Nicola Artico responsabile del servizio per i minori.
𝐃𝐚 𝐓𝐫𝐨𝐢𝐚 𝐚𝐝 𝐀𝐟𝐫𝐚𝐠𝐨𝐥𝐚…
Una poco più che bambina uccisa in modo brutale, da un poco, solo poco più che bambino perché, 19 anni, ossia 19 ore di volo sull’aereo della vita, sono molto poche.
Una serie di omicidi che non sembra trovare tregua. Stesse dinamiche, stesse frustrazioni intollerabili, dunque la fonte della frustrazione deve morire. Non è più una persona senziente, è l’oggetto della sofferenza e, come ogni oggetto, è nel dominio di chi - quell’oggetto – pensa di tenere per le mani.
Non stupisce sapere che per una larga parte di adolescenti controllare ed avere tutte le pass word del cellulare del fidanzato/a sia normale, come normale darsi uno schiaffo.
Cosa ha smesso di funzionare? Non credo nemmeno che scomodare una vecchia categoria come il patriarcato aiuti. Ci deve essere altro, molto altro. Si devono essere rotte delle dighe, tutte insieme, quelle familiari, sociali, scolastiche, religiose. Sembra il nostro Vajont psicologico.
E mentre angosciato ascoltavo la notizia, ho già immaginato una catena di intellettuali, esperti, bravi colleghi, giornalisti che avrebbero cominciato a dire la loro. Ma ho pensato che, in realtà, forse la verità è che nessuno sa veramente cosa fare. Perché per quanto ci sia sicuramente del vero delle varie cause che si citano, tuttavia nessuna spiega fino in fondo abbastanza. Si sente così l’urgenza di intervenire, ma forse dovremmo ammettere che non abbiamo soluzioni. Non chiare, non rapide, non sicure. Tocca tollerare di convivere con molti dubbi, con armi spuntate, anche se non ci si vuole e non ci si deve arrendere. Ma forse ammettere i nostri limiti, potrebbe essere il primo passo.
Quando mi trovo in questo stato mentale, spesso cerco conforto in qualcosa di classico. Dunque di universale. E curiosamente questa vicenda mi ha riattivato un personaggio omerico tra i miei preferiti. Ettore.
Quando svariati anni fa lessi "Il gesto di Ettore" uno dei più bei saggi sulla paternità a me noti, scritto dallo psicoanalista Luigi Zoja, ero già padre ma mi trovai anche a riflettere su mio padre e sulla paternità.
Omero racconta che, prima di andare nella sua ultima battaglia, rifiutando gli inviti a trattenersi oppure a combattere da dentro le mura, mostrando dentro di sé tutto il senso del dovere, Ettore vuole salutare il figlio. Ettore si distingue da tutti gli altri grandi personaggi omerici perché è privo di quello stato d’animo che i greci chiamano hybris: tracotanza, insolenza, superbia, arroganza.
Quel sentimento che ti sprona a sfidare gli dèi, dunque le leggi divine. E cosa c’è di più divino della Legge di rispettare la vita degli altri? Cosa è più sacro della vita degli altri?
In questo senso a differenza di altri eroi come Achille, Agamennone, lo stesso Ulisse che infierisce contro Polifemo oramai inerte, Ettore è un uomo che si muove in totale assenza di tracotanza e di arroganza.
In quell'occasione vuole salutare il figlio ma, essendo con la corazza e l'elmo lo spaventa.
Per la prima volta si rende conto che la troppa consuetudine con gli adulti, con la guerra (la vita sociale del padre adulto) lo ha reso distante e lontano dall'infanzia. Che non sente più l'infanzia dentro di sé. E' allora che padre e madre sorridono, Ettore si toglie l'elmo, lo pone a terra, e può abbracciare il figlio. Risvegliato da questo piccolo incidente, il Troiano leva il figlio in alto con le braccia e con il pensiero. Questo gesto sarà per tutti i tempi il marchio del padre.
In questo atto si ricorda in modo universale che padri non si è per via biologica, ma per atto formale. Non basta aver concepito con una donna, *bisogna voler essere padri*. Alzando il figlio, il padre, indica al mondo che se ne assume pubblicamente la responsabilità.
Temo che i padri abbiamo da tempo smarrito questa grande responsabilità. Forse, gli attuali, nemmeno loro stessi sono stati “alzati” in alto dai loro. Non di rado, quando chiedo nei miei spazi clinici a dei genitori, “cosa ha voluto dire per voi due generare”? “Che significato ha per voi questa parola?” Trovo dei silenzi imbarazzati. Delle facce sorprese. Come se fosse la prima volta che questa domanda venisse posta loro. Forse i padri più in difficoltà delle madri.
L’ennesima tragedia di Afragola, ci interroga anche su questo. Chi si assume pubblicamente la Grande Responsabilità? Quali contesti sociali devono favorire la Grande Responsabilità? Come facciamo a ricostruire le premesse e le condizioni perché ciò accada? Perché non si legge più l’Iliade?