Fa differenza nei termini in cui il dato viene utilizzato in modo parziale.
E quindi smette di essere un descrittore quantitativo di realtà e diviene un descrittore qualitativo (senza averne i requisiti) utilizzabile strumentalmente e in senso ideologico.
Metti insieme, in modo confuso e con un alto grado di emotività, diversi livelli della questione in questo tuo post.
La questione della contraccezione è complessa. E per niente banale.
20 anni fa qui in italia del nord la distribuzione di preservativi e la connessa educazione alla sessualità non solo è stata ferocemente strumentalizzata per fini politici (del tutto escludenti questioni di ordine educativo e sanitario, come invece sarebbe compito della politica sociale) e poi culturali. Per ottenere schieramenti.
Dal 2002 in avanti gli interventi finanziati a questi scopi sono stati praticamente eliminati.
Quelli non eliminati sono in mano a personale non formato adeguatamente. Rimanendo leggera su "adeguatamente".
I consultori sono tendenzialmente gestiti dal terzo settore (stesso settore che si è occupato di educazione alla sessualità su indicazione istituzionale).
Quali sono "gli aiuti" concreti a disposizione? Il sostegno per gli operatori? La formazione? Il compenso?
Presenza di mediatori?
Come si risponde all'incidenza dell'obiezione e alle sue ripercussioni? Concretamente intendo.
Che tradotto è "quale è il peso sociale dato alla applicabilità della legge non come contraccettivo ma come extrema ratio".
Nonostante questo, e nonostante i risultati previsti non siano stati raggiunti, perlomeno si riesce a parlare di contraccezione nella cultura italiana.
Per quanto ancora il fenomeno delle donne che si affidano al mitico ogino piuttosto che al salto dell'uccello sia preoccupantemente alto.
Ancora nella nostra cultura il gap fra maschi e femmine a livello di contraccezione è alto. E la contraccezione è affidata, per non dire delegata, alla femmina (non uso donna a ragion veduta, visto che l'età di inizio rapporti è in media attorno ai 12/13 anni).
Nonostante questo, dal 1983 la tendenza all'interruzione è costantemente in diminuzione. Compresa la recidiva. E sono dati che spiccano in positivo a livello internazionale.
L'arrivo delle straniere, non quelle che conosci tu od io che fanno opinione ma non dato, è un elemento di ulteriore complessità.
In un fenomeno processuale. Che non può essere letto all'ultimo anno a disposizione. Decontestualizzandolo.
La provenienza migrante, calcolata istat nel 2019 (ossia dati disponibili pubblicamente che però non riescono a conteggiare il sommerso transitante o stanziale clandestinamente) stima che più o meno in italia ci sono 5 milioni di stranieri. Con una leggera sproporzione sulle donne.
Dei poco più di 5 milioni di cittadini stranieri residenti in Italia, circa 2,5 milioni sono europei (di cui 1,4 milioni proviene da Paesi appartenenti all’UE), 1.150.627 provengono dagli Stati africani (22,2%, soprattutto dai Paesi dell’Africa settentrionale e occidentale) e 1,1 milioni (22,6%) dall’Asia.
La presenza straniera è maggiormente concentrata nelle Regioni del Centro-Nord (84%), e in particolare nel Nord-Ovest (34,2%).
Questo per citare dati che non siano "mia cuggina". Fonte iss.
Poi, per leggere i dati, servirebbe andare a vedere il livello di scolarizzazione per esempio (ti anticipo che la maggioranza ha se va bene licenza media). E questo incide parecchio sulle competenze necessarie a discutere apertamente un cambio di cultura. Oppure il livello di integrazione, piuttosto che li territorio e lo stile di vita di provenienza (dire nord africa è non dire niente a riguardo). E questo sarebbe comunque solo la punta dell'iceberg per una analisi seria.
Tutto questo, come incide sulla già scarsa potenza di fuoco in termine di aiuti concreti per chi recide nelle interruzioni?
Poi sarebbe interessante prendere e andare a vedere le percentuali di recidiva in relazione alla etnia specifica.
E sono quasi pronta a scommettere che la maggioranza avviene in culture in cui il maschio ha ancora un ruolo predominante e la donna e ancora vista come "minus". E da questo non sono per niente escluse le culture con influenza cattolica. Anzi.
E questo implica che la libertà della donna ad autodeterminarsi in termini preventivi è quantomeno limitata. E spesso nascosta. (vedi accesso a terapia farmacologica di emergenza, per fortuna oggi essente da ricetta e quindi accessibile senza dover passare per canali ufficiali, che spesso si trasformano, in termini di conseguenze per la donna, in botte....altro che sensi di colpa).
Insomma.
Mettere punti, allo stato dell'arte, è una operazione più ideologica che concreta.
E fra l'altro, impedisce di leggere la situazione in modo complesso creando gli spazi per l'azione che tu stessa auspichi, ossia le possibilità CONCRETE di sostegno alle donne, in considerazione e a prescindere dalla provenienza di credo e cultura.
E si apre qui l'altro capitolo.
La normativa prescriverebbe una azione volta alla rimozione degli ostacoli per una maternità che permette e considera il benessere della donna e direttamente del nascituro.
Parliamo di soldi.
Quanto è stanziato per interventi di questo tipo?
Ossia, come prescriverebbe la norma, per rimuovere le barriere.
Non ho dati alla mano.
Ma ho il forte sospetto che se si arriva a contributi di 4-5 euro all'anno (per uno o due anni se va bene), e non per tutte, c'è da leccarsi le dita.
A fronte di non occupazione in caso di gravidanza, in particolare proprio nelle fasce più basse, che sono poi quelle che a naso direi tendono ad utilizzare peggio lo strumento normativo.
A fronte di un mercato del lavoro che riserva alla maternità l'angolino delle orecchie dell'asino.
A fronte di un mercato del lavoro che penalizza la maternità E la rende una scelta out out.
Tutto questo per dire che la questione è complessa, sempre la si voglia affrontare da un punto di vista pragmatico e non ideologico.