Adrenalina

Spot

utente in roaming.
Quanta roba, quanta complessità.
Io ho manifestato stupore per la rabbia proprio perché la rabbia è confusione, almeno è confuso la rabbia di cui parlate e porta a violenza un po' a casaccio, anche contro se stesse.
Di aggressività ho parlato io perché è proprio altra cosa dalla violenza.
No Ipazia non è imploso niente, si è sviluppato in modo molto positivo. Ogni movimento che è di una minoranza è vittorioso se riesce a entrare nella mente e nella prassi della maggioranza. E questo è avvenuto.
Residui di contraddizioni sono normali.
Questa libertà di cui godete non vi è stata regalata.
Però adesso cercate di separare le questioni perché io non riesco a capire con chi ce l'avete. Appunto vedo rabbia confusa.
Ho trovato un collegamento con le arti marziali proprio per la ricerca di una modalità di controllo, non certo di competenze per agire con aggressività.
Mi farebbe anche ridere l'idea che una donna di 1,60 possa pensare di poter confrontarsi fisicamente con un aggressore maschio di media forza.
Di confusione ho parlato io.
Ma è una confusione dell'agire, non della rabbia o dell'aggressività.
Di fondo, mi trovo in totale disinamoramento rispetto a quel che faccio e al come mi trovo. Mi ci sposto, poi ci ricado. E me la leggo come una sconfitta, come non essere stata brava abbastanza da dare la spinta necessaria.
E' roba mia: il giro di boa non compiuto, l'obbiettivo non raggiunto, il non fatto. Sale, magari scatenato da qualche delusione esterna, poi passa. Se passa rimane la critica senza il biasimo.
Non è un procedimento violento, bruni, è qualcosa che ha a che fare con l'incertezza dei propri mezzi e la mancanza di riscontri per colmare. Che so che non è solo sul riscontro e l'obbiettivo che devo andare a focalizzarmi, che mi distraggono in malo modo, ma anche lì.. statti ad interiorizzare il concetto.
E non è nemmeno tanto complicata come cosa, in fondo. :rotfl:
Ma dato che è qualcosa di puramente emozionale, ho l'impressione che si porti un po' di cose aggrovigliate insieme. Ad esempio... non saprei... tutti quei campi in cui sento di non avere riscontri, per banalizzare.
 

Brunetta

Utente di lunga data
Di confusione ho parlato io.
Ma è una confusione dell'agire, non della rabbia o dell'aggressività.
Di fondo, mi trovo in totale disinamoramento rispetto a quel che faccio e al come mi trovo. Mi ci sposto, poi ci ricado. E me la leggo come una sconfitta, come non essere stata brava abbastanza da dare la spinta necessaria.
E' roba mia: il giro di boa non compiuto, l'obbiettivo non raggiunto, il non fatto. Sale, magari scatenato da qualche delusione esterna, poi passa. Se passa rimane la critica senza il biasimo.
Non è un procedimento violento, bruni, è qualcosa che ha a che fare con l'incertezza dei propri mezzi e la mancanza di riscontri per colmare. Che so che non è solo sul riscontro e l'obbiettivo che devo andare a focalizzarmi, che mi distraggono in malo modo, ma anche lì.. statti ad interiorizzare il concetto.
E non è nemmeno tanto complicata come cosa, in fondo. :rotfl:
Ma dato che è qualcosa di puramente emozionale, ho l'impressione che si porti un po' di cose aggrovigliate insieme. Ad esempio... non saprei... tutti quei campi in cui sento di non avere riscontri, per banalizzare.

Credo che ci siano età in cui ci si sente così, sia che si sia soli, sia in coppia e la tentazione di cercare la soluzione in un "amore" è forte, è da sfuggire. Si sceglie male.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Di confusione ho parlato io.
Ma è una confusione dell'agire, non della rabbia o dell'aggressività.
Di fondo, mi trovo in totale disinamoramento rispetto a quel che faccio e al come mi trovo. Mi ci sposto, poi ci ricado. E me la leggo come una sconfitta, come non essere stata brava abbastanza da dare la spinta necessaria.
E' roba mia: il giro di boa non compiuto, l'obbiettivo non raggiunto, il non fatto. Sale, magari scatenato da qualche delusione esterna, poi passa. Se passa rimane la critica senza il biasimo.
Non è un procedimento violento, bruni, è qualcosa che ha a che fare con l'incertezza dei propri mezzi e la mancanza di riscontri per colmare. Che so che non è solo sul riscontro e l'obbiettivo che devo andare a focalizzarmi, che mi distraggono in malo modo, ma anche lì.. statti ad interiorizzare il concetto.
E non è nemmeno tanto complicata come cosa, in fondo. :rotfl:
Ma dato che è qualcosa di puramente emozionale, ho l'impressione che si porti un po' di cose aggrovigliate insieme. Ad esempio... non saprei... tutti quei campi in cui sento di non avere riscontri, per banalizzare.
La mia amica, in un momento in cui eravamo entrambe in arissima, roba da perdere la macchina nel parcheggio del supermercato e non riuscire a trovarla perchè eravamo talmente isteriche da non riuscire a smettere di ridere e non riuscivamo a ridere e cercare la macchina contemporaneamente, mi ha guardata e mi ha detto "sai, mi sa che serve fare proprio un sacco di disordine, per poter mettere ordine.".

Penso abbia un sacco ragione.

E penso servano alleati. Specchi attivi. In cui guardarsi, riconoscersi senza perdersi.

La complessità è quello che siamo. Siamo esseri complessi. E ci portiamo dietro tutti i nodi. Negare la nostra complessità, voler semplificare a tutti i costi a me sembra un andare contro natura.
Sicuramente un andare dalla parte opposta a chi si è nella propria percezione.

E per potersi conoscere, serve avvicinarsi e guardare. E accettare.

E una ode alla complessità

Ho la sensazione che tu sia molto brava a segnalare a te stessa quando sbatti il muso per terra, un po' meno disposta a riconoscerti che anche se hai sbattuto il muso ti sei rialzata e ci riprovi. E servono entrambi i riconoscimenti di sè.

I vuoti sono gli spazi in cui muoversi agevolmente per passare da un estremo all'altro, riconoscendo la smusata e contemporaneamente l'averla trasformata in apprendimento. E' lì in mezzo la spinta...:)

Questi riconoscimenti, però, non possono che venire da se stessi. Gli altri contano poco e niente.
Questa è una parte che riguarda la solitudine del proprio essere. O perlomeno per me è fondamentale che sia così.
Per sentire che è roba proprio mia. E soltanto mia. Che posso poi decidere di condividere con chi sento di riconoscere e da cui sento il desiderio di essere riconosciuta. Ma dopo di me.
 

brenin

Utente
Staff Forum
La mia amica, in un momento in cui eravamo entrambe in arissima, roba da perdere la macchina nel parcheggio del supermercato e non riuscire a trovarla perchè eravamo talmente isteriche da non riuscire a smettere di ridere e non riuscivamo a ridere e cercare la macchina contemporaneamente, mi ha guardata e mi ha detto "sai, mi sa che serve fare proprio un sacco di disordine, per poter mettere ordine.".

Penso abbia un sacco ragione.

E penso servano alleati. Specchi attivi. In cui guardarsi, riconoscersi senza perdersi.

La complessità è quello che siamo. Siamo esseri complessi. E ci portiamo dietro tutti i nodi. Negare la nostra complessità, voler semplificare a tutti i costi a me sembra un andare contro natura.
Sicuramente un andare dalla parte opposta a chi si è nella propria percezione.

E per potersi conoscere, serve avvicinarsi e guardare. E accettare.

E una ode alla complessità

Ho la sensazione che tu sia molto brava a segnalare a te stessa quando sbatti il muso per terra, un po' meno disposta a riconoscerti che anche se hai sbattuto il muso ti sei rialzata e ci riprovi. E servono entrambi i riconoscimenti di sè.

I vuoti sono gli spazi in cui muoversi agevolmente per passare da un estremo all'altro, riconoscendo la smusata e contemporaneamente l'averla trasformata in apprendimento. E' lì in mezzo la spinta...:)

Questi riconoscimenti, però, non possono che venire da se stessi. Gli altri contano poco e niente.
Questa è una parte che riguarda la solitudine del proprio essere. O perlomeno per me è fondamentale che sia così.
Per sentire che è roba proprio mia. E soltanto mia. Che posso poi decidere di condividere con chi sento di riconoscere e da cui sento il desiderio di essere riconosciuta
. Ma dopo di me.
Straquoto. Prima di pensare " agli altri " secondo me è indispensabile pensare prima a sè stessi, all'esperienza fatta,alle sue conseguenze ed agli eventuali insegnamenti/considerazioni che se ne sono tratti. Senza la solitudine con noi stessi ed il conseguente " bilancio/analisi " ( passatemi il termine... ) che se ne trae può essere addirittura controproducente in alcuni casi confrontarsi con " l'altro " . Perchè niente più della condivisione ( o quantomeno di certe condivisioni ) costa moltissimo,sia a livello di "esternalizzazione " del nostro intimo che ai freni/paure che inevitabilmente si mettono in preventivo qualora l'altro o gli altri non si dimostrino poi in grado di capirci od alle reazioni che gli stessi potrebbero avere. E se non c'è almeno un punto fermo da cui partire tutto si può poi rivelare forse più arduo di quanto immaginabile.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Straquoto. Prima di pensare " agli altri " secondo me è indispensabile pensare prima a sè stessi, all'esperienza fatta,alle sue conseguenze ed agli eventuali insegnamenti/considerazioni che se ne sono tratti. Senza la solitudine con noi stessi ed il conseguente " bilancio/analisi " ( passatemi il termine... ) che se ne trae può essere addirittura controproducente in alcuni casi confrontarsi con " l'altro " . Perchè niente più della condivisione ( o quantomeno di certe condivisioni ) costa moltissimo,sia a livello di "esternalizzazione " del nostro intimo che ai freni/paure che inevitabilmente si mettono in preventivo qualora l'altro o gli altri non si dimostrino poi in grado di capirci od alle reazioni che gli stessi potrebbero avere. E se non c'è almeno un punto fermo da cui partire tutto si può poi rivelare forse più arduo di quanto immaginabile.
Esattamente.

In particolare il grassetto.

Senza il punto fermo, il condividere inizia ad assomigliare ad una sorta di "fondo perduto"...e quando il "fondo perduto" riguarda cose preziosissime di sè....cavolo se costa e sa fa paura. Mettersi sotto lo sguardo e lasciarsi guardare.
Che la sensazione è di essere nudi. Nudi davvero. O almeno io la sento così.

E ho bisogno di riconoscermi il mio corpo spirituale per poterlo esporre. Sentirlo innanzitutto mio. Per poterlo condividere. In questo modo il fondo perduto è un fondo perduto con un diverso significato. In cui perdere significa prendere...in un qualche modo...e non dall'altro, ma da me.

Anche perchè se non lo sento innanzitutto mio, non mi sembra una vera condivisione e finisco nelle paranoie...che vanno dalla sensazione di poter perdere me alla sensazione dell'inganno...
 

danny

Utente di lunga data
Ho leggiucchiato qua e là ma dal discorso sull'adrenalina siete passati all'ammosciamento delle seghe mentali.
Interrogarsi sulle arti marziali che fanno i bimbi e le bimbe di 8 anni all'oratorio ormai credo sia fondamentalmente inutile.
Lo fanno perché è uno "sport" che ha come tanti altri sport una sua disciplina.
E perché non richiede particolari dote atletiche come la ginnastica artistica, né particolari doti fisiche come la danza.
Ti permette di interagire con lo spazio degli altri in maniera rispettosa dello stesso e in questo è educativo.
Per il resto, fa sudare e permette di aumentare discretamente la massa muscolare, di non mettere chili di troppo e di avere delle buone aperture.
Ed è a mio parere molto più intrigante di zumba.
Sul discorso femminismo, et voilà: relegare il tutto come un fenomeno di elite sessantottina è molto limitante.
Il movimento femminista c'era in epoca vittoriana, c'era all'epoca di Jack lo squartatore, e le problematiche relative al controllo sessuale, da ambo i generi (chiusura casini - controllo sul maschio, paura delle donne a uscire da sole - controllo sulle femmine) sono storia e si intersecano con quelle di classe, anzi, in tanti casi ne sono diretta conseguenza. Si hanno testimonianze puntuali fin dal XIX secolo.
Stiamo parlando di questioni estremamente complesse, il cui essere relegate al puro rapporto madri-figlie è molto limitante, e lo è ancora più se le si pone avulse dal contesto storico.
Perché qualsiasi idea, pensiero, ideologia non viaggia mai da sola.
Ma questi sono discorsi che meritano libri, non post da forum.
 

brenin

Utente
Staff Forum
Esattamente.

In particolare il grassetto.

Senza il punto fermo, il condividere inizia ad assomigliare ad una sorta di "fondo perduto"...e quando il "fondo perduto" riguarda cose preziosissime di sè....cavolo se costa e sa fa paura. Mettersi sotto lo sguardo e lasciarsi guardare.
Che la sensazione è di essere nudi. Nudi davvero. O almeno io la sento così.

E ho bisogno di riconoscermi il mio corpo spirituale per poterlo esporre. Sentirlo innanzitutto mio. Per poterlo condividere. In questo modo il fondo perduto è un fondo perduto con un diverso significato. In cui perdere significa prendere...in un qualche modo...e non dall'altro, ma da me.

Anche perchè se non lo sento innanzitutto mio, non mi sembra una vera condivisione e finisco nelle paranoie...che vanno dalla sensazione di poter perdere me alla sensazione dell'inganno...
Ecco, il grassetto è la conclusione ottimale, è una conferma "esterna" che anche l'altro o gli altri ci "vedono" proprio come noi vorremmo che ci vedessero, e certo che il "prendere" è proprio una bella iniezione di fiducia in sè stessi e la conferma che la strada/decisioni prese vanno nel senso auspicato. Poi,visto che il cammino è lungo e non dipendente solo da noi stessi,si potrà forse parlare ( se si verificheranno tutti i presupposti indispensabili affinchè possa accadere ) di prendere qualcosa " dall'altro " , ma questo aspetto, a mio avviso,passa decisamente in secondo piano.
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Ho leggiucchiato qua e là ma dal discorso sull'adrenalina siete passati all'ammosciamento delle seghe mentali.
Interrogarsi sulle arti marziali che fanno i bimbi e le bimbe di 8 anni all'oratorio ormai credo sia fondamentalmente inutile.
Lo fanno perché è uno "sport" che ha come tanti altri sport una sua disciplina.
E perché non richiede particolari dote atletiche come la ginnastica artistica, né particolari doti fisiche come la danza.
Ti permette di interagire con lo spazio degli altri in maniera rispettosa dello stesso e in questo è educativo.
Per il resto, fa sudare e permette di aumentare discretamente la massa muscolare, di non mettere chili di troppo e di avere delle buone aperture.
Ed è a mio parere molto più intrigante di zumba.
Sul discorso femminismo, et voilà: relegare il tutto come un fenomeno di elite sessantottina è molto limitante.
Il movimento femminista c'era in epoca vittoriana, c'era all'epoca di Jack lo squartatore, e le problematiche relative al controllo sessuale, da ambo i generi (chiusura casini - controllo sul maschio, paura delle donne a uscire da sole - controllo sulle femmine) sono storia e si intersecano con quelle di classe, anzi, in tanti casi ne sono diretta conseguenza. Si hanno testimonianze puntuali fin dal XIX secolo.
Stiamo parlando di questioni estremamente complesse, il cui essere relegate al puro rapporto madri-figlie è molto limitante, e lo è ancora più se le si pone avulse dal contesto storico.
Perché qualsiasi idea, pensiero, ideologia non viaggia mai da sola.
Ma questi sono discorsi che meritano libri, non post da forum.
E perchè non è un discorso da forum? (ovviamente senza la spocchia di volerne fare un trattato conclusivo).

Ossia da confronto fra donne e magari anche fra uomini?

Che se questi discorsi restano nei libri, secondo me, non ne capisco il significato. Come un racconto di Stephen King..che adoro peraltro...ma i suoi sono racconti. Il sentire il proprio genere, l'appartenenza, e quindi l'identificazione e la differenziazione si esprime nella quotidianità del vivere concreto.

O forse non ho capito cosa intendi. :)
 

ipazia

Utente disorientante (ma anche disorientata)
Ecco, il grassetto è la conclusione ottimale, è una conferma "esterna" che anche l'altro o gli altri ci "vedono" proprio come noi vorremmo che ci vedessero, e certo che il "prendere" è proprio una bella iniezione di fiducia in sè stessi e la conferma che la strada/decisioni prese vanno nel senso auspicato. Poi,visto che il cammino è lungo e non dipendente solo da noi stessi,si potrà forse parlare ( se si verificheranno tutti i presupposti indispensabili affinchè possa accadere ) di prendere qualcosa " dall'altro " , ma questo aspetto, a mio avviso,passa decisamente in secondo piano.
Sì, esattamente.

E' una conferma di fedeltà a sè. Per come la vedo io.

Certo, ci sono un po' di garbugli in quel confermare...che l'equilibrio è sottile fra la conferma sentita come esterna perchè il corpo spirituale è solido pur essendo permeabile a fiducia e critica e fra il dipendere dalle conferme esterne per definirsi anche ai propri occhi.

Insomma, non so se sono riuscita a spiegarmi, è quell'equilibrio sottile e dinamico fra il perdersi e trovarsi negli sguardi, ma senza perdere il centro di sè.

Prendere qualcosa dall'altro...è un altro livello...complesso secondo me...che dentro c'è un sacco di roba...fra cui la responsabilità della cura di quello che si "prende"...perchè nei termini in cui intendo il prendere, il prendere dall'altro diventa un accettare una sorta di dono dall'altro e averne cura. E questa è una responsabilità. Che coinvolge molti piani del proprio essere.

E anche qui secondo serve equilibrio dinamico fra sè e l'altro....come un delicato sistema di vasi comunicanti, che richiede estrema cura e attenzione...:eek:
 

danny

Utente di lunga data
E perchè non è un discorso da forum? (ovviamente senza la spocchia di volerne fare un trattato conclusivo).

Ossia da confronto fra donne e magari anche fra uomini?

Che se questi discorsi restano nei libri, secondo me, non ne capisco il significato. Come un racconto di Stephen King..che adoro peraltro...ma i suoi sono racconti. Il sentire il proprio genere, l'appartenenza, e quindi l'identificazione e la differenziazione si esprime nella quotidianità del vivere concreto.

O forse non ho capito cosa intendi. :)
Perché occorrerebbero molte pagine e non so quanti reggerebbero.
L'esperienza personale, il sentire è la parte più semplice da comunicare.

Il controllo del sesso per esempio non è stato solo una questione di contrapposizione di genere, ma di dominio di classe. Le tanto ridicole disposizioni dell'era vittoriana erano imposizione di quello che allora si poteva intendere come ceto medio sulle molto più libertine (per il loro sentire) classi popolari.
Storicamente anche da noi la popolazione contadina era sessualmente molto più disponibile e aperta di quella borghese. E quando si trasformò in operaia faticò a trovare inizialmente una sua dimensione sessualmente più contenuta. Specie per gli uomini, era frequente l'abuso anche delle bambine che lavoravano in fabbrica. Il degrado di cui si invocava la soluzione da parte del ceto borghese era un pura contrapposizione di classe. Degrado era quello del Bottonuto a Milano, che fu infatti demolito, per far posto all'elite borghese nascente e alle sue ambizioni. Degrado era la prostituzione, esercitata nei bordelli fino a quando non si pretese un controllo sulla sessualità maschile che li volle abolire, gettando le prostitute in una condizioni ancor peggiore. Ma le prostitute erano anche le donne fuori controllo della classe popolare e come tali andavano emarginate, rese inaccessibili alla classe media borghese. A questa volontà di dominio sulla sessualità maschile si contrappose quella femminile. Jack Lo Squartatore per esempio impose il terrore nei quartieri dell'East End e la reazione per le donne fu la paura ad uscire da sole e la necessità di rivolgersi a un maschio per la protezione, ma a un maschio che fosse affidabile (un marito, un figlio) e non a un maschio qualsiasi.
Questo fu il controllo dell'uomo sulla sessualità femminile.
Un mutuo scambio per arrivare a definire una classe morigerata ma compatta nell'unione uomo-donna, altamente produttiva dal punto di vista economico.
Perché i quartieri poveri, conseguenza della precarietà del lavoro, erano e sono considerati parassitari. Non contribuiscono in alcun modo alla crescita della società, ne minano le fondamenta.
Il controllo sulla sessualità è quindi primario per definire una società solida e in crescita o comunque compatta e governabile.
Non per niente, siamo arrivati anche a definire i parametri per una famiglia gay.
Che se da un lato è un sicuro progresso, dall'altra mette paletti, definisce, ingabbia.
E' evidente che la parità uomo donna e le finalità da raggiungere devono comportare vantaggi per chi li cerca.
In realtà definiscono primariamente un bisogno della società.
Non è neppure un caso che siano alla base della politica religiosa di tutte le religioni monoteiste.
 
Ultima modifica:

brenin

Utente
Staff Forum
Ma vedi: dove sta l'importanza di stabilire chi può abbattere chi?
Bellissimo praticare le arti marziali raccontandosi che danno equilibrio disciplina, forza d'animo, rispetto ecc ecc e poi alla prima occasione veder emergere questo principio di sopraffazione per cui "potrei ma non ti uccido".
Imparo l'arte di sferrare colpi mortali per poi- bontà mia, o disciplina/autocontrollo/ quello che volete- non lo faccio?
Siccome però i sono ignorante in materia vi chiedo: cosa insegnano queste arti?
Provo a rispondere alle tue domande, forse anche dovute al mio post probabilmente poco chiaro in qualche punto.
Parto da alcune considerazioni generali :
- per quanto ho avuto modo di constatare sono veramente molto poche le scuole di arti marziali che insegnano seriamente e professionalmente il karate ;
- ed è proprio dalla partenza sbagliata che si arriva al desiderio di abbattere o sopraffarre, od utilizzare quanto appreso da istruttori non idonei nel modo più errato.
Concordo con quanto scriveva Nobody, inoltre l'essenza di ogni arte marziale è proprio quella di esaltare i valori che indicavi nel tuo post. Chi si è avvicinato ed ha perfezionato ad esempio il karate negli anni ( con un vero Maestro )solo in casi estremi e solo per autodifesa ricorre all'utilizzo dello stesso,mettendo l'avversario/aggressore in condizione di desistere ma senza procurargli ferite gravi ( nè tantomeno mortali ), ci sono diversi video, postati in rete, da telecamere di sorveglianza che dimostrano proprio l'uso limitato al minimo indispensabile dei colpi e tutti portati in zone non vitali. Altra cosa che ritengo "anomala" sono i tornei,come pure la facilità con cui certi sedicenti maestri prendono la cintura nera, come pure gli incidenti ed i colpi violenti che in competizione vengono inferti: ecco,tutto questo è l'antitesi di qualsiasi arte marziale. La risposta avrebbe dovuto essere più esaustiva, includendo lo Zen che si affianca nell'insegnamento del karate,ma ne sarebbe uscito un pistolotto enorme....e non mi sembra il caso ! :)
 

Skorpio

Utente di lunga data
...

Provo a rispondere alle tue domande, forse anche dovute al mio post probabilmente poco chiaro in qualche punto.
Parto da alcune considerazioni generali :
- per quanto ho avuto modo di constatare sono veramente molto poche le scuole di arti marziali che insegnano seriamente e professionalmente il karate ;
- ed è proprio dalla partenza sbagliata che si arriva al desiderio di abbattere o sopraffarre, od utilizzare quanto appreso da istruttori non idonei nel modo più errato.
Concordo con quanto scriveva Nobody, inoltre l'essenza di ogni arte marziale è proprio quella di esaltare i valori che indicavi nel tuo post. Chi si è avvicinato ed ha perfezionato ad esempio il karate negli anni ( con un vero Maestro )solo in casi estremi e solo per autodifesa ricorre all'utilizzo dello stesso,mettendo l'avversario/aggressore in condizione di desistere ma senza procurargli ferite gravi ( nè tantomeno mortali ), ci sono diversi video, postati in rete, da telecamere di sorveglianza che dimostrano proprio l'uso limitato al minimo indispensabile dei colpi e tutti portati in zone non vitali. Altra cosa che ritengo "anomala" sono i tornei,come pure la facilità con cui certi sedicenti maestri prendono la cintura nera, come pure gli incidenti ed i colpi violenti che in competizione vengono inferti: ecco,tutto questo è l'antitesi di qualsiasi arte marziale. La risposta avrebbe dovuto essere più esaustiva, includendo lo Zen che si affianca nell'insegnamento del karate,ma ne sarebbe uscito un pistolotto enorme....e non mi sembra il caso ! :)
secondo me.. c'è un colossale equivoco di fondo, nelle schermaglie che ho visto.....

Che le arti marziali siano una cosa bella e istruttiva io non lo nego... ma per onestà metto sullo stesso piano il calcio, o il tennis, o il nuoto, e chi più ne ha più ne metta..

a livello istruttivo intendo... se fatte nel MODO giusto... insegnano cose importantissime, se fatte nel MODO giusto

ora.. il calcio, il tennis, il Karate... qual è il MODO giusto di farli?? di praticarli??

se si va a Karate pensando di diventare invincibili guerrieri che sfilano indomiti per piazza di Spagna.. forse qualche problemino c'è....

alla stregua di chi fa calcio sentendosi Ronaldo che va a petto nudo a sfidare il mondo sotto la curva dopo un gol...

detto ciò.. ogni cosa che apprendo, una me ne perdo...

non esiste l'apprendimento "totale".. o la persona che fa un qualcosa che apprende la "totalità del sapere"..

anche di se stesso

e la totalità del rapportarsi con se stesso e con il mondo...

Io potrei far 30 anni karate, scoprendo a 80 anni che sarei stato un nuotatore formidabile...

cazzo!! mi son "perso" dietro al Karate...


E l'obiezione che immagino non sia stata compresa a fondo, circa l'arte marziale, è tutta scritta sopra...


Che se invece di andare a far Karate vado a pulire il culo a qualche anziano all'ospizio, o a far castagne nel bosco, non è che mi perdo il mondo...

Anche perché (secondo chi obietta) non è che all'atto pratico io "ho bisogno di far 30 anni Karate" per trovarmi a difendermi da quel manigoldo che a quel punto prego mi capiti un bel giorno a tiro, perché sennò ho buttato via 30 anni di fatiche....

Ma la contro obiezione è altrettanto seria... e cioè che sono arti, e in quanto tali disciplinano e insegnano a rapportarsi col mondo

Ma anche saper pulire il culo a un vecchio senza mortificarlo è un'arte.... se vogliamo..

e nella nostra società, a voler essere sinceri facendoci una battuta sopra, di arti come queste ce ne sarebbe bisogno assai... vista la vecchiaia della nostra popolazione... :)

Più che di guerrieri di Piazza di Spagna o di Via del Corso... in verità...

una cosa che mi dà.. altrettanto che mi tolgo... non ci sono spazi alternativi

Se ho imparato a Karateggiare alla grande, sarò nei guai in 2 metri d'acqua.. e magari affogo....

perché il tempo l'ho impiegato nell'apprendere il Karate...

il "tutto".................... nun se po'.... :)

e bisogna farsene una ragione...
 

brenin

Utente
Staff Forum
secondo me.. c'è un colossale equivoco di fondo, nelle schermaglie che ho visto.....

Che le arti marziali siano una cosa bella e istruttiva io non lo nego... ma per onestà metto sullo stesso piano il calcio, o il tennis, o il nuoto, e chi più ne ha più ne metta..

a livello istruttivo intendo... se fatte nel MODO giusto... insegnano cose importantissime, se fatte nel MODO giusto

ora.. il calcio, il tennis, il Karate... qual è il MODO giusto di farli?? di praticarli??

se si va a Karate pensando di diventare invincibili guerrieri che sfilano indomiti per piazza di Spagna.. forse qualche problemino c'è....

alla stregua di chi fa calcio sentendosi Ronaldo che va a petto nudo a sfidare il mondo sotto la curva dopo un gol...

detto ciò.. ogni cosa che apprendo, una me ne perdo...

non esiste l'apprendimento "totale".. o la persona che fa un qualcosa che apprende la "totalità del sapere"..

anche di se stesso

e la totalità del rapportarsi con se stesso e con il mondo...

Io potrei far 30 anni karate, scoprendo a 80 anni che sarei stato un nuotatore formidabile...

cazzo!! mi son "perso" dietro al Karate...


E l'obiezione che immagino non sia stata compresa a fondo, circa l'arte marziale, è tutta scritta sopra...


Che se invece di andare a far Karate vado a pulire il culo a qualche anziano all'ospizio, o a far castagne nel bosco, non è che mi perdo il mondo...

Anche perché (secondo chi obietta) non è che all'atto pratico io "ho bisogno di far 30 anni Karate" per trovarmi a difendermi da quel manigoldo che a quel punto prego mi capiti un bel giorno a tiro, perché sennò ho buttato via 30 anni di fatiche....

Ma la contro obiezione è altrettanto seria... e cioè che sono arti, e in quanto tali disciplinano e insegnano a rapportarsi col mondo

Ma anche saper pulire il culo a un vecchio senza mortificarlo è un'arte.... se vogliamo..

e nella nostra società, a voler essere sinceri facendoci una battuta sopra, di arti come queste ce ne sarebbe bisogno assai... vista la vecchiaia della nostra popolazione... :)

Più che di guerrieri di Piazza di Spagna o di Via del Corso... in verità...

una cosa che mi dà.. altrettanto che mi tolgo... non ci sono spazi alternativi

Se ho imparato a Karateggiare alla grande, sarò nei guai in 2 metri d'acqua.. e magari affogo....

perché il tempo l'ho impiegato nell'apprendere il Karate...

il "tutto".................... nun se po'.... :)

e bisogna farsene una ragione...
Sui primi due grassetti condivido pienamente... sul fatto che dopo 30 anni di karate scopri di essere un nuotatore formidabile la "colpa/responsabilità" è principalmente del tuo maestro...
sul fatto di assistere chi ha bisogno, beh non serve essere maestri in qualche arte o specialità, perchè quello,per me, è un atto dovuto.
 

Skorpio

Utente di lunga data
Sui primi due grassetti condivido pienamente... sul fatto che dopo 30 anni di karate scopri di essere un nuotatore formidabile la "colpa/responsabilità" è principalmente del tuo maestro...
sul fatto di assistere chi ha bisogno, beh non serve essere maestri in qualche arte o specialità, perchè quello,per me, è un atto dovuto.
hai detto bene.. (purtroppo)... per TE

ti garantisco che ci sono FIGLI che si rifiutano persino con i propri genitori una assistenza molto più blanda di cambiar pannoloni... e aspettano gli assistenti sociali..

e si lamentano pure.... perché non vengono in orario, e le manine non se le sporcano...

e magari devono preservarsele per andare a far Karate.. :) (è una battuta.. non saprei.. faccio per dire)
 
Ultima modifica:

Chiara Matraini

Senora de la Vanguardia
Provo a rispondere alle tue domande, forse anche dovute al mio post probabilmente poco chiaro in qualche punto.
Parto da alcune considerazioni generali :
- per quanto ho avuto modo di constatare sono veramente molto poche le scuole di arti marziali che insegnano seriamente e professionalmente il karate ;
- ed è proprio dalla partenza sbagliata che si arriva al desiderio di abbattere o sopraffarre, od utilizzare quanto appreso da istruttori non idonei nel modo più errato.
Concordo con quanto scriveva Nobody, inoltre l'essenza di ogni arte marziale è proprio quella di esaltare i valori che indicavi nel tuo post. Chi si è avvicinato ed ha perfezionato ad esempio il karate negli anni ( con un vero Maestro )solo in casi estremi e solo per autodifesa ricorre all'utilizzo dello stesso,mettendo l'avversario/aggressore in condizione di desistere ma senza procurargli ferite gravi ( nè tantomeno mortali ), ci sono diversi video, postati in rete, da telecamere di sorveglianza che dimostrano proprio l'uso limitato al minimo indispensabile dei colpi e tutti portati in zone non vitali. Altra cosa che ritengo "anomala" sono i tornei,come pure la facilità con cui certi sedicenti maestri prendono la cintura nera, come pure gli incidenti ed i colpi violenti che in competizione vengono inferti: ecco,tutto questo è l'antitesi di qualsiasi arte marziale. La risposta avrebbe dovuto essere più esaustiva, includendo lo Zen che si affianca nell'insegnamento del karate,ma ne sarebbe uscito un pistolotto enorme....e non mi sembra il caso ! :)

grazie della spiegazione, però non ho ancora capito cosa insegnano.
a combattere?
si tratta di una competizione? e chi vince?
 

spleen

utente ?
Se arriva uno che se ne intende un po' di pugilato, avvoia cintura x, ve gonfia come na zampogna....:D
 

Spot

utente in roaming.
La mia amica, in un momento in cui eravamo entrambe in arissima, roba da perdere la macchina nel parcheggio del supermercato e non riuscire a trovarla perchè eravamo talmente isteriche da non riuscire a smettere di ridere e non riuscivamo a ridere e cercare la macchina contemporaneamente, mi ha guardata e mi ha detto "sai, mi sa che serve fare proprio un sacco di disordine, per poter mettere ordine.".

Penso abbia un sacco ragione.

E penso servano alleati. Specchi attivi. In cui guardarsi, riconoscersi senza perdersi.

La complessità è quello che siamo. Siamo esseri complessi. E ci portiamo dietro tutti i nodi. Negare la nostra complessità, voler semplificare a tutti i costi a me sembra un andare contro natura.
Sicuramente un andare dalla parte opposta a chi si è nella propria percezione.

E per potersi conoscere, serve avvicinarsi e guardare. E accettare.

E una ode alla complessità

Ho la sensazione che tu sia molto brava a segnalare a te stessa quando sbatti il muso per terra, un po' meno disposta a riconoscerti che anche se hai sbattuto il muso ti sei rialzata e ci riprovi. E servono entrambi i riconoscimenti di sè.

I vuoti sono gli spazi in cui muoversi agevolmente per passare da un estremo all'altro, riconoscendo la smusata e contemporaneamente l'averla trasformata in apprendimento. E' lì in mezzo la spinta...:)

Questi riconoscimenti, però, non possono che venire da se stessi. Gli altri contano poco e niente.
Questa è una parte che riguarda la solitudine del proprio essere. O perlomeno per me è fondamentale che sia così.
Per sentire che è roba proprio mia. E soltanto mia. Che posso poi decidere di condividere con chi sento di riconoscere e da cui sento il desiderio di essere riconosciuta. Ma dopo di me.
(salto momentaneamente il resto del 3d)
Solo un appunto.
Sì, il sentire è complesso, ed è molto affascinante da guardare, spesso. O almeno, a me affascina molto. Ma il fare invece è semplice, molto semplice, e per il fare bisogna saper alleggerire anche il sentire.

Gli alleati sono una parte abbastanza complicata, invece (anche se, con un po' di fortuna, non impossibile). Ci vuole un po' a riconoscere alleati che lavorino accanto a te senza pretesa di sostituirti, convincerti o guidarti.
Tra amici e uomini (di famiglia nemmeno parliamo) ho sempre trovato molti protettori, più che altro.
 

Nobody

Utente di lunga data
Se arriva uno che se ne intende un po' di pugilato, avvoia cintura x, ve gonfia come na zampogna....:D
Per quello non serve un pugile, di solito basta uno cresciuto in strada, abituato a darle e soprattutto a prenderle :)
A costo di essere ripetitivo, l'aspetto migliore di un arte marziale praticata assiduamente non è menare il prossimo, ma cambiare te stesso. Anche se capisco che sia un'idea difficile da capire per chi non pratica.
 

danny

Utente di lunga data
Per quello non serve un pugile, di solito basta uno cresciuto in strada, abituato a darle e soprattutto a prenderle :)
A costo di essere ripetitivo, l'aspetto migliore di un arte marziale praticata assiduamente non è menare il prossimo, ma cambiare te stesso. Anche se capisco che sia un'idea difficile da capire per chi non pratica.
Per esperienza e memore di alcuni fatti di cui sono stato testimone, no.
Assolutamente no.
Come ogni cosa della vita, l'allenamento la fai allenandoti tutti i giorni ed è l'unico modo per migliorare le proprie capacità.
Segovia era un chitarrista autodidatta ma suonava per ore tutti i giorni.
Oltre a essere un talento naturale, ovviamente.
Puoi essere nato e cresciuto al mare e andare tutti i giorni in spiaggia, ma un nuotatore agonistico che si allena per ore tutti i giorni ti straccia, perché contrappone tecnica, resistenza, studio, allenamento.
Uno cresciuto in strada è spesso uno che le ha date come fa qualsiasi stronzo: ai più deboli.
E le ha prese dai più forti.
Il problema nasce quando quello "cresciuto in strada", ovvero un violento, si iscrive a arti marziali o a pugilato:D.
Ma, seriamente, oggi che ti puoi comprare una pistola (al mercato nero) o disporre di coltelli sicuramente più offensivi di qualsiasi mano nuda, un po' tutto il discorso che si sta facendo da pagine fa ridere.
Dai coltelli ma soprattutto dalle pistole non hai scampo.
E se uno è un violento gli basta un crick in mano e avrà la meglio su di te se tu sei a mani nude.
E se uno è violento non verrà mai da te disarmato.
Il combattimento (la difesa) a armi pari è mera illusione.
 
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Ecate

Utente di lunga data
Per esperienza e memore di alcuni fatti di cui sono stato testimone, no.
Assolutamente no.
Come ogni cosa della vita, l'allenamento la fai allenandoti tutti i giorni ed è l'unico modo per migliorare le proprie capacità.
Segovia era un chitarrista autodidatta ma suonava per ore tutti i giorni.
Oltre a essere un talento naturale, ovviamente.
Puoi essere nato e cresciuto al mare e andare tutti i giorni in spiaggia, ma un nuotatore agonistico che si allena per ore tutti i giorni ti straccia, perché contrappone tecnica, resistenza, studio, allenamento.
Uno cresciuto in strada è spesso uno che le ha date come fa qualsiasi stronzo: ai più deboli.
E le ha prese dai più forti.
Il problema nasce quando quello "cresciuto in strada", ovvero un violento, si iscrive a arti marziali o a pugilato:D.
Ma, seriamente, oggi che ti puoi comprare una pistola (al mercato nero) o disporre di coltelli sicuramente più offensivi di qualsiasi mano nuda, un po' tutto il discorso che si sta facendo da pagine fa ridere.
Dai coltelli ma soprattutto dalle pistole non hai scampo.
E se uno è un violento gli basta un crick in mano e avrà la meglio su di te se tu sei a mani nude.
E se uno è violento non verrà mai da te disarmato.
Il combattimento (la difesa) a armi pari è mera illusione.
In una riga, quello che cercavo di dire a sarastro con quattro o cinque post :D
 
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