Il punto del mio ragionamento non è il caso in sè, è il fatto che il modello sociale che si sta affermando è quello che non riesce a motivare una adolescente alla vita ma ben sa come farla morire.
Il mio è un ragionamento del tutto personale, riguarda me stesso, ho visto morire i miei genitori, qualche anno fa, mio papà si è spento cosciente di morire, per mia mamma abbiamo fatto tutto il possibile, finchè il medico ci ha detto di lasciarla andare, e così abbiamo fatto.
Per me stesso auspico come tutti una morte rapida e possibilmente senza sofferenza ma purtroppo non possiamo sciegliere, ho chiesto ai miei figli che alla bisogna mi si sedi e mi si lasci andare. L'accanimento terapeutico, le forzature, non stanno bene nemmeno a me.
Filosoficamente non ritengo che la mia vita mi appartenga, so di essere controcorrente, appartiene a quel quel qualcosa che ha fatto si che io esista, chiamatelo dio, chiamatela natura, chiamatela come cavolo vi pare, ma pensare come l'andazzo comune ritiene che la nostra vita ci appartenga non è nelle mie corde, è una illusione la nostra. La nostra vita è governata perlopiù da forze che stanno fuori dal nostro controllo.
E non è nelle mie corde nemmeno pensare ad un modello sociale che stabilisca quali siano gli standard minimi perchè una vita debba essere vissuta, così facendo si rischia di spallancare le porte all' eugenetica, che viene spacciata per un progresso del genere umano ma che personalmente ritengo una aberrazione contronatura. (E la natura prima o poi si vendica della nostra supponenza).
Ma tu cosa pensi quando dici accanimento terapeutico? Perchè la definizione stessa che include l'accanimento già fa intendere una violazione.
Probabilmente tu pensi a qualcosa che hai visto, o che ti ha spaventato, che non vorresti per te. Te lo chiedo perchè fatico ad avere un pensiero astratto.
Io non sono contro l'eutanasia. Però so che ci sono diverse patologie, che si manifestano in modo diverso, e a volte lentamente, a volte velocemente. E fatico ad esprimermi per tutte a prescindere, perchè non so poi cosa ogni singola persona stia visualizzando nella propria mente.
Non so se tanti pensano a se stessi, al diventare una simil cavia, al diventare un peso per i figli, a essere portati lontano dal paradiso della vita (in ciò che ognuno vede come paradiso, che sia la passeggiata per i boschi o in centro cittadino).
Però di fatto a fronte di una diagnosi ci sono delle procedure precise che vengono applicate, e ad ogni eventuale evento corrisponde un altra procedura. C'è quindi una traccia di percorso, anche di quello che ci porta in prossimità alla morte. Quello che tu definisci "modello sociale che stabilisca quali siano gli standard minimi perchè una vita debba essere vissuta" in parte esiste già.
Tornando a pratiche estreme che potrebbero, credo, rientrare nell'accanimento, con la pandemia penso a ognuno di noi sia capitato di sentire di tal persona che saluta i familiari
perchè domani mi intubano e allora non potremmo sentirci più.
C'è chi magari direbbe che lo rifiuta in astratto, ma poi invece si trova ad accettare per rimanere un poco di più qua su sto pianeta.
Ad esempio una persona che entra in ospedale in codice rosso, ci va per salvarsi, e poi ovviamente i medici applicano quanto possono (ma sempre di procedure si tratta) per tentare di salvare la persona, e cosa accade dopo non si sa.
Un altra cosa riguarda le operazioni e il foglio che ti fanno firmare, o comunque un foglio dove viene scritto che ti sono stati esposti anche i rischi (e recidive). Questa decisione, sui rischi, sul dopo, per quanto io ho potuto vedere e sentire, vien presa in pochissimo tempo, senza dare modo alla persona di riflettere, pensarci, senza poter aver qualcuno a disposizione se si pongono domande (a volte anche nell'esposizione alcune cose vengono "minimizzate" stile anche nell'aspirina ci sono le controindicazioni), talvolta in modo bonario e poi domande alle domande, senza potersi portare via qualcosa di scritto, da valutare con più calma (ovviamente laddove questo sia possibile, operazioni programmate e non d'urgenza).
A me è capitato spesso di incontrare gente che aveva problemi, conseguenti ad interventi chirurgici, e non capiva cosa aveva, sapeva solo di avere dolori, e non è che poi venga esposto chiaramente, anche brutalmente se vuoi, cosa sia accaduto alla persona. In taluni casi quello è già un passo verso la morte. Ma si prosegue finchè ci sono procedure applicabili.
E quelle non son cose della natura, di dio o altro, son cose degli uomini. Se fosse per la natura non saremmo arrivati a 7 miliardi.
Noi abbiamo messo su il nostro formichiere.
Poi riguardo questi temi capisco che ci entri una parte personale, se io penso alla morte, alla mia, domani, l'unica cosa che mi si forma in testa è "voglio vivere vivere vivere!!!"

e poi penso a delle persone, che hanno lottato, tanto, vivendo cose non facili, che uno non si pensa mai che arrivino, e penso che mi devo ricordare quanto ho visto, e sento come una forma di rispetto. E' qualcosa che fatico ad esprimere a parole, qualcosa di interno.
Ho letto anche il tuo post seguente in risposta a Ipazia, e mi trovo concorde in quasi tutto ciò che hai espresso.