Interessanti osservazioni, grazie. Ti replico con quel che so per esperienza.
In uno scontro a mani nude in cui si fa sul serio (si vuole/deve mettere l'avversario in condizioni di non nuocere e/o ucciderlo) la cosa che conta in assoluto di più è la familiarità con l'uso della violenza, e la decisione e la brutalità che ne conseguono.
Forza, peso, potenza, (tutte cose che avvantaggiano il maschio sulla femmina) contano molto, ma da soli non sono decisivi. Un uomo fisicamente in ottima forma che non ha familiarità con la violenza, contro una donna in discreta forma che ha familiarità con la violenza ed è veramente decisa e brutale, molto probabilmente perde.
Come si acquisisce la familiarità con la violenza?
Ci sono due modi. Primo: nasci e cresci in un ambiente violento, e impari a subire e a esercitare la violenza come impari a camminare, cucinare, etc.
Gli ambienti violenti, però, di solito escludono le donne dall'esercizio ufficiale della violenza, perchè lì la donna è una delle principali poste della violenza (una preda). Però, anche solo per osmosi, in quegli ambienti anche le donne acquistano familiarità con la violenza, e quando si manifesta non restano paralizzate, ma reagiscono, reagiscono eccome (pensa alle zingare, alle albanesi, etc.: non sono clienti comode, in un litigio).
Secondo modo: addestramento in un'arte marziale. L'arte marziale, però, per preparare sul serio alla violenza vera, dove l'arbitro che ferma l'incontro non c'è, va appresa nel modo più realistico possibile. Realistico vuol dire che devi imparare a prendere pugni e calci veri, non finti: sennò, quando nella vita reale ti prendi un cazzotto in faccia resti traumatizzato, esiti, ti scomponi e ti asfaltano.
Per questo sono più consigliabili la boxe o la lotta greco-romana o le MMA delle arti marziali orientali come il karate, il ju-jitsu, l'aikido, etc., che sono eccezionali ma a) esigono un lunghissimo addestramento per rendere automatiche teniche tutt'altro che naturali b) comprendono tecniche molto pericolose che non si possono far provare a tutti in modo realistico, sennò ci scappa il morto: quindi succede che uno diventa cintura nera di karate e non ha mai preso vere botte, e alla prima rissa per la strada un teppista qualsiasi lo stende (visto con i miei occhi).
Sono molto efficaci le tecniche di combattimento senz'armi messe a punto dalle varie FFAA. Il Sistema di Combattimento Militare italiano, il Systema russo, il Krav-Maga israeliano, etc. Sono tutti un mix di prese, colpi, leve, accomunati dallo scopo ultimo: fare fuori nel più breve tempo possibile l'avversario, senza ricamini sul fair play o preoccupazioni che nessuno si faccia veramente male (l'idea è che l'avversario deve farsi molto male molto in fretta).
Impararli sul serio non è uno scherzo, ci vuole tempo, fatica, e ci si fa male di sicuro.
A parità di altre condizioni (forma fisica, addestramento, decisione e brutalità) tra uomo e donna non c'è partita, per la semplice ragione che rientrano in gioco e ritornano decisive le caratteristiche fisiche dei due sessi: forza, peso, potenza. Il colpo di una donna di sessanta chili non equivale mai al colpo di un uomo di ottanta; per non parlare delle prese, dove il puro e semplice peso fornisce un vantaggio enorme, e delle leve, dove (a volte) con la pura e semplice forza un uomo può annullare la leva più efficace sollevando da terra la donna.
Il vantaggio prezioso che ha la donna addestrata, decisa e brutale in uno scontro fisico con un uomo è duplice. Uno, la sorpresa (l'uomo non si aspetta che la donna sia in grado di minacciarlo). Due, sono fortemente radicati nel maschio l'istinto a proteggere la donna e l'inibizione a colpirla.
Morale: se una donna vuole stendere gli uomini si addestri seriamente, impari a essere decisa e brutale, e sferri un attacco preventivo violentissimo e improvviso mirando subito ai punti vitali meno difficili da colpire: laringe (a mano aperta, colpi ripetuti), tempie (col pugno o, meglio, il gomito), genitali (afferrare con la mano e torcere, non colpire con il ginocchio o il piede, troppo facile la parata istintiva), setto nasale (con il palmo della mano dall'alto in basso con la massima potenza, per farlo rientrare nel cranio e fulminare il cervello), occhi (sgusciare con le dita), plesso solare (a mano tesa o con le nocche ripiegate). S
e l'attacco riesce, l'avversario sarà certamente incapacitato, anche se non muore. Se fallisce, be', sono grossi problemi, auguri.
sono piuttosto d'accordo con te. Praticamente su tutto.
E ribadisco altri aspetti...la femmina è pensata (negli immaginari) per dare la vita. Ed è un gradino.
in culture antiche le femmine sapevano dare la vita. Ma sapevano anche della morte. E sapevano di poterla dare.
Erano educate al loro potere. Creazione e distruzione.
Noi poco. E per una donna, e non uso casualmente donna invece di femmina, visto che la donna è fondamentalmente un ruolo sociale che viene "messo sopra" la femmina, riappropriarsi del potere della morte, nella sua origine non è un percorso scontato. Spesso non viene neanche percorso. Consapevolmente.
Ma la creazione non esiste senza la distruzione e viceversa.
Dimenticarsi di questo è giocarsi quello scatto preventivo...giocare sulla dissonanza cognitiva che l'imprevedibilità di una preda che si trasforma in cacciatore crea deriva dalla consapevolezza di saper dare la morte per la vita, se serve. Senza pietà.
Le donne temono la violenza. Raramente la attraversano. E tendenzialmente la attraversano nel ruolo di vittime.
E tendenzialmente restano stupite quando se la trovano davanti.
Come se fosse una bestia strana. E in effetti lo è...strana, lontana, non a me.
E la violenza, come ben sai se sei stato in guerra, è quella cosa che svela il trucco della sicurezza. Quella zona di confort in cui si pensa, si vuol credere che il terreno da sotto i piedi non te lo leva nessuno. Che sei al sicuro.
La violenza sbatte in faccia che è un trucco. Che la terra sotto i piedi te la può levare chiunque. E in qualsiasi momento.
Avere questa consapevolezza, senza esserne schiavi, è frutto di addestramento e disciplina.
Le arti marziali aiutano. E guidano. Sono la forma di una sostanza.
La sostanza la mette chi combatte. E le sue esperienze come giustamente facevi notare tu.
Conosco cinture nere che piangerebbero come bambini, in strada sul serio. E che non hanno memoria muscolare in stati di stress, dove non si funziona più per tecniche apprese ma è il corpo che fa quello che sa. E ancor di più conoscono la tecnica ma non la brutalità.
Che sul tatami è facile mimare una rottura...rompere un osso, sentire lo schiocco, non bloccarsi di fronte al sangue è un altro discorso.
Se non si conosce la violenza. Se non si conosce l'aggressività...concordo con te.
Le femmine in generale la sanno poco.
Per storia. Educazione. Cultura.
Hanno paura della violenza...ma oso un po' di più..hanno paura di aver paura. Anche gli uomini eh...ma è diverso.
Per quanto riguarda la brutalità...fa brutto no?...brutalità/donna...naahhh....non stanno bene..
Fa brutto che una femmina vada in giro con un occhio nero. O con gli ematomi sul corpo.
E il primo pensiero non è che ha combattuto e magari vinto.
Il primo pensiero è "povera...l'hanno picchiata!"
Raramente ci si chiede come ne è uscito/a conciata l'altro/o.
Ed è un pensiero ricorrente quello della femmina come vittima. Assoluta. Senza altra via se non essere vittima. Da difendere.
Poco ricorrente il pensiero per cui una vittima non è soltanto una vittima. E più che altro non lo è in ogni situazione.
Le arti marziali, sono un buono spunto. A conoscere il corpo.
Non bastano. Anche perchè il contesto sociale non "approva". Non ancora.
Violenza, aggressività, brutalità, animalità...concordo pienamente che siano aspetti pulsionali profondi e imprescindibili. Non conoscerli è rischioso. Per entrambi.
E il dolore. La negazione del dolore in ogni sua forma. Il doversene liberare a tutti i costi. Il curarlo come se fosse una malattia...anche questi aspetti culturali condizionano, e non poco.