No, non è la parola che mi sta sul cazzo.
E' che in questo contesto non ha senso, come non ha senso il tenerci al proprio lavoro.
E lo dico a ragion veduta. Questa argomentazione, l'amore per l'utenza, è usata per costruire impalcature e ricatti morali che tengono persone con bisogni personali a svolgere ruoli per cui non sono preparati e per cui non hanno competenze (amo i bambini, faccio la maestra dell'asilo, amo i disabili faccio l'educatrice coi disabili, piuttosto che con gli psichiatrici etc etc) sottopagandoli e sostenendo un sistema che si basa sulla manovalanza a basso costo per mantenere in attivo i bilanci.
Oltre che sostenendo un sistema di appalti al minor offerente e un bel giro di soldini che entrano e escono per chi invece coi soldi sa fare le magicate.
Insegnare, come educare è una questione di tecnica e metodo. Studio costante. Rete. Confronto.
Non di improvvisazione. Non di sentire. Soprattutto se improvvisazione e sentire non sono educati e formati.
Anche la tanto decantata empatia, se non allenata ed educata e formata è un bel problema in questo genere di lavori.
Il lavoro è uno strumento. Innanzitutto.
Individuale e sociale.
Quello che è evidente in ambito sociale è la disgregazione della comunicazione fra individuale e sociale.
Ed è altrettanto evidente come la progettualità di sistema sia decaduta, sparendo e finendo in capo al singolo che ovviamente non può progettare un sistema ampio come il sociale ma progetta il proprio sistema individuale.
E i progetti individuali divengono non-sense in una buco di assenza di progettualità di sistema.
La scuola, come istituzione, sta parando il colpo con la forma, praticamente ormai vuota di sostanza. Reggerà forse ancora per un decennio o due.
Ecco perchè ho sottolineato la questione amore che nei lavori sociali è una bella copertina, che non può essere utilizzata in altri lavori.
Nel sociale si parla di bambini, anziani, disabili, psichiatrici, tossici...senza la struttura dell'amore o del tenerci all'ideale, bisognerebbe iniziare a parlare seriamente di competenze.
Ma diciamo che non è un discorso che piace.
A livello istituzionale.
Mi spiego?
Quanto al tempo delle scimmie...eh...la mia sensazione è che il tempo delle scimmie venga pagato e profumatamente. Ma pur di non dire che è tempo di scimmie ci si inventano un miliardo di coperture per dare un senso ad un fare che è non fare in termini di risultati. E qui si aprirebbe la questione di una valutazione seria.
E' un po' il solito discorso ipocrita per cui facciamo finta che vada tutto bene, copriamo i buchi e tiriamo avanti facendo finta di cambiar tutto senza cambiare niente.
A me piacerebbe un po' di onesta intellettuale in più.
E penso che sarebbe economicamente più vantaggioso pagare anche per starsene a casa a non fare danni (e lo dico perchè senza soldi oggi non si vive...) pagando meglio chi SA e SA FARE.
O che mi sono spiegato male, (probabile) o che diciamo le stesse cose in modi non comprensibili reciprocamente.
Riprovo.
Nel nostro essere sostanzialmente
scimmie emotive (cito te) ritengo che sia indispensabile per fare bene qualsiasi attività, lavoro compreso, ricavarne una gratificazione. (Non solo economica).
L'amore per gli scolari o i pazienti o i disabili, in questo centra un fico secco. C'entra la gratificazione personale nell' eseguire con competenza questo. Perciò è un fatto egoistico, che non dipende dagli altri, dipende da cosa ci si aspetti da quello che si fa. E' lo stupidissimo sistema di auto premi e punizioni che guida ogni nostra attività, da quelle impegnative a quelle ludiche.
Che sia stato strumentalizzato (cosa anche per me evidente) non inficia il suo funzionamento di fondo.
L'acquisizione della competenza non è fredda, non è asettica, è risultato di auto motivazione, di impegno e crescita individuale.
Per insegnare la matematica non basta esserci laureati, serve quella preparazione e quella motivazione personale che te lo renda gratificante. (Cosa che gli studenti capiscono un secondo dopo che hai aperto bocca).
Per quanto mi riguarda, dopo decenni che lavoro, ne ho ancora le palle piene del pressapochismo, del menefreghismo, della colpevole sciatteria, dell' incapacità di imparare qualsivoglia, di far tesoro degli errori, di ragionare, di impegnarsi, che spesso mi circonda.
E lavoro nel settore privato, da professionista, dove poco o niente viene perdonato o lasciato passare senza conseguenze.
Nella mia brevissima esperienza nel pubblico (risalente a decenni fa) constatai che era peggio, molto peggio.
Sono contrario a pagare le persone perchè stiano a casa a non fare danni. Non ritengo giusto avvallare e parificare il comportamento di chi si impegna da chi non lo fa. Io sono tutt'altro e penso tutt'altro.
Pagare è attribuire un valore alle cose, non solo un costo (sociale o individuale). Che ciascuno si assuma le sue, di responsabilità, che già socialmente stiamo andando a puttane per la progressiva sottrazione di risorse allo stato sociale.
Lo stato sociale del resto ha nemici interni ed esterni, per come la penso io, dall'esterno i potentati economici che spingono per la privatizzazione, dall'interno quella pletora di persone, come l'insegnante di cui si è parlato, che lavora al progressivo indebolimento dell'immagine del pubblico nella società stessa.