Che il sistema scolastico, nonostante il lavoro sull'inclusività, vada riguardato, sono d'accordo. Sulla meritocrazia anche, ma c'è un ma.
Come si può parlare di meritocrazia se metti una retta di €10000 l'anno? Ci sono famiglie che hanno difficoltà a comprare i libri di testo o materiale scolastico. Si tornerebbe agli anni in cui i bambini crescevano per strada invece che andare a scuola.
3 ore di sport al giorno? Sicuramente lo sport è importante. Fin da piccoli fare un'attività sportiva, almeno una volta a settimana, fa benissimo. Soprattutto oggigiorno che i bambini ed i ragazzi passano troppo tempo davanti alla TV o un tablet.
Tre ore al giorno però sono esagerate.
Devono diventare tutte Paola Egonu o Michael Phelps?
Allora, tesoro: vado con ordine perché mi sembra non ci siamo capiti.
Non voglio la scuola per tutti. E men che meno i miei investitori.
Non mi interessa distribuire diplomi come volantini ai semafori.
Vogliamo una fabbrica di eccellenze.
Un posto dove, ricco o povero, se vali emergi, e se non vali affondi e ti levi di torno dalla vita di chi può davvero fare qualcosa.
È una questione di igiene. Mentale, prima di tutto.
Diecimila euro l’anno non sono niente.
Una cifra che fa impressione solo in Italia.
Ovunque la scuola non è pubblica, cioè il 70% degli 11 miliardi che siamo, esiste la contribuzione privata, aziendale, comunitaria.
Ci sono economie tipo il kaz dove diecimila euro li copre direttamente la società dove lavori, perché hanno capito che investire sul cervello dei figli è meno costoso che dover assumere idioti domani.
E i diecimila di chi può pagare coprono il venti per cento di borse di studio per chi non può. Nessuna scuola ha il 20% di posti riservati ai non abbienti.
Che poi è il vero correttivo morale: premiare la fame, la voglia, la scintilla.
Perché un ragazzo con la fame negli occhi vale più di uno con il portafogli pieno e la testa vuota. I miei investitori sono ricchi sfondati ma lo sanno meglio di me, italiano cresciuto come un principino
Le tre ore di sport al giorno?
Una ricreazione un po’ più intelligente.
Un’ora e mezza a prendere a schiaffi un pallone prima di pranzo, due ore di piscina la sera. E fanno pure il riposino.
E li restituisci alle famiglie lavati, stirati e sfiniti, come pacchi perfettamente piegati.
La civiltà è anche questo: arrivare a casa già stanco, così non rompi l’anima a nessuno.
E comunque sì, il mio esperimento di darwinismo scolastico si regge tutto sull’idea di fondo che la selezione non è una cattiveria: è un motore.
Se resti indietro, qualcun altro prenderà il tuo posto.
E l’unica risposta decente è correre. Sempre.
Dove ho fatto io elementari e medie io, all’ultimo della classe non davano il dolce. O se facevi casino a sbucciare la frutta col coltello e la forchetta. E io sono anche mancino per me è sempre stato un inferno.
C’era una pastarella in meno a tavola.
La guardavi andare via nel piatto del primo della lista e capivi subito in quale mondo vivevi.
Nessuno voleva essere quello senza dolce. Nessuno.
Era crudele? Manco tanto. Funzionava? Diavolo se funzionava.
E poi ci sono quelli che si nascondono dietro la frase “io non sono competitivo”.
Una scusa cucita addosso come un cappotto di seconda mano.
Una coperta storta sotto cui si rannicchia la resa.
Non li ho mai sopportati.
La non-competitività è un lusso che puoi permetterti solo quando qualcun altro ti regge sulle spalle.
La società è piramidale.
Lo è sempre stata.
Lo sarà sempre.
Perché dovremmo illuderli del contrario?
Perché dovremmo raccontare fiabe a chi, alla fine, dovrà comunque scoprire di essere nato per stare nel fondo della piramide, sotto il peso di chi sale?
Meglio dirlo subito.
Meglio preparare chi può salire.
Meglio lasciare spazio a chi corre.
Gli altri si sposteranno. O verranno spostati.
È sempre andata così.
E continuerà ad andare così, che ci piaccia o no.