altra sera, è nella propria decisionalità rispetto alla responsabilità del proprio essere e del proprio fare.

Quindi se fino a ieri , e davanti al "mondo" , se ti avessi presa a ciaffate per una tua risposta storta, lo avrei fatto perché sai.. devi capire che quando ero piccino ...
Da oggi posso decidere in un tempo anche limitato, che se ti prendo a ciaffate non mi andrò più a parare dietro al mio passato.

E quando racconterò al mondo di quelle ciaffate o di quelle corna che avessi fatto, come di altro, non partirò più dicendo "epperò io quando ero piccino.. e quindi.."

Non so se così è più chiaro.
 

lolapal

Utente reloaded

lolapal

Utente reloaded
Apprezzo la battuta, ma non era questo il senso del "superamento" che volevo rilanciare dal mio intervento.

Superare nel senso di "risolvere" (tutto a posto, tutto dimenticato) è una cosa, e non era quello il senso che rilanciavo io

Il superamento, come già scrissi l'altra sera, è nella propria decisionalità rispetto alla responsabilità del proprio essere e del proprio fare.

Quindi se fino a ieri , e davanti al "mondo" , se ti avessi presa a ciaffate per una tua risposta storta, lo avrei fatto perché sai.. devi capire che quando ero piccino ...
Da oggi posso decidere in un tempo anche limitato, che se ti prendo a ciaffate non mi andrò più a parare dietro al mio passato.

E quando racconterò al mondo di quelle ciaffate o di quelle corna che avessi fatto, come di altro, non partirò più dicendo "epperò io quando ero piccino.. e quindi.."

Non so se così è più chiaro.
In parte è più chiaro, ma, a mio modesto avviso, anche questo discorso è fatto un po' con l'accetta, e implica una consapevolezza (anche se il termine più giusto è insight) che spesso non hanno neanche le persone che non hanno subìto nessun trauma.

Cerco di spiegarmi meglio: dire "ti ho fatto le corna perché da giovane mi è successo questo" non sta né in cielo né in terra, e, secondo me, non è neanche quello che intende @Chiocciola nel suo discorso. Se hai quella consapevolezza, vuol dire che in qualche modo hai "risolto" i tuoi traumi, li vedi, ci hai lavorato sopra (anche con un aiuto di un "ciarlatano" come lo chiamano alcuni), e, ti assicuro, che nella maggior parte dei casi, se li vedi, non giustificherai mai un tuo comportamento sbagliato con i traumi stessi per "pararti il culo".

Chi ha vissuto uno o più traumi ripetuti in età formativa, e ne subisce delle conseguenze mentali, quando ha un determinato comportamento, per quella persona è assolutamente "normale" comportarsi in quel modo, non vede, spesso, il dolore che può causare, non lo sente, non lo immagina. Non vede quella "responsabilità" di cui tu parli, perché non fa parte della sua percezione di sé e degli altri e della realtà.

Sono comunque totalmente d'accordo che tutto questo non significa che la persona che ho fatto soffrire debba per forza perdonarmi (su questo termine sono d'accordo con @ipazia), ma neanche deve per forza com-prendere-mi.

Il discorso che fai tu è quello che fanno le persone che, per fortuna, non hanno avuto determinati vissuti, e che quindi non possono vedere determinate sfumature e complessità... e, sinceramente, sono molto lieta che la maggior parte delle persone la pensi come te.

p.s.: spezzare il cerchio si può, lo so per esperienza, ma non fa per tutti...
 
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lolapal

Utente reloaded
Io invece non voglio negativizzare del tutto il concetto di perdono, che può avvenire anche all'interno di quella com-prensione di cui parlo.
Posso com-prenderti e ad esempio accettare di perdonarti (che non significa altro che cessare di avere un sentimento di risentimento) per esserti comunque scordata, anche solo per un momento, di me, in relazione a te.

E come posso scordarmi che tu, per un attimo, ti sei scordata di me? Magari capendo che non ti sei scordata di me per un altro amore, ma per te stessa, per un bisogno di ritrovarti, di affermarti, o anche solo di renderti conto fattivamente di quanto possano trascinarti giù certe questioni sospese, o che limiti riescano a farti superare, magari per avere quel coraggio di affrontarle che non hai trovato al di fuori del rischio concreto di perdere.

Come i tossici che si decidono ad uscirne solo quando si fanno l'overdose.

Perché possiamo accettare che per atto di egoismo l'altro definisca il suo limite, come che per lo stesso atto di egoismo invece il "traditore" abbia avuto necessità di superare un limite proprio a sua volta.

E' ovvio che siamo, bene o male, sempre ricondotti prima a noi stessi che all'altro, in quanto con l'altro non possiamo dialogare in nessun modo se prima non c'è una definizione del nostro proprio essere.

Tu parli di questo sguardo amorevole, ed è vero che se si perde forse non vale la pena fare un percorso sofferto come quello di cui io parlo, ma quello che mi chiedo è se svanirebbe comunque nel caso si guardasse la cosa da questa prospettiva, laddove, ovviamente, ci sia una verità di fondo e non sia solo una scusa arroccata.

L'ho proposta anche sopra la frase del libro "l'amore ai tempi del colera" che riporta, Si può essere innamorati di diverse persone per volta, e di tutte con lo stesso dolore, senza tradirne nessuna, il cuore ha più stanze di un bordello.
Mi chiedo come GG Marquez ha vissuto, o avrebbe vissuto, un tradimento con questa forma mentis... e se avrebbe perso lo sguardo amorevole sapendo che la sua donna magari ha cercato altrove una parte di sé, e non una parte di un altro essere umano.

Come sempre, dipende quanto e come si riesce a guardare una data situazione la persona che l'ha vissuta.
Che lo si possa fare solo consensualmente è di fatto un dato di fatto.

Io lo propongo però come uno spunto, che può dare un senso diverso ad un dolore, che se proprio dobbiamo viverlo, ritengo sia meglio che quantomeno ci insegni qualcosa o ci porti un qualcosa in più di ciò che avevamo.


Per la tua domanda invece intendo dire che, almeno nelle regole teoriche del mondo, la relazione genitore-figlio dovrebbe (e dico dovrebbe in quanto ne ho esperito tutte le eccezioni possibili) muoversi su una fissità che ne rappresenta il perno, ovvero che il figlio sia il punto fisso della propria esistenza, l'asse che tiene in magnetico equilibrio le scelte successive al diventare genitore e la ridefinizione di sé stessi in quanto individui non più scardinabili da un legame imprescindibile. Tutti hanno avuto buoni e cattivi genitori al tempo stesso e per tante ragioni, ma credo pochi non siano stati di fatto questo punto fisso. Un genitore che magari ti schiaccia non si potrebbe comunque dire che stia facendo un buon lavoro, ma se lo fa è probabile che lo stia facendo comunque "per te", per una forma di bene. Un genitore che sceglie la morte al figlio, o che non trova nel figlio una ragione di vita sufficiente per vivere a sua volta, non solo scardina il figlio dall'asse di cui parlavo ma, facilmente, farà si che un asse di equilibrio questo figlio non lo avrà, non riuscirà a centrarsi in se stesso perché privato di una conferma forte al suo valore che sarà molto dura ricostruire.
C'è un punto che non mi quadra nel tuo discorso: il fatto che la persona che si sente ferita dal comportamento del proprio partner si arricchisca come persona nel perdono e/o nella comprensione del vissuto traumatico di chi l'ha ferita e nel gesto che ne è conseguito, e che ha portato sofferenza. Secondo me può esserci un arricchimento di sé anche nel momento in cui la persona decide che, benché comprenda, perdonare, o comuqnue accogliere, non la faccia stare bene. Sono d'accordo che possa essere una visuale diversa che possa far riflettere sul proprio dolore, ma non è detto che porti valore aggiunto: vivere un dolore porta inevitabilmente a ripensare se stessi, imo.

Per quanto riguarda la relazione genitore-figlio: il caregiver, genitore o altro, ha sicuramente un ruolo fondamentale nella relazione primaria (consiglio di leggere Daniel Stern) e nella formazione della personalità del bambino, ma ci sono anche tanti altri fattori in gioco, possono esserci altre figure, altri ambienti, grazie ai quali in qualche modo si trova un "equilibrio" diverso, e si spezza il cerchio.
 

Brunetta

Utente di lunga data
In parte è più chiaro, ma, a mio modesto avviso, anche questo discorso è fatto un po' con l'accetta, e implica una consapevolezza (anche se il termine più giusto è insight) che spesso non hanno neanche le persone che non hanno subìto nessun trauma.

Cerco di spiegarmi meglio: dire "ti ho fatto le corna perché da giovane mi è successo questo" non sta né in cielo né in terra, e, secondo me, non è neanche quello che intende @Chiocciola nel suo discorso. Se hai quella consapevolezza, vuol dire che in qualche modo hai "risolto" i tuoi traumi, li vedi, ci hai lavorato sopra (anche con un aiuto di un "ciarlatano" come lo chiamano alcuni), e, ti assicuro, che nella maggior parte dei casi, se li vedi, non giustificherai mai un tuo comportamento sbagliato con i traumi stessi per "pararti il culo".

Chi ha vissuto uno o più traumi ripetuti in età formativa, e ne subisce delle conseguenze mentali, quando ha un determinato comportamento, per quella persona è assolutamente "normale" comportarsi in quel modo, non vede, spesso, il dolore che può causare, non lo sente, non lo immagina. Non vede quella "responsabilità" di cui tu parli, perché non fa parte della sua percezione di sé e degli altri e della realtà.

Sono comunque totalmente d'accordo che tutto questo non significa che la persona che ho fatto soffrire debba per forza perdonarmi (su questo termine sono d'accordo con @ipazia), ma neanche deve per forza com-prendere-mi.

Il discorso che fai tu è quello che fanno le persone che, per fortuna, non hanno avuto determinati vissuti, e che quindi non possono vedere determinate sfumature e complessità... e, sinceramente, sono molto lieta che la maggior parte delle persone la pensi come te.

p.s.: spezzare il cerchio si può, lo so per esperienza, ma non fa per tutti...
Poi si può essere consapevoli di alcune cose e non di altre che magari hanno maggior peso nel nostro agire.
Siamo tutti bravissimi a costruire una narrazione di vita o una specie di visione filosofica in cui occupiamo un ruolo che non ci fa soffrire.
 

lolapal

Utente reloaded
Poi si può essere consapevoli di alcune cose e non di altre che magari hanno maggior peso nel nostro agire.
Siamo tutti bravissimi a costruire una narrazione di vita o una specie di visione filosofica in cui occupiamo un ruolo che non ci fa soffrire.
Assolutamente sì. Anche la narrazione di sé è composta da tanti fattori, tra cui la "negazione", che nell'essere umano è fondamentale perché a volte aiuta a non impazzire...
 

Marjanna

Utente di lunga data
non è malfunzionante, semplicemente funziona a modo suo, e considerando che io sono fatta a modo mio, capisco che anche a lui piaccia fare come gli pare

Vero dell'intestino...trovo più anarchico il cervello...fa un gran casino nelle percezioni.
L'intestino è onesto.

E' uno dei motivi per cui mi ha sempre fatta sogghignare quando ti dicono che i sentimenti sono nel cuore...col cazzo...i sentimenti sono nell'intestino (pancia)....non apro la parentesi riguardo il ruolo e la funzione del culo in tutto questo :ROFLMAO::ROFLMAO:
Ho letto anche io spesso la frase che scrivi @omicron sul secondo cervello.
Tu dici che funziona a modo suo. @ipazia usa il termine onesto.
Però mi sfugge un aspetto più concreto riguardo queste affermazioni, intendo qualcosa oltre un'associazione immediata.
Vi ho quotato entrambe perchè pare abbiate colto più a fondo, in relazione alla frase che ho letto riportata spesso in parecchi siti, ma "buttata lì", tipo "si sa...".
 

omicron

Pigra, irritante e non praticante
Ho letto anche io spesso la frase che scrivi @omicron sul secondo cervello.
Tu dici che funziona a modo suo. @ipazia usa il termine onesto.
Però mi sfugge un aspetto più concreto riguardo queste affermazioni, intendo qualcosa oltre un'associazione immediata.
Vi ho quotato entrambe perchè pare abbiate colto più a fondo, in relazione alla frase che ho letto riportata spesso in parecchi siti, ma "buttata lì", tipo "si sa...".
Scusa ma non ho capito
 

Chiocciola

Utente di lunga data
In parte è più chiaro, ma, a mio modesto avviso, anche questo discorso è fatto un po' con l'accetta, e implica una consapevolezza (anche se il termine più giusto è insight) che spesso non hanno neanche le persone che non hanno subìto nessun trauma.

Cerco di spiegarmi meglio: dire "ti ho fatto le corna perché da giovane mi è successo questo" non sta né in cielo né in terra, e, secondo me, non è neanche quello che intende @Chiocciola nel suo discorso. Se hai quella consapevolezza, vuol dire che in qualche modo hai "risolto" i tuoi traumi, li vedi, ci hai lavorato sopra (anche con un aiuto di un "ciarlatano" come lo chiamano alcuni), e, ti assicuro, che nella maggior parte dei casi, se li vedi, non giustificherai mai un tuo comportamento sbagliato con i traumi stessi per "pararti il culo".

Chi ha vissuto uno o più traumi ripetuti in età formativa, e ne subisce delle conseguenze mentali, quando ha un determinato comportamento, per quella persona è assolutamente "normale" comportarsi in quel modo, non vede, spesso, il dolore che può causare, non lo sente, non lo immagina. Non vede quella "responsabilità" di cui tu parli, perché non fa parte della sua percezione di sé e degli altri e della realtà.

Sono comunque totalmente d'accordo che tutto questo non significa che la persona che ho fatto soffrire debba per forza perdonarmi (su questo termine sono d'accordo con @ipazia), ma neanche deve per forza com-prendere-mi.

Il discorso che fai tu è quello che fanno le persone che, per fortuna, non hanno avuto determinati vissuti, e che quindi non possono vedere determinate sfumature e complessità... e, sinceramente, sono molto lieta che la maggior parte delle persone la pensi come te.

p.s.: spezzare il cerchio si può, lo so per esperienza, ma non fa per tutti...

Non sono del tutto d'accordo sul fatto che chi è consapevole e ci ha lavorato sopra si rende conto e quindi non lo fa, oppure chi non è consapevole non si rende conto e quindi reputa tutto normale.

O meglio, non sono d'accordo con la prima parte. Perché la consapevolezza razionale spesso non corrisponde ad una risonanza emotiva.

Anche il bulimico sa che vomitare continuamente rovina la salute, ma è trascinato in questo comportamento pur comprendendone la dannosità. E per quanto riguarda quello che c'è dietro quasi tutte le persone con disturbi alimentari lavorano sul proprio trauma o vissuto, sanno con la mente dove risiede l'origine del problema ma ugualmente vanno avanti ad abbuffate e dito in gola finché non arrivano ad un punto di rottura.. qualsiasi esso sia perché è diverso per ognuno.

Ciò che voglio dire è, tu con la testa puoi sapere ciò che vuoi su quello che ti è successo. Ma finché non lo avrà accettato ed elaborato la tua anima, e non lo avrà lasciato andare, niente ti impedirà di poter incappare in meccanismi dannosi.
 
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