Grazie.
Mi sono imposta pochissimo. Io ho sviluppato l’idea che le persone debbano poter vivere.
Per dire a scuola i miei bambini (l’espressione è professionale

) sono sempre usciti in corridoio o nell’atrio a giocare. Poiché ogni tanto si cambia aula, mi sono trovata con colleghe che li tenevano costantemente chiusi in classe. Ovviamente quelle colleghe mi odiavano, perché ovviamente i loro bambini erano inquieti, sentendo gli altri correre e gridare. Una volta una mi ha detto che loro non erano abituate e che mi chiedevano di tenerli in classe. Ho risposto “no”. Finita lì. Mi dispiace che neanche con l’esempio abbiano dato ai bambini l’ora d’aria, consentita anche ai detenuti.
È un aneddoto per dire che non ho mai considerato necessario uniformare le mie scelte al contesto.
Vale anche con i figli. I miei figli forse erano straordinariamente miti? Può essere. Ma non li tenevo in cella.
Ho fatto accenno al fatto che sempre c’è stato chi poteva stare fuori con i coetanei. In certi contesti di piccoli paesi, dove i genitori sentono che c’è controllo sociale, sin da piccoli i figli giocano fuori tra loro anche dopo cena, in estate, e questo continua anche in adolescenza.
Io no, i miei erano restrittivi, ma basta sentire o leggere di Patty Pravo o altri personaggi e scoprire che avevano molta autonomia.
Questo atteggiamento permissivo si è diffuso negli anni, forse anche per gli esempi di fiction.