I sospetti minano la fiducia nella coppia e fanno danni....

Rosa rifiorita

Utente di lunga data
Mah, che dire, tralascio il comportamento del terzo assolutamente sgradevole, lui invece farsi problemi esistenziali per una storia che manco lo riguarda perché successa prima, ci credo che la moglie si è risentita, ha preferito dare ascolto ad uno sconosciuto piuttosto che alla persona che gli è accanto da tanti anni e di cui conosce la serietà.
Ha una insicurezza di fondo, su questo dovrebbe focalizzare le sue attenzioni, perché se le porta avanti senza risolverle, il rischiò di una frattura nella coppia è concreto.
 

Etta

Utente di lunga data
Più che altro non ha senso perché ancora non stavano insieme al tempo. Se tutti dovessimo pensare al passato dei nostri consorti ci saremmo già estinti allora.
 

Vera

Supermod disturbante
Staff Forum
Ragazzi se James Joyce dei poveri ha finito con il racconto, faccio di organizzare il testo a chat GPT e me lo leggo in forma umana. A che punto siamo?
Il racconto è finito. C'è anche la morale.
 

Arcistufo

Papero Talvolta Posseduto
Avevo sempre pensato che la frattura vera, nelle relazioni, non fosse il corpo che sbaglia, ma la fiducia che si incrina. Ci sono matrimoni che si spengono per fatti, altri che si inclinano per idee: il mio, allora, cominciò a vacillare per una sfumatura, per una parola infilata in una riga come un granello di sabbia in un ingranaggio. Non venivo da un’adolescenza sentimentale indenne: una storia breve, anni prima del matrimonio, mi aveva lasciato addosso una gelosia retrospettiva, quel bisogno impaziente di raddrizzare il passato con la lente del presente. Eppure la nostra vita insieme—vent’anni, tre figli, una casa ordinata di abitudini e complicità—mi aveva guarito in gran parte: mia moglie non aveva mai dato adito a dubbi, il nostro patto era la schiettezza. Finché, in un pomeriggio di riordino, non spuntò quel block notes grande, i fogli con le date allineate, le ore segnate, frasi brevi come lampi: vecchi SMS trascritti a vent’anni, un diario più d’eco che di racconto.

All’inizio lessi per pura curiosità, poi la pudicizia mi tirò indietro: glielo mostrai. Lei sorrise, disse che potevo leggerli, anche insieme. Sfogliai con misura. Gli scambi con un ex: confidenze, dichiarazioni pulite, nessun sottinteso. Altre pagine con amiche. E poi una manciata di messaggi con un ragazzo di una conoscenza brevissima—venti giorni appena—parole leggere, un flirt appena accennato, finché, verso la fine, la prima piega: un bacio condiviso e, subito dopo, il messaggio di lui, più fitto, impastato del desiderio che precede ogni progetto: “Vorrei iniziare una storia vera… mi sto innamorando… visto anche quello che c’è stato tra noi… le passeggiate in riva al mare…”. Mi fermai su quell’inciso: “quello che c’è stato tra noi”. In quella formula vaga la mia mente infilò un significato concreto, come se il non detto fosse confessione e non reticenza. Era il vecchio riflesso che risaliva, la gelosia rivolta all’indietro, travestita da zelo di verità.

Ne parlammo. Lei, lucida, mi disse che quella frequentazione era stata poca cosa: qualche uscita in gruppo, un paio da soli, le effusioni acerbe che appartengono a certi inizi senza seguito; inoltre quel ragazzo si appoggiava a lei con i propri drammi familiari, appesantendo tutto, e in lei non era scattata la decisione di cominciare davvero. Io chiesi più volte, con il tono mansueto di chi chiede e insieme verifica. Lei fu ferma: solo baci. Nulla che si confondesse con l’uso del corpo, nulla di deliberato o clandestino. In verità, non avrebbe avuto motivo di tacere: con noi la regola era dirci tutto. Avrei dovuto accontentarmi—accettare il limite della parola detta una volta, non pretendere che la verità venisse certificata dal sovrappiù di dettagli—ma restai incagliato nella frase del ragazzo, come un gancio sotto pelle. Fu un inciampo senza rumore, eppure da lì prese corpo il tarlo.

Passarono i mesi. La vita riprese il passo normale, ma ogni tanto il pensiero tornava. Fu allora che un caso banale trasformò il dubbio in ossessione: un’amica di mia moglie, via social, incappò in un pavone qualsiasi che, per farsi bello, raccontava di una “avventura focosa” avuta anni prima proprio con lei. Il racconto scendeva in particolari volgari, da spogliatoio. Mia moglie venne da me di scatto, ferita e insieme stupita: voleva denunciarlo, e a ragione. Io, nella mia sobrietà un po’ pavida, la dissuasi: “È stupidità, non dargli peso”. Ma nel segreto del cervello, quella vanteria fece presa dove il vecchio messaggio aveva già scavato. Procurai gli screenshot attraverso l’amica: lessi. C’erano imprecisioni palesi—l’età sbagliata, descrizioni fisiche sfasate, tempi confusi—come a volersi schermare con l’inverosimile. Eppure l’oscenità del tono mi avvelenava lo stesso: la menzogna, proprio perché sbracata, mi sembrava avere il coraggio spavaldo di chi non teme smentite. Mostrai tutto a mia moglie; lei, furiosa per il mio aggiramento e insieme decisa, gli scrisse un messaggio duro, netto. Lui rispose negando di conoscerla. La cosa, in apparenza, si esaurì lì.

Non per me. Da quel momento, ogni tre o quattro giorni, un pensiero cadeva come una goccia sulla pietra: e se? Ricominciavo con domande generiche, poi mirate, poi cavillose. Lei rispondeva, dapprima paziente, poi offesa: “Dovresti preoccuparti di quello che penso io di te, non di lui”. Aveva ragione: non stavo più cercando la verità, cercavo conferme alla mia paura. La memoria, dopo vent’anni, non consegna mappe precise dei luoghi—“Non ricordo se fosse quel lungomare o quell’altro”—ma consegna l’essenziale: “Solo baci.” Io, invece, scambiavo l’assenza del particolare per una prova contro di lei, come se il passato dovesse consegnare scontrini. Così, a ogni risposta, una calma breve; e poi di nuovo il pensiero ritornava, più magro e più acuminato. E con esso cresceva una sproporzione: il niente di un vecchio flirt montato a caso giudiziario, l’ombra d’uno spaccone eretta a testimone, e, di contro, la donna accanto a me che si logorava non per ciò che era stato o non era stato, ma per la mia ostinazione a non crederle.
 

ParmaLetale

Utente cornasubente per diritto divino
Avevo sempre pensato che la frattura vera, nelle relazioni, non fosse il corpo che sbaglia, ma la fiducia che si incrina. Ci sono matrimoni che si spengono per fatti, altri che si inclinano per idee: il mio, allora, cominciò a vacillare per una sfumatura, per una parola infilata in una riga come un granello di sabbia in un ingranaggio. Non venivo da un’adolescenza sentimentale indenne: una storia breve, anni prima del matrimonio, mi aveva lasciato addosso una gelosia retrospettiva, quel bisogno impaziente di raddrizzare il passato con la lente del presente. Eppure la nostra vita insieme—vent’anni, tre figli, una casa ordinata di abitudini e complicità—mi aveva guarito in gran parte: mia moglie non aveva mai dato adito a dubbi, il nostro patto era la schiettezza. Finché, in un pomeriggio di riordino, non spuntò quel block notes grande, i fogli con le date allineate, le ore segnate, frasi brevi come lampi: vecchi SMS trascritti a vent’anni, un diario più d’eco che di racconto.

All’inizio lessi per pura curiosità, poi la pudicizia mi tirò indietro: glielo mostrai. Lei sorrise, disse che potevo leggerli, anche insieme. Sfogliai con misura. Gli scambi con un ex: confidenze, dichiarazioni pulite, nessun sottinteso. Altre pagine con amiche. E poi una manciata di messaggi con un ragazzo di una conoscenza brevissima—venti giorni appena—parole leggere, un flirt appena accennato, finché, verso la fine, la prima piega: un bacio condiviso e, subito dopo, il messaggio di lui, più fitto, impastato del desiderio che precede ogni progetto: “Vorrei iniziare una storia vera… mi sto innamorando… visto anche quello che c’è stato tra noi… le passeggiate in riva al mare…”. Mi fermai su quell’inciso: “quello che c’è stato tra noi”. In quella formula vaga la mia mente infilò un significato concreto, come se il non detto fosse confessione e non reticenza. Era il vecchio riflesso che risaliva, la gelosia rivolta all’indietro, travestita da zelo di verità.

Ne parlammo. Lei, lucida, mi disse che quella frequentazione era stata poca cosa: qualche uscita in gruppo, un paio da soli, le effusioni acerbe che appartengono a certi inizi senza seguito; inoltre quel ragazzo si appoggiava a lei con i propri drammi familiari, appesantendo tutto, e in lei non era scattata la decisione di cominciare davvero. Io chiesi più volte, con il tono mansueto di chi chiede e insieme verifica. Lei fu ferma: solo baci. Nulla che si confondesse con l’uso del corpo, nulla di deliberato o clandestino. In verità, non avrebbe avuto motivo di tacere: con noi la regola era dirci tutto. Avrei dovuto accontentarmi—accettare il limite della parola detta una volta, non pretendere che la verità venisse certificata dal sovrappiù di dettagli—ma restai incagliato nella frase del ragazzo, come un gancio sotto pelle. Fu un inciampo senza rumore, eppure da lì prese corpo il tarlo.

Passarono i mesi. La vita riprese il passo normale, ma ogni tanto il pensiero tornava. Fu allora che un caso banale trasformò il dubbio in ossessione: un’amica di mia moglie, via social, incappò in un pavone qualsiasi che, per farsi bello, raccontava di una “avventura focosa” avuta anni prima proprio con lei. Il racconto scendeva in particolari volgari, da spogliatoio. Mia moglie venne da me di scatto, ferita e insieme stupita: voleva denunciarlo, e a ragione. Io, nella mia sobrietà un po’ pavida, la dissuasi: “È stupidità, non dargli peso”. Ma nel segreto del cervello, quella vanteria fece presa dove il vecchio messaggio aveva già scavato. Procurai gli screenshot attraverso l’amica: lessi. C’erano imprecisioni palesi—l’età sbagliata, descrizioni fisiche sfasate, tempi confusi—come a volersi schermare con l’inverosimile. Eppure l’oscenità del tono mi avvelenava lo stesso: la menzogna, proprio perché sbracata, mi sembrava avere il coraggio spavaldo di chi non teme smentite. Mostrai tutto a mia moglie; lei, furiosa per il mio aggiramento e insieme decisa, gli scrisse un messaggio duro, netto. Lui rispose negando di conoscerla. La cosa, in apparenza, si esaurì lì.

Non per me. Da quel momento, ogni tre o quattro giorni, un pensiero cadeva come una goccia sulla pietra: e se? Ricominciavo con domande generiche, poi mirate, poi cavillose. Lei rispondeva, dapprima paziente, poi offesa: “Dovresti preoccuparti di quello che penso io di te, non di lui”. Aveva ragione: non stavo più cercando la verità, cercavo conferme alla mia paura. La memoria, dopo vent’anni, non consegna mappe precise dei luoghi—“Non ricordo se fosse quel lungomare o quell’altro”—ma consegna l’essenziale: “Solo baci.” Io, invece, scambiavo l’assenza del particolare per una prova contro di lei, come se il passato dovesse consegnare scontrini. Così, a ogni risposta, una calma breve; e poi di nuovo il pensiero ritornava, più magro e più acuminato. E con esso cresceva una sproporzione: il niente di un vecchio flirt montato a caso giudiziario, l’ombra d’uno spaccone eretta a testimone, e, di contro, la donna accanto a me che si logorava non per ciò che era stato o non era stato, ma per la mia ostinazione a non crederle.
A me ieri ha riassunto così:

1. Il punto di partenza
Un giorno, mentre riordinava dei cassetti, Bentley trova vecchi appunti o lettere della moglie, risalenti a quando non stavano ancora insieme.
In quei fogli c’erano frasi amorose, riferimenti a un ex, ricordi intimi, cose del tutto normali ma che lui non conosceva.

2. La scintilla della gelosia retroattiva
Quel ritrovamento scatena in lui una forma di gelosia “al passato”:
inizia a chiedersi “com’era lei con quell’altro?”, “mi avrà mai detto la verità?”, “mi ha amato di più di quanto ami me?”.
Non è una gelosia per un rivale reale, ma per un fantasma del passato.

3. L’ossessione cresce
Comincia a fare domande sempre più insistenti alla moglie, a scavare nei ricordi, a controllare o confrontare ciò che lei racconta.
Lei inizialmente risponde, poi si irrita e infine si chiude, perché si sente messa sotto processo per qualcosa che non ha fatto.
Più lei si difende, più lui si convince che “c’è qualcosa che non torna”.
Nasce così un circolo vizioso: il bisogno di sapere distrugge la fiducia che vorrebbe proteggere.

4. La crisi e la consapevolezza
Alla fine, lei si arrabbia e gli dice che non ce la fa più a essere giudicata per un passato innocente.
Lui si rende conto — tardi — che la sua insicurezza ha avvelenato il rapporto e ha ferito una persona che non aveva colpe.
Da quel momento capisce che il vero problema non erano gli appunti o l’ex, ma il suo bisogno patologico di controllo e rassicurazione.

5. L’insegnamento finale
Il messaggio che lascia al forum è: “La fiducia è tutto. Non rovinate un amore per colpa del vostro passato o di quello dell’altro.”
È la classica parabola della gelosia retroattiva: un piccolo evento (un ricordo, un oggetto, un nome) scatena un dolore sproporzionato perché tocca la propria autostima e il timore di “non essere abbastanza”.
 

Arcistufo

Papero Talvolta Posseduto
A me ieri ha riassunto così:

1. Il punto di partenza
Un giorno, mentre riordinava dei cassetti, Bentley trova vecchi appunti o lettere della moglie, risalenti a quando non stavano ancora insieme.
In quei fogli c’erano frasi amorose, riferimenti a un ex, ricordi intimi, cose del tutto normali ma che lui non conosceva.

2. La scintilla della gelosia retroattiva
Quel ritrovamento scatena in lui una forma di gelosia “al passato”:
inizia a chiedersi “com’era lei con quell’altro?”, “mi avrà mai detto la verità?”, “mi ha amato di più di quanto ami me?”.
Non è una gelosia per un rivale reale, ma per un fantasma del passato.

3. L’ossessione cresce
Comincia a fare domande sempre più insistenti alla moglie, a scavare nei ricordi, a controllare o confrontare ciò che lei racconta.
Lei inizialmente risponde, poi si irrita e infine si chiude, perché si sente messa sotto processo per qualcosa che non ha fatto.
Più lei si difende, più lui si convince che “c’è qualcosa che non torna”.
Nasce così un circolo vizioso: il bisogno di sapere distrugge la fiducia che vorrebbe proteggere.

4. La crisi e la consapevolezza
Alla fine, lei si arrabbia e gli dice che non ce la fa più a essere giudicata per un passato innocente.
Lui si rende conto — tardi — che la sua insicurezza ha avvelenato il rapporto e ha ferito una persona che non aveva colpe.
Da quel momento capisce che il vero problema non erano gli appunti o l’ex, ma il suo bisogno patologico di controllo e rassicurazione.

5. L’insegnamento finale
Il messaggio che lascia al forum è: “La fiducia è tutto. Non rovinate un amore per colpa del vostro passato o di quello dell’altro.”
È la classica parabola della gelosia retroattiva: un piccolo evento (un ricordo, un oggetto, un nome) scatena un dolore sproporzionato perché tocca la propria autostima e il timore di “non essere abbastanza”.
Hai la versione gratis vero?
 

Pincopallino

Utente di lunga data
La vicenda di fatto è conclusa, ma cosa rimane?
Mia moglie è rimasta molto delusa, in parte offesa, perché dice che le ho dimostrato di non crederle e di nutrire dubbi dopo più di dieci anni insieme, e che seppure fosse avvenuto qualcosa di più profondo io cmq non avrei avuto il diritto di criticarla perchè non ci conoscevamo, anche perchè sia lei che io, prima di conoscerci, avevamo avuto altre storie, e quindi rapporti con altre persone, per cui ero anche stato molto stupido. Sottolinea che l'ultimo messaggio del tizio, quello dove si scusava nello specifico, era inutile perché sapeva cosa NON era avvenuto tra loro. Se lo specificava, era solo perché voleva che io lo leggessi, e non certo lei.
Lei è rimasta offesa dalla vicenda e me lo ripete spesso. Quando le faccio notare che lui ha scritto cose volgari, mi risponde che di lui non le importa nulla. Il fatto che io, nonostante le sue risposte e spiegazioni su fatti e periodi in cui neanche esistevo nella sua vita, non le abbia creduto, l'ha ferita.
La vicenda mi ha molto segnato. Amo mia moglie alla follia e la stimo come persona, ma il mio carattere sospettoso e la mia mente maliziosa, a causa del mio vissuto in parte superficiale, mi hanno portato a ricostruire in modo contorto e distorto una vicenda che mia moglie mi aveva già raccontato e alla quale io non avevo voluto credere.
Riporto la mia storia affinché sia d'esperienza e d'insegnamento: la fiducia in un rapporto è importante. Ferire il partner è molto facile e può avvenire senza accorgersene se uno è molto ripiegato su sé stesso, sul suo vissuto e sulle proprie convinzioni. Il rischio grosso è quello di rovinare anche il più bel rapporto duraturo negli anni.
È passato più di un anno, mia moglie e io abbiamo ritrovato una completa armonia, ma questa vicenda mi ha segnato tanto.
Scusate la lunghezza, spero che, soprattutto le donne del forum, evitiate di essere troppo cattive nei giudizi verso di me...
Dove scrivi che l’ami alla follia, dici una cosa molto vera, e’ da curare questa follia perché non c’entra un cazzo con amarla.
 

Arcistufo

Papero Talvolta Posseduto
Io gli ho dato questo come prompt:
Ciao GPT vorrei che mi rimettessi in ordine un testo di un artista minore appartenente alla scuola di James Joyce che ha prodotto un brutto racconto a partita dei frammenti di conversazione. Vorrei se possibile che mi ricostruissi i fatti e le impressioni del protagonista con un minimo di esattezza enfatizzando i passaggi fondamentali ma senza riassumere troppo il testo per arrivare ad un elaborato della lunghezza di circa 1500 parole divise in tre post senza meta testo. Se hai capito le istruzioni ti incollo immediatamente il testo da analizzare e poi puoi partire subito col blocco 1 di 3. Confermami che hai capito e incollo il testo
 
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