Io invece penso che non è che in passato ci fosse tutta sta totale ignoranza, detti, proverbi, espressioni locali creavano delle forme di sapere.
Le canzoni raccontavano gli amori.
La vita più dura, i periodi di guerra, falciavano inesorabilmente chi era più fragile, o chi poteva avere momenti di fragilità, ma nel momento decisamente sbagliato.
Viviamo credendo che il presente sia il futuro, e che non possa seguire altro futuro a quello che viviamo noi. E mentre crediamo questo, diventa passato...
Io non escludo che la durata delle vita e il benessere possa aver inciso nei rapporti. Tanti dei scriventi qui, hanno genitori anziani in vita, ma basta uscire per strada per vedere quante coppie di anziani ci sono. Dunque le nuove generazioni hanno quel parametro.
Nel 1863 l’età mediana di morte non arrivava ai 50 anni, fermandosi a 49,29. Negli anni a seguire ci sono aumenti e flessioni, ma con un complessivo trend in crescita che fa registrare come età media di morte 54 anni nel 1881, quasi 60 nel 1891, 62,46 nel 1901, fino ai 71,11 del 1951. Oggi, la speranza di vita per un bambino che nasce in Italia è di 78,67 anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni da vivere (dati Istat 2007).
Ora so che al massimo si tende a tornare indietro al dopoguerra, ma la nostra formazione avviene -a livello culturale, che siano detti, proverbi, o libri- considerando molti più anni. Percui pensa a dover parlare di amore, con il limite di vita di 50 anni.
Dai racconti delle persone anziane che ho conosciuto, provenienti da più parti d'Italia, ho ricavato l'impressione che, specie in Italia, i rapporti familiari erano strutturati in modo molto diverso a seconda delle classi sociali e delle zone d'Italia, dove, oltre all'ignoranza diffusa, ad una condizione femminile disagiata, ad una diffusa ignoranza, pure la presenza della religione cattolica nell'insieme condizionavano pesantemente la formazione della famiglia.
Il controllo sociale era forte sulle donne, alimentato spesso da loro stesse (con una specie di vizioso effetto moltiplicatore), mentre gli uomini, specie di medio-alta condizione sociale godevano di una autorevolezza sproporzionata ed una indipendenza comportamentale per noi impensabile.
Per fare capire, i miei nonni maschi erano nati nell'ultimo ventennio del 1800, avevano entrambi combattuto la 1° guerra mondiale, perdendo ciascuno un fratello, ed avevano sposato donne più giovani, avendo ciascuno tre figli/e.
Quello paterno era commerciante e quello materno era imprenditore agricolo. Il primo, nato nel 1889 non credo avesse completato gli studi superiori e forse sì il secondo, nato nel 1882, ma hanno lavorato tutta la vita e non hanno mai avuto una pensione da incassare.
Per sposarsi, le donne dovevano avere una "dote", ed erano in una condizione di sostanziale sottomissione al marito. La loro condizione era determinata dal loro rapporto che instauravano con il marito e dal carattere di lui.
So che il nonno paterno era autoritario e l'ha esercitata la sua autorità sulla moglie e sui figli. Lo appresi dalla voce della mia cara nonna, quando ero solo con lei (avevo 13 anni al massimo) ed il suo fratello minore ci portava in auto per andare in chiesa a celebrare il 50° anniversario di matrimonio. Mi disse di non guardare all'apparenza di quell'anniversario gioioso, che il marito le aveva fatto passare le pene dell'inferno e si augurava che non fossi prepotente come lui con le donne da grande.
Sono parole che non si dimenticano e che ti educano per la vita.
L'altra nonna, che era insegnante della scuola materna (aveva seguito i corsi con Maria Montessori) era criticata dal parroco del paese perché leggeva i libri e le poesie di D'Annunzio. Bastava poco per passare per donne scostumate ... Ma mio nonno materno era innamorato di lei e la considerava come una principessa, ed aveva un carattere forte ma dolcissimo con consorte e figlie.