Si, gioia e dolore sono inscindibili, ma non sono la stessa cosa, sono due facce diverse di una stessa medaglia ma rappresentano cose diverse.
Tu dici che è impossibile vivere la gioia, la felicità nell 'inconsapevolezza del dolore che la circonda e la nutre, ed è vero, ma è altrettanto vero che è impossibile sentire il dolore nell' inconsapevolezza che può esistere, che c'è stata, che si è provata anche la gioia.
In estrema sintesi.
nì...
sono e non sono la stessa cosa. Contemporaneamente.
E dici bene, sono rappresentazioni.
Ossia "dipinti" del mondo, che rappresentano
chi li dipinge.
Ma, come ogni rappresentazione, parla più di chi la crea che di quello che rappresenta.
...momenti che andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia.
Ecco perchè parlo della minuzia dell'emozione, e onestamente preferisco l'intensità. Il fluire. l'affondarci dentro.
ricordando cosa sono le rappresentazioni.
100 anni fa, quello che mi avrebbe resa gioiosa, come donna, è qualcosa che oggi mi creerebbe sofferenza.
Io dico che PER ME è impossibile.
Dico che quello che mi coinvolge di una emozione, a tal punto da non essere interessata all'emozione in sè,
alla sua classificazione, è l'intensità.
Esempio concreto: mi sono rotta. A mente lucida mi hanno ricomposto le fratture.
Ricordo molto bene il dolore e ricordo altrettanto bene la meraviglia per quello che stavo sentendo, contemporaneamente.
La mia attenzione ad ogni osso, la dilatazione del tempo mentre tiravano e rimettevano dentro l'osso dove era prima della frattura, il senso di sollievo non appena le ossa sono tornate in sede e contemporaneamente il fastidio, sentire che non era come erano.
Dolore e piacere. Il dolore delle ossa rotte che venivano tirate e spinte e il piacere di urlar fuori e il sollievo ad ogni ossicino. Contemporaneamente.
Ero meravigliata di me. Sinceramente e "bambinamente".
Potrei farti migliaia di esempi di questo genere.
Mi sono buttata fuori sede il mignolo del piede e me lo sono rimesso a posto io.
Tirato, clack, lasciato ricadere dove doveva stare, piccolo accomodamento che non lo sentivo comodo.
Dolore e piacere. Sofferenza e gioia. Contemporaneamente. Un flusso ininterrotto. Oscillazione nel flusso.
Questo è il mio modo di percepire. Il mio.
Frutto della mia rappresentazione di me e della mia rappresentazione del mondo.
Della mia vita.
E della mia vicinanza alla morte, che percepisco da quando sono bambina. Non con la razionalità.
Che è poi probabilmente il motivo per cui ricordo con estrema tenerezza quel "sono stanco" e il mio "se sei stanco, vai".
Non ho sentito solo dolore in quel momento, nemmeno solo tristezza. Ero anche serena. Sentivo anche serenità. Anche.
Era il posto giusto, dove c'è spazio. Un quasi stato di grazia, sospensione della paura.
Ricordo da piccolina a caccia, con mio padre, che mi ha insegnato il dare la morte agli uccellini feriti. Pollice e indice, erano proprio piccole le mie dita, ma era ancora più piccolo il collo dell'uccellino, una piccola pressione e gli ossicini che facevano clak, gli occhietti che si velavano, il corpo abbandonato e ancora caldo, e ricordo la sensazione di sentirlo divenire sempre più freddo e rigido mentre sbatteva contro la mia gamba, messo nel carniere insieme agli altri. Dolore, piacere, dolore, piacere...un'alternanza velocissima, quasi da non riuscire a distinguere. Quel flusso.
E da bambina non distinguevo. Un casino che non ti dico.

Per me è semplicemente un tutto insieme.
Ho imparato a distinguere dopo, con la razionalità e usando le categorie che mi hanno insegnato.
Per stare nel mondo, soprattutto. Per aprirmi al mondo e per penetrare il mondo.
Ma ancora oggi, quando c'è un certo tipo di intensità, per me è tornare in quella dimensione, come stare immersa in un fiume che scorre e semplicemente lasciarmi aggredire e avvolgere dalle sensazioni. Questo il vivere.
Poi c'è l'intellettualizzare. Il classificare. Lo spiegare.
E poi ancora ci sono quelle che io percepisco come le "minuzie", cosine, delicatissime, che so essere passeggere, lo sguardo di G, mia madre, mio padre, io stessa.
E allora posso ridere o piangere.
Ma non c'è l'intensità che mi spedisce in quel fiume di cui parlo quando dentro in me è Pace e silenzio.
E onestamente...le minuzie (non è dispregiativo, è la mia rappresentazione) non mi appagano davvero.
Vedo distintamente come siano passeggere, mutabili. Potrei dire inconsistenti.
Non riesco ad aggrapparmi nel ricordo a quelle che io percepisco come minuzie.
Il ricordo per me è un fiume. E ricordo tutto insieme.
Mia madre che mi abbraccia e mi rifiuta. Era sempre lei. Piacere e dolore. Talmente vicini da essere indistinguibili.
Le rappresentazioni di cui parli....io capisco che ci sia e serva un modo condiviso per intendersi...
Aderisco razionalmente.
Ma il mio vissuto emotivo non aderisce.
E a volerlo capire serve usare le mie categorie.
Ecco perchè mi ha incuriosito la tua domanda.
Tu, hai mai sperimentato il flusso di cui ho provato a raccontare?
Il posto dove sofferenza e gioia si susseguono in modo talmente veloce e altalenante da non poter esser distinte se non tramite una analisi successiva? Per categorizzazione?
La percezione dei momenti perduti come lacrime nella pioggia...che fanno sorridere lo stesso, al contempo pensandoli e pensandoli perduti?