ipazia
Utente disorientante (ma anche disorientata)
Il perdono non lo prendo nemmeno in considerazione.Guarda intendiamoci... per me quando parlo di evoluzione non significa che si debba poi arrivare per forza ad un perdono, che può anche non arrivare. Significa solo provare ad entrare nell'altro empatizzando la sua esperienza di vita e di conseguenza anche la struttura relazionale che se ne è generata. Una volta fatto questo, se si riconosce comunque un limite invalicabile per se stessi, la relazione finirà, ma almeno finirà con cognizione di causa e non perché se ne è fatta un'equazione semplicistica legata a preconcetto o stereotipo.
Sono d'accordo che solitamente chi entra in relazione con un soggetto problematico a sua volta ha probabilmente esperienze e risoluzioni sospese, o trova nel partner anche un rimando accettabile alla visione di se e del mondo che si è strutturata come figlia di una vita diversa, e a maggior ragione, con questa premessa, potrebbe essere possibile un momento di passaggio sincero sul binario dell'altro..
Ad esempio, se io avessi ricevuto un tradimento da entrambe le mie storie importanti, lo avrei vissuto, analizzato ed esperito in modo completamente diverso, non avrebbe mai avuto lo stesso peso e sicuramente avrebbe influito anche in modo diverso sul mio stato d'animo.. ma questo lo so oggi, con la messa a fuoco che mi sono sudata, probabilmente non lo avrei saputo ai tempi con la stessa lucidità e quindi, forse, ne sarebbe venuta fuori una risposta emotiva uguale.
Per quanto invece riguarda la tua domanda beh... il mio personale scoglio è proprio quello dell'essere fissa e immutabile. Perché la mia esperienza di vita mi ha sottratto quell'attributo di punto fermo che ritengo necessario nelle due relazioni principali dell'esistenza. Quindi, l'idea di essere un non essere, come un monolite, nei pensieri di qualcuno a distanza di così tanto tempo, sebbene lo possa razionalmente riconoscere come una proiezione di sé piuttosto che un amore verso di me, si aggancia ad una necessità profonda e mai esaudita e quindi, in qualche modo, ricercata ad ogni costo.. poi lascia perdere che un qualcosa di così fortemente idealizzato si andrebbe a scontrare pesantemente con la realtà di fatto di un eventuale incontro, in cui cadrebbe forse tutto come un castello di carte, ma sicuramente non direi no per partito preso, ammesso che il soggetto possa in qualche modo interessarmi ancora.
P.s: ho di fondo un animo molto ma molto malinconico, che è una parola fortemente diversa da depresso (lo specifico per i lettori concettualmente distratti), e anche un po' incline al "romantic drama"... quindi, forse, in parte anche per questo![]()
E' un movimento che riguarda un paradigma che non amo particolarmente, che è poi il motivo per cui preferisco la com-prensione, nel senso in cui dicevo.
Il perdono, riguarda un sistema di potere dove la cessione di potere è indiretta e passa, se va bene, per terzi...se non per quarti e quinti.
Oltre ad essere legato del peccato e della colpa. Nei casi estremi (e a mio avviso anche patologici) dell'espiazione e della punizione.
Preferisco una cessione del potere diretta, che si fonda sulla padronanza di sè di ognuno.
L'empatia è abusata.
Come termine e come concetto.
Nella maggior parte dei casi si trasforma in un piedistallo proprio per il perdono vs la condanna.
Ma anche no.
Empatizzare con un dolore altro, significa entrare in risonanza col proprio dolore.
Ricomprenderlo nella relazione e renderlo materia organica comune.
Lavorarlo insieme. Ognuno il suo e apertamente.
Credo che semplicemente sia condivisibile il non desiderarlo fare con una persona su cui non si riesce più a posare uno sguardo amorevole.
Quando lo si fa, non lo si fa per un atto di altruismo.
Ma per un profondo egoismo.
Semplicemente perchè ci si rende conto che "ne vale la pena", ma per se stessi.
Non per l'altro, non per la relazione, non per l'amore.
Diversamente, muoversi in nome di un ideale...è una perdita di tempo per tutti i coinvolti.
Oltre che essere qualcosa di molto poco autentico.
Sono propensa a pensare che chi ha saputo usare il tradimento come occasione, abbia semplicemente riconosciuto per se stesso un valore in quel percorso.
E questo diviene il fondamento di una ricostruzione.
Uscire dall'ideale di relazione voltati verso l'altro in richiesta di "esser capiti" (che è una posizione da pensiero egocentrico) ed entrare nella prospettiva in cui il noi non è una entità soprannaturale, ma è semplicemente la somma (maggiore) delle parti.
Io e Tu che entrano in uno spazio comune co-costruito in piena affermazione della propria individualità col desiderio di metterla in condivisione.
Arrivare qui...ha diverse strade. E non tutte portano comunque qui.
Il consenso in tutto questo è fondamentale.
Come lo è il concetto di limite e la differenza che corre fra limite oggettivo e limite soggettivo.
cosa intendi con "attributo di punto fermo che ritengo necessario nelle due relazioni principali dell'esistenza."?
mi incuriosisce molto.
Ps: sei una lady drama pure tu
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