Basterebbe il neretto, ma visto che l'hai ripetuto con convinzione, è opportuno sottolinearlo.
Per tirar fuori un feto dopo il sesto mese c'è essenzialmente un unico modo: indurre un parto. Che sia esso cesareo o no. Considerato che una nascita dopo l'ottavo mese è considerata a termine, che quello che nasce è in grado di respirare autonomamente e se viene nutrito sopravviverà tranquillamente, mi piacerebbe capire alcune cose.
1) Se la donna decide (legittimamente secondo te) di buttarlo via, di chi è l'onere?
2) Lo si butta via mentre ancora respira o ci si accerta che smetta?
3) Nel secondo caso, a chi tocca accertarsi che smetta di respirare? Alla donna o al dottore? E come?
4) Sempre nel secondo caso, considerato che, secondo la tua definizione, una volta nato per te è un bambino con tanto di codice fiscale, che definizione dai tu all'indotta cessazione della respirazione di un bambino?
5) Se invece non ci si accerta che smetta di respirare, come dovrebbe funzionare secondo te l'operazione di "buttare via un bambino che respira"? (NB: "bambino" secondo la tua stessa definizione)
6) Come si conciliano i diritti di ciò che tu definisci un bambino con il diritto della madre di buttarlo via in totale autonomia?
Sei stato molto preciso e dettagliato finora: mi garberebbe avere risposte altrettanto precise e dettagliate punto per punto.
Questa poi... cioè... definiamo degli argomenti sui quali solo alcune classi di persone hanno diritto di esprimersi? Figo!
Ma anche no, grazie.
Tu fai un po' il cazzo che ti pare, ma nessuno si permette di dirmi su cosa ho il diritto di esprimermi o meno!
Chi ci prova si becca una pedata (virtuale) sulle gengive, a meno che per qualche motivo mio decida di mettermela in tasca. E non è questo il caso.
Pertanto, visto che secondo te non dovrei, esprimo la mia opinione.
1) Fino alla fase embrionale (quindi diciamo circa 3 mesi) ogni donna dovrebbe aver diritto di scegliere cosa fare in totale autonomia; sono d'accordo su un colloquio psicologico ma non sul massacro psicologico che viene attuato in Italia.
2) Dopo il quarto mese, solo aborti terapeutici (lì non si discute: se la vita della madre è a rischio, la vita della madre ha la precedenza sulla vita del feto). Posso contemplare casi specialissimi di ripensamento (gravidanze da stupro o incesto).
3) Niente obiezione di coscienza.
Tutti e tre i punti nascono da considerazioni pratiche, perché invece da un punto di vista etico un aborto non terapeutico è difficilmente giustificabile.
In particolare:
1) Visto che ci sono sempre state e sempre ci saranno donne che decidono di abortire, è necessario permettere loro di farlo in sicurezza.
2) Oltre un certo momento, oltre a diventare eticamente davvero difficile da giustificare, diventa lecito il sospetto del traffico degli organi, e bisogna evitare che la disperazione spinga le donne a fare ciò.
3) Innanzi tutto, per evitare l'ignominia di quelli che si dichiarano obiettori per comodo o, peggio, per dirottare le donne verso la sanità privata! In secondo luogo, per "deresponsabilizzare moralmente" i medici che, per posizione propria o indotta da altri, potrebbero avere delle remore. Per questi motivi, non prevedere neanche una "quota" di obiettori. Nessuno. Chi non è d'accordo, va a fare l'andrologo (giusto per restare in tema...).
In breve, una legge molto simile a quella che c'è in Italia, però (molto) meglio applicata.