Ho fatto risuonare un pò le tue parole. Il punto (cioè, uno dei punti) è mettere in pratica ciò che scrivi. Che trovo sacrosanto, specialmente nelle parti che ho evidenziato. Su un grassetto in particolare mi voglio soffermare: è quello della accettazione di sé. Il problema è che per come sono TENDO a lasciare spazio all'altro. E' un mio problema, una mia caratteristica. Fatico a mettere barriere tra il mio sé e l'altro (questo pure quelli bravi me lo hanno periziato, e al di fuori del "contesto", non sereno, in cui è stata fatta questa perizia, mi ha lasciato molto a che riflettere). Quindi nella pratica che succede? Non riuscendo a mettere molte "barriere", finisce che mi arrabbio. Ho capito (almeno lo interpreto un pò così) ciò che dici tu sul fatto di arrivare ad accettare se stessi ATTRAVERSO lo sguardo di se stessi (e non degli altri) e con quello sguardo guardare chi non ci accetta depotenziando (a me viene da dire ridimensionando, anzi meglio confinando nella dimensione dell'altro) quella che è la dinamica. Il problema è che proprio "di struttura" sono "permeabile". Di qui che alle volte è inevitabile che non riesca a non arrabbiarmi. E se mi arrabbio, il potere all'altro (sto pensando a mia madre in questo caso) lo lascio eccome. Non so.... Il mio obiettivo francamente sarebbe (ed è, anche) quello di metterci pure una distanza fisica. Mi stai fuori dalle balle e ci si sente il meno possibile, proprio semplicisticamente. Devo dire che da quando è così mi sento alleggerita. E' quasi paradossale eh, che arrivi a dirlo in un periodo come questo. Ma più lontano (anche fisicamente) le sto (e sto ad entrambi, comunque) meglio sono stata e sto. Probabilmente non ho ancora la.... "forza"?

per riuscire a guardarli dall'alto, come tanti dicono di aver osservato se stessi nelle esperienze di pre-morte

Mi hai dato quell'immagine

.
Il resto attiene certamente al fatto che siccome sin da bambina le "emozioni" non contemplate nel loro vocabolario per così dire "ufficiale", o comunque non condivise, o non attese da loro stessi, eran "stronzate" (minimo), beh.... tirarle fuori è, in generale, una gran bella fatica
Grazie ancora
P.S. Stamattina, mentre mi trovavo a iniziare l'ennesima quarantena fiduciaria con mio figlio (evviva

) un gatto.... l'hai mandato a me

. Gironzola fuori dalla mia casa, è dolcissimo
Prego!
la rabbia la capisco bene
Serve proprio a mantenere vive le credenze riguardo la necessità di barriere e attiva la motivazione alla barriera.
E' funzionale, in modo disfunzionale, a mantenere il sistema in uno stato conosciuto.
Apparentemente le barriere sembrano proteggere, in realtà intasano il sistema.
Non solo non impediscono l'accesso all'altro (lo stai sperimentando bene con il tipo che ti affligge nei pensieri) ma anzi, rafforzano la sua presenza perchè ne impediscono l'uscita.
Non siamo sistemi chiusi.
Siamo sistemi di scambio naturali.
Ad ogni livello. Dall'alimentazione (mangi e caghi...se non dovesse accadere, moriresti in preda a orribili dolori

) all'emotività.
L'accettazione è uno dei filtri che permette di non intasare il sistema.
E come tutti i filtri necessita manutenzione e pure aggiornamenti in feedback con i sistemi esterni e con il contesto.
Le emozioni sono un altro filtro.
fondamentale.
Coartarle, che è un po' la richiesta che ti è stata fatta e l'aspettativa che ricade su di te dal tuo sistema originario, blocca il sistema e ti mantiene ferma.
Ecco perchè rompo le balle sull'esprimerle.
anche pagando qualche figura di merda...che è un'altra bella scossa di pulizia di sistema!
La tua permeabilità all'altro non è niente di strano.
Tutti siamo permeabili all'altro.
Salvo patologie psichiatriche, ossia disfunzionamenti di sistema funzionali a mantenere chiuso e quindi stabile il sistema.
Il punto è che non hai mai imparato a gestire
i tuoi filtri. E, mi sembra leggendoti, ti muovi ancora per differenziazione...anzichè per individuazione.
E non solo, li giudichi e secondo parametri che non sono funzionali a te ma che rispondono ad altro. In cui non mi addentro, non è la sede.
E infine provi a gestirli secondo le indicazioni (antiche) di chi ha filtri diversi dai tuoi.
Le norme sociali e famigliari, sono semplificazioni. Generalizzanti.
Sono riferimenti.
Non regole interne.
Sono un riferimento. Utile mentre si impara a camminare.
Poi però serve declinarle secondo sè. In fedeltà. E lasciarle andare. Migliorarle anche usando l'esperienza di altri. (genitori inclusi).
Quell'onore e quella fierezza di cui parlo...da cui discende la tenerezza verso sè e quindi verso gli altri.
Parte della tua rabbia probabilmente deriva dal non riuscire in quella declinazione riconoscendotici dentro serenamente, probabilmente.
Ma anche la rabbia non è necessariamente un male. E' la strada maestra per le proprie fragilità.
E per il dolore. E' la coperta del dolore inaffrontato.
A volte inaffrontabile.
per quanto sia poco consolante il mal comune mezzo gaudio, la mia rabbia mi accompagna anche oggi che sono pacificata per lo più.
ci sono buchi in me che restano tali e quando mi ci scontro inaspettatamente mi fanno incazzare. Poi ascolto, e non è rabbia, ma dolore che si riattiva.
Ci sono dolori che semplicemente non passano mai.
Si depotenziano. Si conoscono e riconoscono.
Ma non passano. Sono lì e sono parte costituente di sè.
E rendono autentico quel sè. Fra l'altro.
E' il segno distintivo della Vita. Vissuta.
cosa se ne fa...quella è responsabilità verso la cura di sè.
Guardare dall'alto...è espropriarsi della propria vita.
Lo sconsiglio

Le disfunzioni dei tuoi genitori sono, a tua scelta, una eredità in perdita o in guadagno.
Personalmente ho scelto il guadagno.
E' una di quelle eredità che non si possono sfuggire.
In te vivono tua madre e tuo padre, in te vivono i loro assiomi relazionali, in te vivono i loro pregi e i loro difetti.
La scelta è sfuggire (differenziandoti) oppure accogliere e usare per il tuo miglioramento (individuarti).