Brunetta
Utente di lunga data
Spiava il marito in casa con una telecamera nascosta: condannata a due mesi
di Simona Lorenzetti
Spiare il marito e la sua quotidianità all’interno della casa coniugale non è consentito. A maggior ragione se ciò avviene attraverso telecamere nascoste collegate al proprio smartphone. E così, questa mattina 19 ottobre, una donna è stata condannata a due mesi di reclusione. Sono stati invece assolti i due investigatori privati ai quali la 48enne si era rivolta per installare le microspie. Nel loro caso, il gup ha stabilito che «il fatto non costituisce reato», visto che si erano limitati a fare quanto era stato chiesto dalla signora. L’accusa che il pm Gianfranco Colace contestava - in concorso a tutti i protagonisti di questa vicenda - era «interferenza illecita nella vita privata».
È il 2019 quando la donna, difesa dall’avvocato Francesca Violante, si rivolge a una nota agenzia di sicurezza privata torinese. A luglio gli esperti di security piazzano all’interno dei sensori del sistema di allarme sofisticate telecamere nascoste che puntano sull’ingresso e sul soggiorno. Gli occhi elettronici vengono collegati allo smartphone della donna, che in tempo reale può controllare ciò che avviene in casa. Tutto, però, all’insaputa del marito, dal quale si stava separando. Ed è proprio l’uomo a scoprire un anno dopo, nel luglio del 2020, le telecamere segrete. Il marito si rivolge ai carabinieri e sporge querela contro ignoti: nonostante il matrimonio fosse in crisi (è in corso un processo parallelo in cui la donna accusa il marito di maltrattamenti) non immaginava fosse stata la moglie.
A scoprirlo sono stati gli uomini della polizia giudiziaria e così sia la consorte sia gli investigatori (difesi da Paola Savio e Alessandra Guarini) finiscono sul banco degli imputati di fronte al gup Ludovico Morello. Nel corso dell’udienza la signora si è difesa spiegando di aver messo le telecamere non per controllare il marito e la sua vita privata, ma per tutelarsi perché temeva di essere spiata. Una tesi che non è stata accolta, tanto che le è stata inflitta una condanna a due mesi. Il marito, assistito dall’avvocato Elena Negri, non si è costituito parte civile.
torino.corriere.it
di Simona Lorenzetti
Spiare il marito e la sua quotidianità all’interno della casa coniugale non è consentito. A maggior ragione se ciò avviene attraverso telecamere nascoste collegate al proprio smartphone. E così, questa mattina 19 ottobre, una donna è stata condannata a due mesi di reclusione. Sono stati invece assolti i due investigatori privati ai quali la 48enne si era rivolta per installare le microspie. Nel loro caso, il gup ha stabilito che «il fatto non costituisce reato», visto che si erano limitati a fare quanto era stato chiesto dalla signora. L’accusa che il pm Gianfranco Colace contestava - in concorso a tutti i protagonisti di questa vicenda - era «interferenza illecita nella vita privata».
È il 2019 quando la donna, difesa dall’avvocato Francesca Violante, si rivolge a una nota agenzia di sicurezza privata torinese. A luglio gli esperti di security piazzano all’interno dei sensori del sistema di allarme sofisticate telecamere nascoste che puntano sull’ingresso e sul soggiorno. Gli occhi elettronici vengono collegati allo smartphone della donna, che in tempo reale può controllare ciò che avviene in casa. Tutto, però, all’insaputa del marito, dal quale si stava separando. Ed è proprio l’uomo a scoprire un anno dopo, nel luglio del 2020, le telecamere segrete. Il marito si rivolge ai carabinieri e sporge querela contro ignoti: nonostante il matrimonio fosse in crisi (è in corso un processo parallelo in cui la donna accusa il marito di maltrattamenti) non immaginava fosse stata la moglie.
A scoprirlo sono stati gli uomini della polizia giudiziaria e così sia la consorte sia gli investigatori (difesi da Paola Savio e Alessandra Guarini) finiscono sul banco degli imputati di fronte al gup Ludovico Morello. Nel corso dell’udienza la signora si è difesa spiegando di aver messo le telecamere non per controllare il marito e la sua vita privata, ma per tutelarsi perché temeva di essere spiata. Una tesi che non è stata accolta, tanto che le è stata inflitta una condanna a due mesi. Il marito, assistito dall’avvocato Elena Negri, non si è costituito parte civile.
Spiava il marito in casa con una telecamera nascosta: condannata a due mesi
Sono stati invece assolti i due investigatori privati ai quali la 48enne si era rivolta per installare la microspie